LE MARCHE dell'arte contemporanea PDF Stampa

È vero, nelle Marche si vive abbastanza bene. Il rapporto con la natura è ravvicinato e le città sono ancora a misura d’uomo ma, per essere in sintonia con i tempi, occorre dell’altro. Anche se la tecnologia informativa oggi riduce le distanze e internet porta il mondo in casa, la presa diretta è un’altra cosa. D’altra parte abitare le metropoli, che offrono più occasioni culturali, è quasi disumano. Allora converrebbe muoversi per frequentare altrove determinati avvenimenti, poi tornare nel proprio habitat a operare in tranquillità. Sulla questione ho sempre ritenuto che un artista possa isolarsi completamente per elaborare la propria poetica solo dopo il periodo formativo. Il caso di Osvaldo Licini fa ancora scuola. Altro è l’emarginazione intellettuale a cui si è costretti per sottrarsi alle iniziative, a dir poco, anacronistiche. Sono tanti i luoghi in cui non si trovano le condizioni favorevoli per evolversi tempestivamente, visto che, per essere presenti e concorrenziali sulla scena della cultura contemporanea, è fondamentale evitare le informazioni sbagliate, stabilire relazioni dinamiche e confronti, oltre che procurarsi i mezzi necessari per divenire indipendenti. In genere manca una politica culturale adeguata che favorisca la ricerca, l’educazione e la diffusione della produzione artistica. Molte amministrazioni locali non programmano e si fanno guidare da incompetenti; dissipano denaro pubblico, potenziano il cattivo gusto e profanano le sedi storiche. Così le manifestazioni dignitose sono rare; invece occorrerebbe una seria attività continuativa, anche a prescindere dai grandi eventi. Purtroppo, gli assessori alla cultura privilegiano gli interventi clientelari ed effimeri; non capiscono che potrebbero avere consensi elettorali anche seguendo indirizzi più ambiziosi. Polarizzati dal tornaconto immediato, non valutano che il localismo non si vince rafforzandolo, bensì ampliando l’orizzonte delle conoscenze, ovvero  importando esperienze più vive e attendibili, organizzando esposizioni e incontri illuminanti. In verità, gli operatori visuali, non avendo altre occasioni, reclamano mostre per loro uso e consumo. Il più delle volte i media trascurano la cultura e, quando se ne occupano, fanno cronaca e legittimano ogni proposta. Se qualcuno azzarda criticare, non viene ascoltato, perché prevalgono gli interessi personali e quelli più tangibili. Tra l’altro, l’arte figurativa viene considerata stravagante e inutile, o addirittura degenerata, certamente non per i contenuti eversivi difficili da decifrare, ma per la lontananza dalle tecniche e dalle forme più riconoscibili del passato, come se creatività e linguaggi si fossero fermati a fine Ottocento. E si specula sul carattere soggettivo dell’interpretazione per giustificare o negare ogni cosa.

I giovani dovrebbero essere consapevoli che fare arte non è un mestiere accessibile a tutti. Se anche i meno dotati sentono il bisogno di praticare l’immaginario, facciano pure, ma non s’illudano di poter vivere agevolmente. Perciò si fa del male a incoraggiare quelli che non hanno le qualità per emergere, specie se non dispongono di risorse finanziarie. D’accordo, in una certa misura l’artista può anche essere costruito, ma l’artificio, oltre a essere ingannevole per il soggetto e per gli altri, alla lunga viene scoperto perfino dai meno esperti.

Un altro aspetto da condannare è l’abitudine di certi enti di delegare l’organizzazione delle esposizioni di rilievo ai pittori, i quali, anche se bravi, sono troppo invaghiti delle loro idee per scegliere con  obiettività.

In fondo da questi presupposti, apparentemente insignificanti, si sviluppa quel provincialismo deteriore che tutti vorremmo superare, ma che noi stessi con le azioni non ponderate o disimpegnate finiamo per avallare.

A conti fatti nelle Marche solo Pesaro va percorrendo la strada giusta e potrebbe essere presa a modello; Ancona, tranne qualche sporadico appuntamento,  lascia a desiderare; Ascoli e Macerata sono, più o meno, sul medesimo piano di arretratezza. Chiaramente nella ‘graduatoria’ incide anche il numero delle iniziative negative.

