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ROMA

Bruno Racine, nuovo direttore dell’Accademia di Francia, ha inaugurato l’ “Atelier del Bosco” (nell’ex studio di Balthus) per un ciclo di esposizioni che nei prossimi anni vedrà avvicendarsi operatori della capitale.  Non a caso, per la ‘prima’, a cura dell’Associazione Zerynthia, è stata chiamata Carla Accardi, pittrice italiana tra le più prestigiose e vitali, particolarmente legata alla Francia che ha già avuto modo di apprezzare le sue raffinate opere dalla sensibilità mediterranea. Per l’occasione l’artista ha realizzato quattro grandi quadri-schermo creando un’atmosfera gioiosa e magica. Diversificata la loro strutturazione, animata da un segno riconoscibile ma mai ripetitivo; immediato e manipolato, elegante ed enigmatico, che dall’arcaico approda al contemporaneo. Un segno sempre più protagonista, interagente con lo spazio fino a divenire forma dinamica e instabile, costruita dalla luce attraverso la timbrica combinazione di pochi colori primari. L’indeterminatezza dell’immagine, aniconica e labirintica, crea continuità tra i singoli lavori ed evidenzia la tensione di una ricerca che nasce dagli impulsi profondi e si sviluppa grazie alla costante verifica concettuale, senza però soffocare l’emozione. La produzione della Accardi si è imposta nel tempo per consequenzialità, autenticità e qualità estetica nutrita di poesia. La crescita del suo linguaggio, pur rimanendo fedele all’astrazione, è libera e intimamente relazionata alla vita. Tutto ciò conferisce ai dipinti insolita freschezza.

Il lavoro di Chiara Dynys è andato evolvendosi coerentemente secondo un itinerario piuttosto personale. Dalle forme primarie variamente composte e in stretta simbiosi con lo spazio espositivo a quelle più immateriali con strutture di legno e stoffe di abiti da sposa, ad altre - leggere come tutù di ballerina - con scheletro in rame e voile. Una bella mostra alla Galleria De Crescenzo e Viesti ha riassunto i passaggi più significativi della produzione di questa singolare artista milanese. Nel titolo, “Giorni felici”, chiari erano i rimandi letterari e le implicazioni inconscie, con le stoffe della festa applicate su forme d’uovo e le eleganti e inquietanti ali da pipistrello (già ammirate in “Officina Italia” a Bologna). I pezzi, disposti ad installazione, dialogavano e componevano un tessuto narrativo che finiva per coinvolgere emotivamente il visitatore. L’attuale opera della Dynys è apertamente evocativa. Ella stessa nel testo in catalogo chiama in causa Propp e la sua approfondita analisi della fiaba da ricongiungersi alle tappe della vita umana in cui fantasia e realtà s’intrecciano in un sottile gioco di situazioni e accadimenti che ne scandiscono il divenire.

L’accoppiata arte-industria può essere una delle vie percorribili per finalizzare la creatività, sempre che la committenza venga offerta e concretizzata con intelligenza. La Motorola, in collaborazione con la TIM, ha chiamato Paolo Nardon a scegliere 12 artisti che interpretassero un oggetto di uso quotidiano, tra i più desiderati e odiati (nello specifico il cellulare modello Star TAC) e che esponessero un secondo pezzo a tema libero. La mostra che ne è risultata, I colori della luce, è stata degna di attenzione anche perché le opere erano presentate nelle sale del Museo Barracco con pregevoli reperti egizi e romani. Sono stati prescelti operatori di varia estrazione linguistica, quasi tutti dalla spiccata individualità: V. Adami, G. Alviani, P. Consorti, P. Echaurren, A. Generali, M. Kostabi, A. Mendini, G. M. Montesano, U. Nespolo, T. Pericoli, M. Rotella, M. Schifano. Con diversa sensibilità hanno dato una rappresentazione iconica dell’assunto senza tradire il loro abituale stile. Alcuni aderendo ad una visione più mitica, compiacente, ironica o inquietante della tecnologia; altri più vicini ad una iconografia mediale con citazioni anonime, intime o ideologiche secondo il nuovo immaginario popolare. Particolare degno di nota: i soli lavori a tema, dopo essere stati riprodotti su un calendario e alcuni in grafiche a tiratura limitata, verranno donati dallo sponsor alla Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Il Novecento nudo, la megamostra, curata da Marisa Vescovo per il Comune di Roma, era ordinata in sei sezioni in cui il corpo era indagato in rapporto con Tempo, Eros e Psiche, Anima, Mito, Origine, Simbolo. La rassegna, allestita presso il Museo del Risorgimento, lo metteva a nudo dalle neoavangurdie alle avanguardie storiche, ai figurativi più accademici e documentava come, a colpi di pennello e di scalpello, di clic fotografico o di computer, sia stato ritratto, manipolato o reinventato in mille sembianze; abbia subìto deformazioni espressionistiche e sezionamenti cubo-futuristi; ostentato aspetti erotici o spirituali, sia stato dissacrato dai dadaisti, archeologicizzato dai metafisici, rivisitato e reiterato dai popartisti, mitizzato dagli anacronisti o dai transavanguardisti; simulato dagli iperrealisti, smaterializzato dai concettuali. Aperta dal “Gran nu allongé” di Modigliani, l’esposizione riuniva autori che hanno contribuito a delineare la storia dell’arte di questo secolo. Più classica che attuale, ha raggruppato soprattutto nomi consolidati. Il panorama, chiaramente, non poteva essere esaustivo, ma, le ultime tendenze, anch’esse figlie del ‘900, avevano poche presenze, tra cui: Barceló, Boetti, De Andrea,  Dumas,  Kirchhoff, Luthi, Ontani, Pisani, Pistoletto, Reiner. Si è sentita la mancanza della dimensione performantica, visto che il Novecento è stato caratterizzato per qualche decennio dalla Body art che si è espressa con azioni dal vivo e che, a giudicare anche da certi recenti interventi di chirurgia plastica..., non vuole invecchiare. Altra discriminazione quella dell’immagine mediale non storicizzata, ma espressione della realtà artistica di questi anni. Alcuni artisti irrinunciabili erano presenti con lavori seminudi..., ma va detto che il tema, per molti versi seducente, non era certamente semplice da gestire, sia nell’assicurarsi le opere più rappresentative, sia nel raggiungere la divina proportione.

Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 87, aprile-maggio 1998, p. 78; solo Dynys anche in FRANCO FRANCESCO (a cura di), Spazio d’arte. Roma 1993-2004, antologia di testi critici editi e inediti, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Scienze Umanistiche, p. 67]