Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Luca Maria Patella (n. 62/1993)
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ROMA 

L’originale esposizione di Luca Maria Patella, organizzata dall’IstitutoNazionale per la Grafica/Calcografia, rappresenta un avvenimento che ridà fiducia nell’arte. La mostra, come dice il titolo “indicazioni per una Ontologica/Antologica”, offre “assaggi” (sostanziosi) della produzione dell’artista, rivisitata a ritroso, soffermandosi sulle principali stazioni del suo solitario percorso creativo. Essa, tra l’altro, è accompagnata da una voluminosa monografia, edita da Jandi Sapi, che documenta e analizza la sua opera con testi critici e oltre 200 schede scientifiche. Patella - uno degli artisti più riflessivi e innovativi di oggi - non si è mai lasciato possedere dai movimenti organizzati, dalla critica e, tanto meno, dal mercato: fin dagli inizi, ha portato avanti, con intelligenza e passione, una “sua” ricerca, per certi aspetti, difficile da assorbire, essendo fortemente interessato ad esplorare-conquistare territori sempre più ardui, spinto non da esigenze puramente formali, ma da pulsioni profonde e dalla urgenza, intellettuale e Poetica, di uscire dal conformismo artistico-culturale del nostro tempo. Per attuare il suo ambizioso progetto riversa nell’arte tutto se stesso, senza risparmiarsi, e pratica “la logique du Tout”, ossessionato com’è di penetrare - con impegno morale, acutezza e uso di più mezzi  - nella complessità dell’esistenza per coniugare arte e vita in una dialettica partecipata tra i vari elementi privilegiati, nonché per elogiare i valori dell’interdisciplinarietà e, a un tempo, contestare la specificità dei linguaggi ancor oggi frequentata dai più. Ne risulta una tensione critico-creativa continua, un’opera plurisignificante che rappresenta il check-up della sua vita psicofisica, caratterizzata da una insolita densità. Insomma, Patella, non dimenticando la storia, ma ripartendo soprattutto da Duchamp ed attingendo le energie più vitali dal reale e dall’irreale con una articolata idea-ideale, ha deciso, irrevocabilmente, di compiere un lavoro radicale in espansione per fare “l’arte che non c’è”.

Luciano Marucci

 [«Juliet» » (Trieste), n. 62, aprile-maggio 1993, p. 67]