Gli artisti più ambiziosi delle ultime generazioni, come pure le gallerie bene intenzionate, non trovano l’ambiente per agire al meglio; mentre la critica deve occuparsi principalmente di ciò che trova allestito e non riesce a dare le indicazioni corrette. Insomma, se vi fosse una presenza forte delle istituzioni, si potrebbero creare sinergie che aiutino a concretizzare operazioni documentative e propositive di buon livello. Non si può lasciare il compito di in-formare esclusivamente alle gallerie private, le quali, specialmente se non affiancate e sostenute, si trovano costrette a far prevalere il commercio sulla cultura, contribuendo a disorientare e disaffezionare la gente. 

Questa, dunque, la visione mia e di altri che devono assistere al consolidamento dell’ignoranza dopo aver constatato che i tentativi individuali sono troppo deboli per riuscire a cambiare lo status quo. Personalmente sono piuttosto scettico sulla possibilità di modificare sensibilmente la situazione senza un intervento, convinto e convincente, del potere politico centrale e periferico, in un Paese dove le persuasive emittenti televisive remano contro, promuovendo la quantità al posto della qualità. Per giunta, la dilagante crisi economica penalizza il settore e si finisce per andare avanti nell’accettazione passiva di quanto viene propinato.

La geremiade potrebbe continuare, ma è giunto il momento di dare voce agli intervenuti, per conoscere più da vicino le realtà dei diversi luoghi, con la speranza di toccare qualche corda sensibile, stimolare riflessioni e comportamenti divergenti.

 

Renato Novelli, socio-antropologo, docente presso l’Università Politecnica delle Marche

I marchigiani sono tra i pochi abitanti del mondo che pensano di non esistere. I loro amministratori illuminati, cioè pensanti, portatori tra i tanti dell’idea che per pensare ci voglia una luce (saranno di più i morti uccisi in nome di Dio o quelli morti perché oppositori dei lumi?), hanno trasformato questa solida opinione in due slogan per il turismo: L’Italia in una regione e Una regione al plurale. Il messaggio subliminale è chiaro: noi non esistiamo. Cosa condivide un pesarese con un ascolano: nulla! Parlano diverso, si percepiscono diversi. Cogito ergo non sum: i modesti marchigiani, tutti uniti storicamente dalla mezzadria, dalla piccola industria diffusa, dal senso del proprio luogo o campanile, dalla cultura marinara, non esistono. Perciò non esistono neppure gli artisti marchigiani. Cioè no, quelli esistono. Anzi. Gli studiosi di storia patria, gli intellettuali istituzionali, i critici celebri tra il Metauro e il Tronto, spiegano la marchigianità dei pochi autori d’arte che, nati qui o qui vissuti, sono conosciuti nelle vaste lande del mondo dell’arte ed oltre. Strano destino per esperienze intellettuali e creative che hanno lasciato il segno ben al di là dei nostri confini. Pochi artisti marchigiani contemporanei hanno raccontato al mondo la sezione nascosta del mondo stesso, come solo l’arte sa fare, sempre esasperando un punto di vista assolutamente parziale. Licini ha trasformato il paesaggio collinare in un paradigma di candida ossessione universale. Pericoli ha fatto delle colline una storia mai narrata e sempre presente. Ma non tutto il linguaggio artistico sempre e disperatamente è riconducibile alle Marche. Va bene che Giacomo, guardando una modesta collina, di là da quella, ha sentito e cantato il mistero dell’eternità infinita e della finitudine della nostra irrilevante morte individuale, ma non lo fece perché era marchigiano. Il suo orizzonte, come quello degli artisti d’arte contemporanea, era più ampio e le Marche sono un paradigma sentimentale. Ma con i pochi veri artisti che abbiamo, dopo una vita di ricerche, per carità pedestri, mi chiedo quante mostre di arte contemporanea si fanno nelle Marche. Per una volta soltanto non ho bisogno di dati per dirlo: troppe. Gli artisti fioriscono, crescono all’ombra dei campanili. Ma non dovremmo trasformare ogni buon disegnatore, colpito giustamente dalla frenesia positiva dell’esprimersi, in un artista. Un pittore, per essere tale, dovrebbe accumulare una conoscenza di esperienze pittoriche superiore alla memorizzazione di dati e formule degli ingegneri elettronici. Per pochi veri artisti che hanno parlato al mondo non paghiamo pedaggi a chi crede che l’arte sia una moda o una febbre quartana: studiare, studiare, studiare. Ma qualche anno fa, in una vita precedente alla presente, ho fatto l’assessore comunale. Solo un assessore comunale sa quanti artisti esistono nel territorio marchigiano. Ne ho ricevuti centinaia, me ne hanno raccomandati decine. Ho un ricordo struggente di un  pittore proletario, assolutamente fuori da qualsiasi scuola o informazione. I suoi dipinti, esposti alla Palazzina Azzurra, ritraevano paesaggi perduti, barche che non ci sono più, vecchie vedute del piccolo mondo in cui io vivo. Ho spiato la gente del posto e la vedevo piangere, perché quel mondo ritratto maldestramente parlava di una cultura profonda del rimpianto. Nobile cultura, che lascia la miseria della nostalgia falsificatrice agli stessi intellettuali che  spiegano a noi, poveri cafoni; agli intellettuali istituzionali che dottorano tra il Metauro e il Tronto. Solo non chiamiamo arte contemporanea queste straordinarie esperienze intellettuali e sentimentali, ma emozioni profonde, sentimenti del luogo.

