ECCE ROMA [I] PDF Stampa

Quando il settore delle arti visive attraversa un periodo di profonda crisi, per tentare di rianimarlo e di restituirgli credibilità, i sensori sono sempre attivati e qualsiasi esperimento viene visto con favore. Si analizza il fenomeno da ogni punto di vista e magari si finisce per trovare alcuni aspetti positivi. Per esempio, di fronte alla fragilità delle  componenti, il pur necessario sistema dell’arte va perdendo la forza di coesione che gli dà eccessivo potere; la mancanza di un mercato troppo promozionale e di un’avanguardia polarizzante può facilitare la libertà espressiva e le ricerche linguistiche personali. Inoltre, viene rivolta più attenzione all’arte giovane anche se, a volte, la smania del nuovo fa dimenticare i valori di riferimento più attendibili... Ma, se il circuito espositivo privato, per difficoltà gestionali, si restringe e quello integrativo delle istituzioni pubbliche (discontinuo, poco dinamico, sprovvisto di mezzi finanziari e incline più ad autorappresentarsi che ad attuare programmi propositivi), risulta inadeguato a bilanciare gli effetti negativi, siamo alla paralisi. Insomma, la situazione, a dir poco, è complessa e le preoccupazioni per il presente non invogliano a guardare con ottimismo e coraggio al futuro.

Anche Roma vive pienamente in questo contesto precario e frammentario, anzi ne esprime tutto il disagio, peraltro accresciuto da sue problematiche strutturali. Da un lato si potrebbe dire che il suo nome (letto alla rovescia) sia sinonimo di “amor”... proprio, di orgogliosa ammirazione per un passato sempre incombente; dall’altro che impersoni una città cosmopolita, intellettualmente vivace, ma omologata nel gusto comune pure a causa della sua vocazione turistica... Ecco allora che può risultare attuale verificare se sia possibile delineare una identità romana chiusa in sé o aperta verso l’esterno, derivante da una omogeneità di tendenze o semplicemente da esperienze individuali, più o meno in sintonia, capaci di far valere la loro autorevolezza.

Alle soglie del Duemila e del Giubileo, dunque, ci è sembrato opportuno cercare di chiarire con gli addetti ai lavori se esista un rapporto privilegiato con la tradizione o un atteggiamento spregiudicato che lasci più spazio alla dialettica dentro/fuori, visto che la coscienza storica può dare apporti positivi, ma anche impedire l’innovazione.

Da qui la registrazione di comportamenti ed umori dei più insofferenti che stanno reagendo per far uscire l’arte dalle sabbie mobili in cui si agita, ma anche di coloro che in qualche modo operano legittimando l’esistente. Le parti chiamate in causa sono intenzionalmente diverse così da documentare-interpretare il quadro d’insieme. L’indagine è stata circoscritta all’arte visiva nella convinzione che, specialmente quando essa esce dallo specifico per inglobare altre discipline, è più che mai al centro della scena culturale e quindi sufficientemente rappresentativa.

Le domande-stimolo sono state indirizzate in maniera differenziata ad un certo numero di protagonisti: artisti e critici di più generazioni, collezionisti, galleristi, editori, direttori di musei, istituzioni e fondazioni, di case d’asta, riviste specializzate e ad altri che, in misura diversa, interagiscono con l’arte romana (amministratori, politici, ecc.).

I risultati dell’inchiesta-dibattito verranno riportati in varie puntate. L’iniziativa, sollecitando alcune voci tra le più accreditate, si propone di individuare dove stia andando Roma e di raccogliere orientamenti, critiche e proposte per offrire un’occasione di riflessione sul ruolo di quanti sono interessati alla crescita culturale della città e di confronto/scontro su certi argomenti. Si vuole, poi, stimolare un dialogo costruttivo tra pubblico e privato e coinvolgere le autorità per indurle a considerare le urgenze dell’arte contemporanea.

