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MARCHE

La vasta esposizione “Andar per fedi”, allestita a Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, per Terenzio Eusebi ha rappresentato una buona occasione per far conoscere il suo lavoro recente che continua ad evolversi in maniera sempre più convincente. L’artista ha presentato dipinti su tela, su carta e supporti non convenzionali, oltre a opere tridimensionali in vetroresina e singolari installazioni che evidenziano il suo nuovo interesse per forme geometrizzate e plastiche, nobilitando materiali inerti e dando corpo e spazio a simbologie metamorfiche, misteriose e magiche, in bilico tra misticismo ed erotismo. Lavori raffinati, ma non estetizzanti, che, senza dimenticare la tradizione, sviluppano un linguaggio personale, tendono ad attualizzare il mezzo pittorico e a indicare la via dell’introspezione. Ora, dunque, gli elementi del suo repertorio intimo, attraversando subconscio- memoria-consapevolezza, emergono con più determinazione sullo sfondo di inquietudini esistenziali. E sottendono una dialettica tra la sua radicata soggettività - alla ricerca di un altrove più vero e umano - e i comportamenti collettivi sempre più omologati. Da qui l’autenticità e l’urgenza, la problematicità e l’instabilità della sua esperienza in divenire.

Vita artistica movimentata quella di Antonio Trotta che, giovanissimo, si trasferisce in Argentina e inizia a battere le strade dell’arte aderendo a una pittura post-informale. Rientrato in Italia nel 1968 su consiglio di Fontana, pratica esperienze concettual-poveriste, mentre dagli anni Ottanta affronta la scultura rivisitando i materiali classici: bronzo, mosaico, marmo. Enrico Astuni, di casa anche a Pietrasanta, dove da tempo l’artista si è trasferito, ha attuato due sue belle esposizioni a Fano: una nella propria Galleria e l’altra nella Chiesa di San Pietro in Valle, presentando opere plastiche, precedenti e recenti, incentrate sul rapporto con l’alta poesia.  Ecco allora i modulari “Sospiri”; il letterario “Sacco di Baudelaire”; l’evocativa fontana di “Mallarmé”; le metaforiche ‘Lacrime del ‘68”; le ammalianti… “reti” di Virgilio, Saffo, Dante, Ovidio, Teocrito; il “Patio” neobarocco e romantico; l’arioso e fragile ‘panneggiotenda’ che scopre una finestra virtuale; i “Fuochi” artificiali di fine millennio in mosaico ed altre piccole e grandi preziosità. Una produzione elegantissima che sfrutta materiali nobili lanciando una sfida alla massima definizione di oggetti scultorei e mentali, vinta grazie a sofisticate tecnologie, sia nel creare levigate superfici minimali, sia nel formalizzare ardite ideazioni. Soluzioni prima impensabili, capaci di alleggerire un mezzo storicamente pesante..., che coniugano tradizione e modernità, essenzialità e ricchezza descrittiva per cogliere seducenti aspetti – sostanziali e marginali - di natura-cultura-mito. Ancora una volta la duplice mostra è accompagnata da un documentato catalogo con testi di Luca Beatrice e Marco Senaldi. Il regesto bio-bibliografico è di Antonio Appiani.

Ottima accoglienza a Pesaro per Enrico Castellani. Tutto  merito di Franca Mancini, la “Signora dell’Arte” nelle Marche, che gli ha riservato l’annuale evento legato al prestigioso “Rossini Opera Festival / Teatro degli Artisti”. L’ormai indiscusso Maestro, per “Les Rencontres Rossiniennes 2002”, ha realizzato “Opus incertum”, mostra in sette situazioni: “Uno spartito” (tridimensionale); “Le sparite” (foto in bianco e nero delle torri scomparse); “Tre quadri” (opere estroflesse); “Quattro fiori” (grandi dipinti con carte da gioco); “Cinque vocali” (su pannelli, disposte a ‘castello’); “Sestetto” (sei metronomi a parete). Ciascuna ‘situazione’ era abbinata a un sottofondo musicale di brani rossiniani. Il composito intervento, anche se articolato in studiate tautologie concettuali riferite alla speciale circostanza, ha offerto l’opportunità di riapprezzare purezza e rigore nella ricerca strutturale, coerente e dinamica; lucidità nel metodo operativo; qualità e classicità oggi piuttosto rare.

Ancora a Pesaro, a cura di Ludovico Pratesi, sono stati chiamati altri due autorevoli artisti. Domenico Bianchi nella Chiesa del Suffragio ha esposto otto grandi opere, costruite con i materiali eterogenei (legno, cera, argento, oro) che ormai costituiscono la sua ‘tavolozza’, associati a ‘profondi’ segni e simboli.  I diversi ‘quadri’, dove tutto era sublimato, componevano un unicum di delicate “mappe dell’anima” che interagiva armonicamente con la sacralità del luogo.

Mimmo Paladino, nell’attigua Pescheria ha portato sculture in gesso e metallo, dipinti e disegni che scandivano le stazioni del suo inconfondibile percorso creativo, iniziato più di trent’anni fa eppure in piena evoluzione, grazie al prolifico, enigmatico immaginario che spazia tra atemporalità e contemporaneità. Sfruttando canoni tradizionali, con moderna spregiudicatezza linguistica compie una sintesi che formalizza in opere di vario genere, dalle bidimensionali alle grandi installazioni. Insomma, due scelte, non casuali, di personalità distinte, ma accomunate dalla vocazione pittorica aperta, da archetipi rimandi culturali e da alchemici esiti qualitativi.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 110, dicembre 2002-gennaio 2003, p. 75]