   

Armando Ginesi, critico d’arte

Più che conoscere nel dettaglio la situazione di Ancona e della sua provincia, ritengo di saperne di più di quella marchigiana in generale, alla quale ho dedicato anni di ricerche, di pubblicazioni, di esposizioni. Del resto l’una, più specifica, non si differenzia dall’altra, più generale.

La città capoluogo ospitava, nel passato, un Premio che era intitolato all’intero territorio regionale (Premio Marche era la sua denominazione). Ideato e sempre organizzato da Alfredo Trifogli, che ne era la magna pars, esso ha conosciuto due fasi temporali, con una interruzione dovuta alle vicende politiche del suo artefice (prima come Sindaco della città ospitante, poi come Senatore della Repubblica). La storia del Premio Marche è illustre. Nella fase finale del suo cammino esso aveva assunto una fisionomia che ne imponeva sicuramente la ridefinizione, la necessità di renderlo più aderente all’evoluzione - rapida, rapidissima - dei linguaggi artistico-visivi italiani, europei e internazionali, non  certo la soppressione, come di fatto è invece avvenuto per decisione dei politici, i quali, con un modo di fare tutto italiano, hanno scelto di buttar via l’acqua sporca assieme al bambino. Perché il problema di fondo è proprio questo: l’insensibilità della classe dirigente alle problematiche dell’arte e, ancor più, di quella contemporanea. Non esiste infatti, nel territorio, una programmazione di politica culturale seria, meditata, scientificamente impostata. Le scarse iniziative prese sono episodiche, slegate, estranee a una qualsivoglia programmazione sensata e a medio-lungo termine. Da questa assenza di interesse reale del potere pubblico nei confronti del settore, deriva che esso procede da solo, pressoché privo di fondi, costruito sulla più o meno buona volontà dei singoli (ma a volte, si sa, di buone intenzione è lastricata la via dell’inferno!) e, purtroppo, con l’entrata in campo insidiosa di persone squalificate capaci di coglierne solo l’aspetto meramente mercantile, a prescindere da ogni intento e dimensione culturali che, tra l’altro, sono anche incapaci di cogliere e men che meno di sviluppare. Su questo terreno non idoneo, fruttificano ugualmente semi sparsi al vento i quali, in alcuni casi, si rivelano capaci di generare ottime piante ed ancor più ottimi frutti.

Che Le Marche, nel XX secolo, abbiamo prodotto esempi di straordinaria qualità artistica, spesso di livello nazionale e molte volte di dimensione europea e internazionale, è oramai un fatto acclarato e storicizzato. Da Adolfo De Carolis a Enzo Cucchi, passando per Osvaldo Licini, Scipione, Corrado Cagli, Sante Monachesi, Pericle Fazzini, Edgardo Mannucci, Wladimiro Tulli, Valeriano Trubbiani, Arnaldo e Giò Pomodoro, Walter e Nanni Valentini, Bruno d’Arcevia, Mario Sasso e via dicendo, non c’è stato ambito che non abbia lambito questo o quell’importante sistema linguistico, dal Liberty alla Scuola Romana, dall’Astrattismo alla Figurazione, dalla Transavanguardia alla Pittura Colta, alla Video-arte.

Oggi per i giovani il discorso si è fatto più difficile, ma non soltanto per le ragioni generali di cui s’è detto sopra, quanto anche perché esiste una crisi di creatività epocale che investe l’intero Occidente e che quindi, ovviamente, non può non riflettersi anche nelle Marche e nella provincia di Ancona. Speriamo di uscirne presto, per la qualità propria degli artisti e per una auspicabile accresciuta (dobbiamo crederci?) sensibilità del potere pubblico attorno al tema.