 

Maurizio Calvesi, storico dell’arte

Se “una identità romana” sia individuabile nel settore delle arti visive è domanda che mi sono posto per primo, fin dagli anni Cinquanta e poi Sessanta, segnalando più volte (anche in seguito) una linea del “polimaterismo” futurista che parta da Balla e Prampolini, per confluire successivamente nella ricerca di Burri, Colla, Rotella, Ceroli, Pascali, Kounellis (filone romano e originario dell’Arte Povera); parallelamente, anche l’astrattismo di Dorazio e Turcato è una ripresa, nel nuovo clima, di alcune esperienze di Balla, cui guarda lo stesso Schifano, le cui “rivisitazioni del Futurismo” sono emblematiche. Fa parte dell’ “identità romana” pure la componente dechirichiana avvertita da Festa e Ceroli (anche dallo stesso Schifano); questa componente - in altre forme - ha infine agito negli anni Ottanta su pittori come Di Stasio, Piruca e diversi altri, mentre Carlo Maria Mariani si riallaccia, attraverso le sue elaborazioni concettuali, al capitolo tutto romano del neo-classicismo.

Esiste, insomma, una cultura romana dai connotati molto precisi anche se, come logico, diramati in più direzioni e dotati di una dialettica interna.

Un’altra delle domande rivoltemi chiede se Roma potrà “conquistare la centralità artistica a suo tempo auspicata da Argan”. Immagino che si tratti di una dichiarazione di Argan come sindaco, in ordine all’incremento di mostre e musei, altrimenti il nome di Argan mi sorprenderebbe. Infatti il suo ideale era quello di un’arte totalmente astratta che abolisse ogni carattere nazionale; Argan non contemplava minimamente quella “identità romana” di cui sopra, né credeva in essa.

Sarebbe interessante, a tale proposito, ricostruire le opinioni della critica su questo tema (come su altri), nel corso della seconda metà del nostro secolo. Nella conoscenza degli apporti e degli orientamenti della critica  italiana di tale periodo permane infatti a mio avviso una notevole disinformazione che contribuisce a vanificare gli sforzi fatti e ad impedire la formazione di quella consapevolezza radicata nel tempo e in una tradizione culturale (anche critica, certo), che è il presupposto di ogni valorizzazione. (Insomma, non si può ricominciare sempre tutto da capo).

 

Paolo Balmas, critico d’arte

Roma soffre senz’altro sul piano economico di un qualche ritardo rispetto alle maggiori città europee ed anche rispetto alle città industriali del Nord Italia. Effetto di questo ritardo e delle anomalie storiche che lo hanno causato è una certa immaturità negli investimenti e la mancanza di una mentalità imprenditoriale consolidata. Tuttavia Roma è anche l’unica vera metropoli italiana che vanta un cosmopolitismo praticamente ininterrotto da duemila anni. Un cosmopolitismo sui generis nella cui formazione e nel cui mantenimento l’arte ha avuto un ruolo da protagonista. I romani poi dal canto loro sono forse la popolazione più smaliziata che esiste al mondo nei confronti del potere e di tutti i suoi corollari e simboli.

Solo tenendo conto di questo quadro generale si può comprendere in cosa consista l’identità romana nel campo delle arti visive, un’identità che, a mio avviso, esiste ed è marcatissima, ma non vistosa. Una delle caratteristiche dell’artista romano, ad esempio, è quella di non lasciarsi facilmente prendere dall’entusiasmo per le novità tecnologiche o teoriche. Le scruta, impara ad usarle ma non pensa mai che esse rappresentino il futuro. A Roma si storicizza tutto, ma non si crede alla storia; si cerca il durevole e l’essenziale, ma non ci si esalta nel farlo; si è molto umani, ma non si ha fiducia negli uomini. L’arte riflette tutto questo e rimane costantemente se stessa.

L’arte giovane è molto vivace, gli artisti si conoscono e si frequentano, hanno anche stretti contatti con alcuni dei più prestigiosi esponenti delle generazioni precedenti; ciò però non vuol dire affatto che ci sia coesione sul lavoro. Le individualità prevalgono sulle tendenze e i rappresentanti di precise correnti omologhe a quelle consacrate dalla critica internazionale non traggono alcuna forza dalla loro unione, finiscono piuttosto per isolarsi. Un vero neoconcettualismo a Roma, ad esempio, non è passato, è stato piuttosto riassorbito e digerito dalle ricerche in corso. Lo stesso sta accadendo con il posthuman.

