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PESARO

Dopo aver praticato con una propria individualità certi luoghi linguistici delle neoavanguardie, Luigi Carboni ha dato sempre più sfogo alla propria libertà espressiva, attraverso cicli tematici consequenziali, fino al recupero, con atteggiamento concettualmente provocatorio, di forme di una natura, ‘costruita’ da una giungla di segni e colori artificiali, così seducente da astrarre dal reale. Seguendo procedimenti meccanici e giocando sull’ambiguità percettiva legata ad una iconografia dall’aura finto romantica, ottiene raffinate opere che lasciano trasparire la sua voglia di sperimentare nuove vie per far sopravvivere la ‘pittura’. Sia pure a distanza, continua a dialettizzare col presente per offrire un prodotto, ancora godibile esteticamente e poeticamente: sottile metafora del decadimento culturale della nostra epoca. Per estendere l’indagine e dare plasticità alle sue ideazioni, di tanto in tanto irrompe nella terza dimensione. Ne consegue che in ogni personale propone nuove elaborazioni, anche se a volte i quadri possono sembrare più inclini a sfruttare il consenso derivante dalla loro ‘bellezza’ che processuali in senso strutturale o interiore. Così, nell’accurata mostra alla Galleria di Franca Mancini, accanto ai dipinti diversificati negli esiti di indubbia qualità, ha presentato le ultime sculture-installazioni, realizzate con materiali inusuali per in-consistenza materica: una, con morbidi elementi in lattice di caucciù combinati ad oggetti evocativi, dal pavimento si propagava sulla parete; l’altra in vetroresina allo stato puro - trasparente e visivamente vulnerabile come cristallo – si appropriava dello spazio agibile per ri-creare un paesaggio naturale-virtuale congelato nel tempo della memoria.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 104, ottobre-novembre 2001, p. 77]