 

Pio Monti, gallerista

Un non so che sa: Caro Pio Monti, non ti sei ancora rotto di tutta questa arte, di tutti gli affaticamenti non inferiori a una vita dedicata alla passione, al godimento? Che farai quando sarai più grande? Non passa il tempo, passiamo noi. Tu che sei un marchigiano di razza, che hai visto artisti come Enzo Cucchi, Gino De Dominicis, Eliseo Mattiacci, Mario Giacomelli, Ubaldo Bartolini, Luigi Carboni, Maurizio Arcangeli, Carla Maria Mattii, Terenzio Eusebi, Rocco Dubbini, Maurizio Mercuri, e hai avuto una grande complicità con molti di loro, ripeto, non ti sei ancora rotto? Tu che hai portato fisicamente a Macerata artisti come Andy Warhol, Jannis Kounellis, Sol LeWitt, Daniel Buren, Joseph Kosuth, Emilio Prini, G&K Lusikova, Claudio Abate, Ettore Spalletti, Pier Paolo Calzolari, Giuseppe Chiari, Alighiero Boetti, Annie Ratti, Mario Ceroli, Franco Angeli, Getulio Alviani, Nicola De Maria, Luigi Ontanti, Mario e Marisa Merz, Terry Riley, Edoardo Sanguineti, Ben Vautier, Vettor Pisani, Gian Marco Montesano, Tommaso Lisanti, Fathi Hassan, Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi, Carlo Maria Mariani, Alberto Abate, Roberto Barni, Teresa Iaria, Mark Kostabi, H.H. Lim, Felice Levini, Andrea Fogli, Giuseppe Salvatori, Vincenzo Agnetti, ed il tuo compagno di strada Achille Bonito Oliva, e ancora Gabriele Perretta, Andrea Bellini e il critico marchigiano Luciano Marucci, non ti sei ancora rotto? Tu che ti sei trasferito nel 1974 a Roma e hai aperto gallerie e fatto mostre per poi riportarli nelle tue Marche antiche e costanti, a Macerata, non ti sei ancora rotto? Tu che hai organizzato mostre nella tua villa di Chiesanuova di Treia e hai fatto affrescare le pareti con i wall drawings di Sol LeWitt, hai organizzato concerti affascinanti con il tuo appassionato pianoforte, hai onorato il ricordo del tuo caro amico Gino De Dominicis il primo aprile del 1999 con una bellissima manifestazione d’affetto di tutti i suoi amici intervenuti per l’occasione, quali Italo Tomassoni, Giulio di Groppello, Franco Toselli, Carlo Cattellani, Giorgio Franchetti, Giorgio Colombo, Lucrezia De Domizio Durini, Bruno Corà, Laura Cherubini, non ti sei ancora rotto? Tu che hai due bellissimi figli, Gino e Francesca, che hanno aperto nel 2005 una loro bellissima galleria “Per mari e monti” a Civitanova Marche e l’altro bellissimo, Nicola, che lavora in quella di Roma, e che continuano la tua nevrosi artistica e a sopportarti, non ti sei ancora rotto?

 

Pio Monti: No!

 

Serafino Fiocchi, collezionista

Ciò che un collezionista d’arte contemporanea rileva, nell’ambito della produzione artistica di Ancona e provincia (ma anche del resto delle Marche), è l’obbiettiva difficoltà di conoscere l’operare creativo dei giovani. E questo per due motivi fondamentali:

- Sono quasi inesistenti le iniziative, organizzate con serietà scientifica, che consentono di valutare con attenzione il panorama della creatività espressa dal territorio; e quelle poche che ci sono, appaiono per lo più estemporanee, affidate talvolta alla buona volontà dei singoli autori, ma senza alcun progetto critico sotteso, altre volte a veri e propri improvvisatori che, dalla sera alla mattina, con scarsa o nulla competenza, si sono autopromossi esperti d’arte nonché talent-scout;

- Appare estremamente elevato il numero di coloro che si accostano al fare arte (pittura, scultura, grafica, fotografia, videoarte e così via) e da ciò deriva un’eterogeneità incredibile tra talenti effettivi e velleità dilettantesche che rende difficile, anche a occhi allenati, di separare il grano dall’oglio.

A quanto sopra si aggiunge la sopravalutazione del portato economico che oggi i giovani tendono a dare ai propri elaborati.

Per quel che riguarda, invece, il settore (diciamo pure la parola: il mercato, dato che io parlo da collezionista, quindi dalla parte di chi le opere le acquista) degli artisti storicizzati, esso si muove, com’è logico che sia, su binari più ordinati.