La giovane e giovanissima critica romana partecipa con impegno, anche se talvolta in maniera un po’ settaria, al processo di avanzamento della ricerca artistica, ma non fa muro, non detta condizioni. Ognuno piuttosto cerca il suo piccolo spazio, la sua galleria, la sua rivista, spesso in un ambito che non riesce ad avere risonanza nazionale. Quanto alla mia generazione, le forze mi appaiono un po’ disperse. A volte mi sembra di essere un sopravvissuto, uno dei pochissimi che continuano ad occuparsi delle nuove leve e si sentono in dovere di fare qualcosa per loro.

La politica massmediale a Roma, come in tutta Italia, dovrebbe cambiare innanzitutto facendo delle flebo di storia dell’arte contemporanea e di cultura artistica attuale a coloro che detengono le leve del potere. Poi si potrebbe pensare alla struttura dei media, gli artisti potrebbero tenere degli stages. Parole come marketing e cultura aziendale andrebbero proibite finché i sedicenti managers non dimostrassero di esserlo con i fatti.

 

Luca Maria Patella, “Artista & Non artista”

È difficile fare un discorso limitato ad un ambiente, quando si ha invece in mente una visione della cultura creativa, neppure concentrata in una sola disciplina o linguaggio. Buona e salutare norma psicologica sarebbe il riconoscere... un po’ di bene accanto a sé. Considerare quindi le varie personalità impegnate e i loro diritti, le loro qualità di umanità e intelligenza... Anche su un terreno pratico, è saggio stabilire contatti, se non alleanze e connivenze... Un’altra faccia della partecipazione - e ancor più franca! - è però la nostra (...novecentesca, o antica?) sofferta tradizione: quella dell’agire e del far cultura contro l’inerzia e il ricatto del “luogo comune” e del partito preso... che han gran presa sulle psicologie umane! ...Se uno, quindi, si trovasse - che so io - in una lontana Colonia di Alfa Centauri, o... nella Germania nazista: cosa dovrebbe pensare o come comportarsi...? Rousseau dice, facendo ricorso a Ovidio esiliato: “barbarus hic ego sum, quia non intelligor illis” (straniero sono qui: non capìto da loro). Certo, jean-jacques si accorge del “Narcisse” insito in tale atteggiamento... eppure continua a praticarlo e a “passeggiare” nel suo “horticulus”. Queste considerazioni vengono a dire che i miei amici si localizzano nel divenire, ma anche nella profondità storica; e che - in questo secolo - un’eventuale possibilità da seguire è quella di agire in un vasto campo, che non è cittadino, né nazionale, né disciplinare, e neppure artistico e basta. Un campo, sia artistico, che extra-artistico: fatto di culture molteplici; prima di tutto le “nostre” varie e ricche tradizioni semiologiche. Facciamo in modo che l’artista-ecc. sia meno grezzo e che quindi le conosca e le sperimenti creativamente, da intellettuale (non solo viscerale). Roma è stretta, come e più di sempre (anche se non è Roccasecca!); non vi trovo particolari proposte, l’organizzazione dei luoghi pubblici è molto carente, gli sponsors pressoché nulli, i governanti guardano a tutt’altro, il collezionismo (se serio) è da sempre precario... Eppure, avrebbero tutti da guadagnare ad aprire gli occhi...; ma guardiamo un po’ come brillano quelli della TV italiana, che non propone mai un documento... appena appena “esistente”, sulle Arti figurative! Un disastro quindi! ...Forse più di altrove nel mondo (...Ma non poi tanto, perché tutto il mondo è provincia). E poi - l’ho detto - ...c’è la voce del “realismo” (se non della saggezza) che ti fa guardare l’altro (artista, ecc.) come un essere interessante, che vale e può insegnarti a conoscere la vita.

