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MONSAMPOLO

Nata da un’intesa tra pubblico (Regione, Provincia, Comune) e privato (cooperativa culturale “Marca d’Autore”  e galleria Neon di Bologna), l’esposizione denominata “Page”,  ambientata nelle stanze del suggestivo Chiostro di San Francesco, ha presentato installazioni di 8 giovani artisti che, pur nella loro individualità, privilegiano la risorsa mediale per finalità concettuali, accomunati dall’intento progettuale e dalla volontà di  attivare mentalmente il fruitore. Alberto Zanazzo, per il quale l’opera deve riflettere anche il pensiero (politico) dell’autore, ha visualizzato un “Report-âge” critico e di denuncia di allarmante attualità, giocando sul  titolo della mostra e sulla  sacralità del luogo. Più sottile la provocazione di Emilio Fantin il quale, per rivendicare l’autonomia dell’arte rispetto al sistema espositivo oggi troppo distraente, ha composto tre elementi eterogenei (oggettuale, sonoro e figurale) concettualmente correlati. Francesco Bernardi questa volta ha esposto in pubblico il suo privato: nei cassetti di uno schedario domestico ha archiviato alcuni oggetti d’affezione accumulati nel tempo, mentre da un ministereo si poteva ascoltare una dolce canzone brasiliana che parlava di cose personali. Maurizio Mercuri, invece, ha effettuato un collegamento elettronico-immaginario tra un elemento mediale (registratore portatile che trasmetteva canzoni) e uno naturale (conchiglia evocatrice della sonorità primordiale del mare), stabilendo un abbinamento volutamente elementare. Nel lavoro di Martin Hidding la relazione tra  mentale e visivo era più leggibile, data da due light-box con uno stesso interno: una dall’immagine nitida, presente; l’altra sfocata, allontanata nella memoria. Franco Marconi, ha posto sul pavimento inquietanti forme-materia (lievitanti, magmatiche) di pelle nera a de-costruire la sua ossessiva, simbolica rosa, come arcipelago affiorante dall’interiore con allusioni antirazziali e a una fiaba di Oscar Wilde. Sabrina Muzi dalle pareti del suo ambiente ha fatto emergere con veemenza strutture primarie serializzate concretizzando una doppia relazione: tra i sensibili segni-cromatici e gli spazi virtuali delle forme tridimensionali che le accoglievano e tra  queste ultime - viste come  segni plastici minimal decontestalizzati - e lo spazio reale in cui agivano. I dipinti su fogli di acetato di Angelo Monaco, raffiguranti anatomie umane ed animali, erotiche e sacre, in bilanciati collegamenti, tendevano a trovare continuità temporale e analogie fra iconografia classica e stereotipo da body building. Questo progetto per l’arte giovane prevede altri appuntamenti ed è corredato da un catalogo a schede che documenterà nel tempo le diverse presenze.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 69, ottobre-novembre 1994, pp. 66-67]