Forse occorrerebbe che da parte degli enti amministrativi pubblici si manifestasse concretamente una maggiore sensibilità e attenzione verso il mondo dell’arte contemporanea (sia di quella affermata sia di quella emergente) con la conseguente organizzazione di eventi di corretta ed elevata caratura scientifica. La qual cosa consentirebbe, da una parte, lo sviluppo della diffusione della conoscenza di un settore importante della crescita civile e culturale, quale è indiscutibilmente l’arte; dall’altra offrirebbe a noi collezionisti parametri di orientamento meno confusi di quelli attuali che ci indurrebbero a dare, mediante l’acquisizione di opere da destinare alle raccolte, il nostro sia pur modesto contributo all’evoluzione del gusto estetico ma anche alla sopravvivenza dei giovani talenti certi.

Poiché non c’è mai da inventare niente di molto originale, basterebbe uniformarsi a quanto altre regioni (vedi la Lombardia, per esempio, ma da qualche tempo anche il Piemonte, senza escludere il Lazio) stanno facendo per lavorare seriamente attorno a una politica culturale delle arti visive che metta anche noi collezionisti nella condizione di poter vedere, valutare e acquisire, senza dover annaspare nel mare magnum del tutto e del comunque.

 

Marcello Diotallevi, artista

Circa trent’anni fa - allora abitavo a Roma - dovendo decidere se andare a vivere a Fano o Parigi (la vita o l’opera), scelsi Fano. Se fu saggezza o follia non mi è dato sapere. D’altra parte la situazione artistica fanese (che andrò a valutare) è sempre stata molto diversa da quella parigina. A tal proposito alcuni amici artisti e critici che vivono colà mi dicono da sempre scherzosamente che è quanto meno eroico, oltreché inutile, fare l’artista in una città dove gli appuntamenti importanti con l’arte non esistono. Infatti sulla condizione dell’arte contemporanea a Fano c’è poco da stare allegri.

Un episodio su tutti: nel 1997 il critico Luciano Marucci ideò e curò una interessante mostra di gruppo con artisti marchigiani, itinerante in varie città delle Marche. Il titolo appropriato e suggestivo era “Markingegno”. Io sarei stato il referente per Fano e avrei dovuto proporre all’assessore alla cultura l’operazione e procacciare uno spazio espositivo. Feci la proposta mostrando il menabò del catalogo all’assessore, il quale, dopo averlo sfogliato distrattamente, mi disse che la cosa non lo riguardava perché era di competenza di colui che si occupava delle politiche giovanili (sic). Al di là del perfetto disinteresse per l’arte, l’assessore come sempre aveva “capito” tutto! Ringraziai e salutai. In alternativa, mi fu data da gestire la mostra a Pergola che tra l’altro andò benissimo.

Ho voluto raccontare questo ‘aneddoto’  perché lo ritengo paradigmatico di una realtà topica.

Non ho mai avuto assolute verità, ma precise convinzioni sì, e alla luce di queste descriverò in sintesi la situazione attuale delle arti visive a Fano. L’ente pubblico - nella persona dell’assessore alla cultura - da lunga data è praticamente latitante, tranne qualche rara e assai discutibile manifestazione di matrice clientelare. La critica, sia militante sia cattedratica, non ha mai abitato questa città. Il collezionismo è rivolto quasi totalmente ad artisti di fama municipale. La situazione va migliorando se prendiamo in considerazione le gallerie private che, per numero e attività, svolgono egregiamente il loro variegato servizio sopperendo, quando possono, anche alle assenze istituzionali.

Veniamo ora ai protagonisti assoluti, senza i quali verrebbe meno quel nobile manufatto chiamato arte, cioè gli artisti. Le Marche, in particolare nella prima metà del Novecento, hanno dato i natali ad artisti di grande statura.

A Fano, nonostante l’incertezza e la confusione che regnano nelle arti in quest’alba di secolo e millennio, gli artisti non sono mai mancati, ma oggi stentano quasi tutti, in particolar modo i giovani, a trovare (per scelta o per ventura) la loro giusta dimensione.

La realtà artistica pesarese nella sua totalità, pur abitando io a pochi chilometri di distanza, mi sfugge. Mi preme però sottolineare l’attività svolta dalla “Pescheria” che da vari anni con puntualità e accortezza marca la sua presenza sul territorio.

A cura di Luciano Marucci

1a puntata

 

[«Juliet» (Trieste), n. 138,  giugno 2008, pp. 54-55. Il servizio comprende 2 immagini]