 

Luigi Ontani, artista

<<< delucidazioni (!?) per luci d’Ano Mar’ucci *Ecce Roma Juliet >>>:

... a roma si rima e mima eternamonte demente il buon disgusto d’amor te’        VERO del territorio Neroniano, inno stimolo, andante per viandante d’altrove.... in carenza al villaggio globAle aleatorio contestuale il / lo

stratopotere aconcettuale (rtuale) va semper a male, per entropia, ri trova la via lottea d’ingiusta ingiunta bilancia di raffinata rifilata barBarie et sofisticazione giustifecazione…

...nel dialogo è   ,io Vate lupo decalogo di Strada Tridente, irridente al dente, ovunque non vada et Ade adonisticamente evade... La ricerca di cera persa una volta muso et abuso in porta è orte, incerta cetra (cetriolo nell’orto) ad onde corte, ma cOrsi e ritorsi, senza sforzi nei ozi pagani pascoli per organi et nodi immani Pascali greggi Dei Greci Sette colli collaudati assegnati altopiani per immortalemi androGini d’ennesimi Prini piani, di putti che pittano, melomane prescalare cor(can)tilena lagna romana, ...manna... cy...

Media e Governanti abOrti distratti / diStrutti et diSuniti UNTI negli extraparlamentari et extracomunitari riti / miti indomiti...

Mecenati sono per assolo solo i marcati galleristi misti e mistici contemporanea Mente mastici...

 

P. S. + N. B. = a corredo del celibe celebre allogo foto invito simulacro <<<LAPSUS LUPUS>>> in mostra da Sperone a Roma. ave

 

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Andrea Aquilanti, artista

Non si può certo dire che Roma sia una città sensibile all’arte contemporanea.

Le gallerie in grado di fare un serio lavoro sono pochissime. Eppure collezionisti, magari piccoli, che avrebbero interesse nell’acquistare lavori di giovani ci sono e ci sarebbero, soprattutto se incoraggiati e stimolati.

Le istituzioni museali sono del tutto incapaci di creare attenzione sul panorama artistico contemporaneo nazionale e internazionale e quindi anche su quello romano, per quella sorta di staticità ministerial-burocratica di cui per primi qui si soffre.

Lasciati soli dalla maggior parte dei critici locali, poco coraggiosi e sempre preoccupati di non contraddire i flussi dominanti illudendosi di tutelare le loro deboli carriere, gli artisti romani non sembrano incidere sostanzialmente su quelli che sono i circuiti importanti; basta guardare la loro partecipazione a mostre fuori della città o alle riviste d’arte. Inoltre, quando non ignorati, sono per lo più accusati pregiudizievolmente di essere formali e conservatori. Curiosamente si è venuta a creare una situazione analoga a quella del primo futurismo, quando Roma, in tutt’altro contesto storico e per ragioni ormai definitivamente sorpassate, veniva dileggiata in quanto città destinata dal suo enorme patrimonio artistico ad essere ferma nel tempo, preferendole la stessa Napoli considerata più moderna e vitale. Sinceramente a me non sembra che le altre città italiane siano in condizioni migliori.

Ciò premesso, sono convinto che alcuni degli innumerevoli artisti che lavorano qui stiano facendo un buon lavoro, forse proprio grazie alla condizione laterale che permette loro di evitare la retorica tipica di certa avanguardia internazionale. Difficile, comunque, individuare un orientamento artistico dominante; direi che esistono vari nuclei che, differenziandosi dalle già affermate generazioni precedenti, adoperano diversi linguaggi: dalla fotografia all’installazione, dalla pittura all’arte telematica. Uno dei possibili tratti comuni potrebbe essere la riflessione sulla realtà nel tentativo di cogliere immagini e situazioni che dilatino le possibilità percettive e comunicative. Ultimamente si è sentito forte un bisogni di una profonda comunicazione tra gli artisti; esigenza avvertita anche da parte di qualche critico che ha manifestato la necessità di costruire rapporti più vivi e diretti. Tutto ciò ha creato un clima propositivo, anche se si avverte l’esigenza di un confronto, quanto meno a livello nazionale, per tentare di arginare quel provincialismo che caratterizza gran parte della produzione artistica italiana. Sarebbe infatti necessaria una maggiore permeabilità di idee tra le città-stato che continuano a resistere e a combattersi in questa nazione arretrata. Il rischio è la definitiva esclusione dagli ambiti culturali internazionali. Del resto lo scambio reciproco non pregiudizievole, nella storia ha solo creato civiltà di cui, mi pare, abbiamo tutti un grande ed improrogabile bisogno.

A cura di Luciano Marucci

1a puntata, continua

 [«Juliet» (Trieste), n. 79, ottobre-novembre 1996, pp. 40-41]

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