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PESARO

Alla Galleria di Franca Mancini, a cura di Roberto Caldura, una mostra di tre individualità, supportata da una discussione pubblica su “Prossimità e Distanza” dell’opera nell’odierno sistema dell’arte. Luigi Carboni era presente in parete con volti in ceramica policroma (maschere come forma-immagine levitante da cui emergono i segni dell’invisibile) e tre quadri di “percezione mimetica”, dove era ancora evidente la speculazione sul rapporto tra decoro della superficie e intime profondità, senza mai trascurare la qualità pittorica e poetica. Massimo Kaufmann ha proposto una serie di quadri dello stesso formato con silhouette di figure umane, questa volta marchiate da pesi reali, assunti come entità formali che creavano uno sbilanciamento visivo e una relazione concettuale. Serse Roma ha esposto (in sommità), tre lavori a grafite aventi per soggetti le nubi, per creare uno spaesamento nel paesaggio aereo (ancor più lontano di quello abitato dal quotidiano) non inteso come luogo dell’isolamento romantico, piuttosto come atteggiamento critico dell’individuo verso il sociale.

Nella stessa galleria è seguita la mostra di Haim Steinbach, l’artista americano di origine israeliana tra i più presenti nel nostro Paese dove ha dato modo di apprezzare non soltanto le mensole (raffinate testimonianze  oggettuali della civiltà dei consumi), di derivazione pop, minimal e concettuale, ma le installazioni sempre relazionate alle culture dei luoghi. Attitudine questa connaturata al suo nomadismo e alla capacità di analizzare e sintetizzare i fenomeni storico-sociali dal punto di vista estetico-antropologico. Di ogni sua apparizione colpisce, appunto, l’abilità di penetrare creativamente nello spirito dei diversi siti seguendo un metodo freddo e sensibile. L’esposizione, nell’ambito dei Reincontres per il Rossini Opera Festival (che ogni anno sceglie un nome di levatura internazionale), conferma la serietà con cui la città marchigiana abbina musica e arti visive. Anche l’artista ha messo il massimo impegno in quest’ultima committenza. Dopo aver esplorato le varie possibilità, ha interagito con i personaggi de’ “L’Italiana in Algeri” (specificatamente con lo spettacolo che nel 1994 vide Dario Fo regista), portandoli nella spaziosa galleria per proporre una situazione del tutto nuova in Rossini at 4 a. m. Ha occupato completamente lo spazio espositivo con una incastellatura di tubi Innocenti color argento e, sui piani in cristallo, ha posto a dormire i manichini in costume che sognavano lo spettacolo del giorno dopo in un mixage armonico di musiche, ovviamente rossiniane, provenienti da otto punti, attraverso le quali l’opera si frammentava e si ricomponeva. L’effetto scenico era suggestivo, il clima surreale, il coinvolgimento totale.

Con Omnia Mutantur la curatrice Antonella Micaletti è andata alla scoperta di “Cantieri creativi nel territorio marchigiano” ed ha proposto quaranta luoghi di esposizione nello spazio urbano individuati da trentuno artisti. Intendimento: coinvolgere l’ambiente pesarese in un evento laboratoriale che ha focalizzato momenti di riflessione sui vettori di energia umana, i quali stanno segnando profondi mutamenti nella planimetria della città. Ripartendo dall’esperienza della mostra-inchiesta itinerante Markingegno, organizzata da chi scrive, sono state interessate forze produttive e amministrative locali con la finalità di tracciare un percorso nuovo che collegasse centro e periferia, il primo inteso come polo di aggregazione sociale e come utilizzo di edifici storici obsoleti. Il prodotto artistico è servito da “collante sociale” e  da “chiave di interpretazione del presente”. Tra gli espositori più convincenti: A. Amadio, R. Canarezza, N. Cingolani, P.P. Coro, M. Diotallevi, A. La Motta, G. Sales, N. Luciani, G. Tomasello, C. Tonucci, M. Vitangeli

Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 89, ottobre-novembre 1998, pp. 77-78]