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ROMA

Marco Tirelli, per la Galleria dell’Oca, ha realizzato 13 opere verticali, a grandezza d’uomo, che alludono ad una iconografia tra il sacro e il profano; a “porte” che conducono al di là del sensibile. In una parete sono stati ordinati altri 15 lavori, di dimensioni più ridotte, a formare una sorta di “quadreria” di antica memoria. La mostra riafferma il sequenziale avanzamento dell’artista all’interno di una poetica ormai ben definita che esclude artificiosi gesti trasgressivi. La sua produzione - che nasce da profonde esigenze spirituali e dalla meditazione - si sviluppa nella coscienza della totalità del mondo fino ad assumere una dimensione cosmica. Per lui la “pittura” è il luogo della virtualità, il mezzo ancora più adatto per compiere quell’indagine quasi scientifico-mistica che gli consente di arrivare alla massima sublimazione e di comunicare. Non è fatta di pura astrazione, ma di geometria simbolica ricca di rimandi culturali, di forme storico-archetipe finalizzate alla percezione. Tirelli costruisce le opere con spirito metafisico-concettuale per andare oltre le apparenze, con immagini funzionali all’essenzialità perseguita e l’uso di personali tecniche. Dà importanza al linguaggio, ma fa prevalere i contenuti; analizza, ma senza soffocare la forza degli impulsi interiori. La sua avvincente ricerca si compie su un territorio che va dalla Storia all’Ignoto per portare lo spettatore sulla soglia del trascendente, del mistero dove l’unica certezza afferrabile è il rigore morale.

Luciano Marucci

 [«Juliet» » (Trieste), n. 63, giugno 1993, p. 69; anche in FRANCO FRANCESCO (a cura di), Spazio d’arte. Roma 1993-2004, antologia di testi critici editi e inediti, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Scienze Umanistiche, p. 82]