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PARIGI

L’artista pesarese Oscar Piattella, dopo le prime suggestive esperienze in pieno clima informale, si era progressivamente orientato verso forme razionali adottando un modulo, ordinato in griglie ortogonali, con cui realizzava composizioni pressoché geometriche soprattutto alla ricerca di calibrati effetti pittorici ottico-dinamici. Da qualche tempo quell’elemento-base dei suoi quadri si è dilatato per portare alla luce certe preziosità della materia-colore. L’impianto minimale dell’opera si è aperto a forme-linee-cromatismi che restituiscono alla visione l’immagine non figurale, l’essenza di un paesaggio intimamente vissuto e idealizzato. È come se la struttura geometrica dell’opera si fosse rotta e, sotto il costante controllo del pensiero, l’autore volesse far riacquistare spazio al sentimento della natura, alla sua vitalità  nascosta, attraverso una maggiore spontaneità e l’uso simbolico di colori industriali (azzurro,  verde, oro in accostamenti timbrici) o di quelli ottenuti dall’elaborazione sublimante di componenti polimateriche. Una serie di 25 opere, in rapporto quasi sequenziale fra loro, ascrivibili a questa nuova indagine come al solito rigorosa e sensibile,  sviluppata da Piattella negli ultimi due anni, è stata esposta alla Galleria Arlette Girnaray offrendo una unitaria visione tautologica dell’insieme.

L’ampio spazio della Galleria Dionne ospita ben 40 pezzi, anche di grandi dimensioni, realizzati da Walter Valentini negli ultimi due anni all’insegna di “Spazio e Tempo”: lavori su tavola e su carta, incisioni e libri-opera. Va ricordato che l’artista ha saputo nobilitare il segno proprio dell’incisione da cui era partito, dandogli corpo pittorico e plastico. Combinandolo intimamente con la materia-colore e immettendolo nella terza dimensione, ha realizzato opere a due dimensioni, oggettuali e installazioni. La sua è un’arte colta che si sviluppa dentro la tradizione pittorica italiana.  Ripropone le armonie rinascimentali con i mezzi espressivi dei nostri giorni, per cui i riferimenti al passato diventano percorsi mentali. E l’opera, d’impostazione architetturale, evidenzia intenzionalmente la processualità costruttiva, senza peraltro reprimere immaginario e libera percezione. In essa convivono razionalità e fantasia, mentre l’abilità tecnica è sottomessa al linguaggio. Nei lavori più recenti si nota minore interesse per i reperti storici, più largo uso di materie cromatiche, minerali e alchemiche, di geometrie che visualizzano un pensiero matematico e raffreddano l’immagine portando ad esplorare altri universi metafisici e misteriosi paesaggi cosmici.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 77, febbraio-marzo 1996, pp. 61-62]