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PESARO

In concomitanza con i vent’anni di attività del Rossini Opera festival, Franca Mancini ha affiancato la manifestazione musicale con un’altra delle sue mostre-evento chiamando Joseph Kosuth, “concettuale” della prima ora. In precedenza erano stati invitati Rauschenberg, Kounellis, Paolini, A. Pomodoro, Burri, Wilson, Isgrò, i Poirier, J. J. Lebel e, l’anno scorso, Haim Steinbach. Tutti ogni volta si sono rapportati con l’opera del grande musicista pesarese. In “Frammenti di Rossini (Ospiti e Stranieri)” l’artista americano, che da anni vive anche in Italia, si è appropriato di frammenti rossiniani da “Il turco in Italia” e “L’italiana in Algeri”, per costruire un’installazione multisensoriale. Ha fatto dipingere di nero l’intera galleria e vi ha disposto 20 composizioni, in luminoso neon bianco con parole e note relazionate fra loro e con lo spazio architettonico che le ha accolte. L’insieme era armonizzato da un sottofondo musicale tratto dalle predette opere liriche. Kosuth è passato dalla semplice citazione all’autoproiezione (riferita alla sua condizione di “ospite/straniero”), alle implicazioni plurime. Ha creato così un intenso rapporto tra installazione e fruitore che, dalla visione puramente estetica, poteva sconfinare fino alla sfera sociale. Quindi, dalla staticità delle opere sulle pareti si passava alla mobilità di significati che si espandevano all’esterno. L’intervento, inoltre, ha consentito di capire, non soltanto dal lato morfologico, come era strutturata l’opera composita e come si poteva, attraverso l’intuizione e la progettazione mentale, andare oltre i codici tradizionali. Il lavoro, calibrato in ogni sua componente, è risultato aristocratico e, nello stesso tempo, contaminante.

Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 95, dicembre 1999-gennaio 2000, p. 76]