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ROMA

Sol LeWitt nella sua ultima apparizione italiana alla Galleria Bonomo, insieme col suo lavoro ha presentato quello della giovane artista statunitense Robin H. Kennedy attualmente operante in Umbria. Sorprendenti per la libertà dell’impianto compositivo rispetto all’abituale rigore geometrico, i gouaches dell’artista minimalista. Il colore-segno in regolari strisce ondeggianti che affastellano i fogli di questa nuova ricerca, è immediato, pressoché automatico, ma inespressivo come sempre e senza approfondimenti pittorici. La Kennedy ha riunito i pezzi più significativi della sua produzione scultorea, dagli esordi (1990) ad oggi: “ritratti” in bronzo, “animali” e “vesti” femminili in gesso colorato o in legno policromo che evidenziano la sua tensione verso l’esplorazione di una via linguistica personale, al di fuori di ogni schematismo di tendenza. Nelle opere più recenti sono stati castigati i colori accesi che erano caratteristici della fase precedente, assorbiti dalle forme assolute ora rivestite della patina della memoria che ha il potere di museificare il soggetto. Resta quindi repressa anche la sensualità delle opere prime, mentre l’oggetto scultoreo acquista una purezza ellenistica e un distacco metafisico tra staticità storica e inquietudine contemporanea. In questo senso, particolarmente interessanti la “Gravida seduta” e la “Visitatrice”. Una serie di grandi disegni colorati, vivificanti e seducenti, è la riprova della sensibile indagine, formale ed introspettiva, dell’autrice.

Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 76, febbraio-marzo 1996, p. 70; anche in FRANCO FRANCESCO (a cura di), Spazio d’arte. Roma 1993-2004, antologia di testi critici editi e inediti, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Scienze Umanistiche, p. 35]