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PERUGIA

“Diary of Seychelles” su Joseph Beuys, allestita nei suggestivi spazi della Rocca Paolina, è stata organizzata dal CERP (curatore Giorgio Bonomi) in collaborazione con Lucrezia De Domizio, per il primo decennale della scomparsa dell’artista. Ha raggruppato 80 scatti fotografici di Buby Durini, a testimonianza degli interventi in “Difesa della Natura”, e dodici opere inedite che ricostruiscono il contesto ambientale in cui esse erano nate (Africa, Natale1980). Al convegno internazionale, tenutosi il giorno dell’inaugurazione, hanno partecipato relatori di spicco.  Peter Weiermair, ricollegandosi al problema già sollevato da Szeemann, ha parlato di come riproporre oggi l’opera di Beuys intimamente legata alla sua esistenza. Infatti, le sequenze fotografiche documentando solo istanti di vita o  eventi, non riescono a riprodurre più di tanto il reale e non annullano l’effetto finzione, mentre i manufatti artistici risentono dell’assenza dell’autore. Bruno Corà, con sensibilità di poeta e acuta analisi, ha saputo cogliere gli aspetti più significativi dell’avventura terrena dell’artista tedesco “campione di umanità nuova”. Come ha ricordato la De Domizio, la sua figura mitica è ancora controversa: alcuni lo definiscono uno sciamano dello spirito che tentava di sconfiggere gli errori storici, un genio della nuova creatività che ha saputo andare oltre Duchamp; altri (i conservatori) semplicemente un mistificatore. Sta di fatto che diverse generazioni di artisti lo hanno attentamente guardato e, a tutt’oggi, il pensiero beuysiano non è per nulla superato. Semmai, si distanzia dal tempo presente per l’irripetibilità dell’esperienza con la quale egli aveva esteso il concetto di arte fino a  plasmare la “social sculpture”.  Insomma, il fenomeno Beuys resta ancora da scoprire e da vivere più che da raccontare...

Una mostra per molti aspetti esemplare quella di Enrico Castellani e Marco Tirelli messi a confronto dialettico dalla Galleria Extra Moenia di Todi. Due artisti diversi per generazione, formazione e intenzioni, ma con molte caratteristiche convergenti sul modo di concepire l’arte. Alludo, in particolare, al metodo operativo analitico-progettuale e all’uso della geometria e della luce. Si somigliano anche nella tensione verso l’assoluto. Dalle loro ricerche, rigorose e consequenziali, formalizzate con una manualità che nobilita la pratica artigianale, derivano opere calibrate ed essenziali, dalla purezza minimale. Le differenze sono da rintracciare non tanto nella diversità dell’oggetto pittorico (monocrome le ‘superfici tridimensionali’ di Castellani; più virtuali gli ‘oscuri’ dipinti di Tirelli), quanto nel messaggio. Mentre l’opera del primo è fondata sull’indagine spazio-architetturale per realizzare un’immagine organico-oggettiva che si dà tutta alla percezione estetica; quella dell’artista romano-umbro nasce da una investigazione linguistica al servizio dell’interiore: si manifesta attraverso forme di una geometria simbolica carica di senso che racchiude le memorie del mondo ed esprime, con intensità drammatica, le inquietudini esistenziali. In sostanza, un’esposizione di due autori solidi che lavorano seriamente e preferiscono frequentare i silenzi di contesti mentali - strutturali o metafisici -  prendendo così le distanze dalle rumorose esperienze di altri operatori più  inclini all’improvvisazione.

Il ritmo delle esposizioni al Flash Art Museum di Trevi si è fatto piuttosto regolare ed ecco Panorama Italiano 1 seguito da: “Ai confini della terra” a cura di Vittoria Coen, “Antologia” di Luca Beatrice e Cristiana Perrella, “La profondità dello sguardo” di Italo Tomassoni. Tutte rassegne che, a leggere i nomi degli invitati, lasciano ben sperare. Anche questa ricognizione (prima di una serie) è stata una mostra godibile e fresca con un nucleo di artisti emergenti, prevalentemente giovani, già fattisi notare in altre occasioni, che hanno confermato le loro capacità: Vanessa Beecroft, Dario Bellini, Simone Berti, Roberto Costantino, Santolo De Luca, Antonio De Pasquale, Paola Gaggiotti, Paola Gandolfi, Otto Kinder, Luisa Lambri, Luciana Livi, Ivo Mahlknecht, Miltos Manetas, Margherita Manzelli, MCH, Daniela Monaci, Daniela Papadia, Alessandro Pessoli, Franco Rasma, Antonio Riello, Andrea Salvino, Josephine Sassu, Francesco Scialò, Alessandra Tesi. Essi fanno uso dei mezzi espressivi più diversi: pittorici, oggettuali, fotografici, video. In un certo senso riflettono l’attuale scenario italiano certamente caratterizzato da esperienze linguisticamente eterogenee con frequenti suggestioni derivanti più dal presente che dalla storia.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 79, ottobre-novembre 1996, p. 68]