MARCHE La mostra di Tony Cragg, “Nothing but material”, ha coinciso con il decennale dell’attività del Centro Arti visive Pescheria di Pesaro. Nell’ex Chiesa del Suffragio sono state presentate sette sculture realizzate dal 1999 a oggi, ben documentate da un accurato catalogo (Hopefulmonster Editore) con testi del curatore Ludovico Pratesi. Come sempre, le opere del noto artista inglese esaltano le caratteristiche dei materiali anche più banali e degli oggetti d’uso; ne esibiscono in dettagli le componenti strutturali e cromatiche; creano un impatto sensoriale. Hanno un impianto dinamico e, nell’equilibrio pieno/vuoto, stabiliscono un rapporto silenzioso con lo spazio, assumendo un ruolo autonomo. Evidenziano l’interesse dell’autore per l’oggettualità e la sperimentazione di nuove tecniche da cui ottiene manufatti esteticamente perfetti. Nello stesso tempo hanno tangenze con le esperienze di grandi predecessori (da Boccioni a Brancusi, da Andre a Caro, a Long) e l’eleganza della classicità. Forme ibride, geometriche e organiche, profili di volti e figure totemiche; archetipi, stratificazioni, accumuli, deformazioni, scomposizioni e mutazioni. Soggetti enigmatici; finiti e indeterminati, proposti anche in più versioni; forse metafore di una realtà percepita a distanza, frammentata, instabile. Ogni lavoro è il passaggio di un processo speculativo, di una ricerca alla deriva che rientra nella sua teoria linguistica, sempre afferrabile anche se in continua e rapida evoluzione. Per Cragg i materiali sono l’ “estensione del proprio essere” e la scultura è l’espressione più congeniale ad essi. Sono materiali anche le parti del nostro corpo e ciò che ci circonda (a cui l’uomo attribuisce le sembianze), il cosmo e l’ambiente di vita. Ne consegue che non hanno solo una funzione utilitaristica, quindi, vanno rispettati. E l’arte, come la scienza, può nobilitarli, inventando nuove forme e linguaggi. Questa, in sintesi, l’ideologia da cui nasce l’urgenza e la moderna bellezza di certe sculture. Un altro evento esemplare dell’Associazione “Teatro degli artisti”, attuato dalla Galleria Franca Mancini di Pesaro – attendibile ‘istituzione’ de Les Rencontres Rossiniennes – per l’edizione 2006 ha visto Gilberto Zorio ispirarsi all’Andantino dell’ouverture del Guglielmo Tell, a ricordo del padre che suonava quel motivo nella banda del paese. Così ha realizzato una suggestiva installazione architettonica, concettuale-visiva-sonora, formata da muri che edificavano una ‘torre’ pentagonale chiusa e aperta - come la sua simbolica stella – nello spazio della galleria. La struttura bianca in gasbeton (materiale che ha dato il titolo all’opera), vista dall’alto, componeva, appunto, l’immagine irraggiante della stella – in-stabile, mitica e caduca, tangibile e incorporea – che riacquistava dimensione cosmica. Dall’interno della ‘voragine’ sorgeva una luce artificiale assorbita dal fosforo applicato alle pareti che, a lampade spente, restituiva luminosità evocativa pure attraverso il pentagramma con le note della sinfonia. Sopra l’astro luminoso una lancia tribale, disposta come una lancetta d’orologio, alludeva anche a un paesaggio primigenio e al salvifico dardo scagliato dall’eroe svizzero. Da essa scendeva un filo di rame collegato a un alambicco situato nella “grotta alchemica”. Il congegno delle metafore, catalizzato dalla musica dell’estroso compositore pesarese, traduceva in pieno la geniale ideazione dell’autore. Dunque, un luogo magico e carico di senso che esprimeva tensione creativa e sintesi spazio-temporale, dove la materia sprigionava energia vitale, faceva ri-suonare memorie intime, rivisitando un momento perduto e ritrovato dell’esperienza affettiva dell’artista. E la costruzione, piuttosto meditata, traeva forza dal rischio della libera gestualità. Zorio, come Guglielmo Tell, ha vinto la difficile sfida riproponendo emozione, disperazione e speranza. L’insieme è stato illustrato e analizzato in un’elegante monografia da Bruno Cagli, Ester Coen e Paolo Fabbri. La Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto ha ospitato un’insolita collettiva, concepita in più incontri-confronto con individualità unite da particolari affinità. “Per intima consonanza” è stato il collante ideale che ha consentito allo scrittore fermano Angelo Ferracuti di proporre quattro operatori visuali a seguito di interviste tendenti a focalizzare i caratteri comuni per associarli ad altrettanti poeti dalle sensibilità convergenti. Così Piernicola Cocchiaro - che pratica la pittura tout court per costruire paesaggi impossibili con accesi colori primari e modi non descrittivi - è stato abbinato a Massimo Gezzi; lo scultore Giuliano Giuliani - impegnato a s-cavare dalla materia inerte, fino al limite estremo, misteriose entità metafisiche - ad Adelelmo Ruggieri; Marcello Lucadei – sempre attento nella ricerca di identità territoriali, traslate nella memoria mediante calibrati e leggeri procedimenti foto-grafici e pittorici supportati da un immaginario ideologico - a Enrico Piergallini; Fabrizio Mariani - abile nel valorizzare qualità grafiche, plastiche e cromatiche di materiali inusuali in raffinate e armoniche combinazioni - a Eugenio De Signoribus. Accanto ai manufatti bi-tridimensionali, senza indicazione dei nomi per accrescere la commistione, erano esposte gigantografie dei testi poetici declamati all’inaugurazione dagli autori. E, al fine di ridimensionare... la dominante visiva e di sottolineare l’interazione tra esperienze disciplinari diverse, nel corso dell’articolata manifestazione, Piergallini ha presentato il libro di Ferracuti “Le risorse umane” (Feltrinelli, 2006), mentre l’attore-regista Piergiorgio Cini ha letto alcuni brani della pubblicazione stessa. Inoltre, il giorno della chiusura si è tenuto un accattivante concerto con canzoni di Andrea Strappa su liriche del polacco Wislawa Szymborska, interpretate dal soprano Gloria Strappa. Insomma, un’esposizione composita, elegantemente allestita e concertata..., di presenze marchigiane, per creare occasioni di riflessione tra gli addetti ai lavori e gli spettatori, utili alla conoscenza di spazi intimi e relazionali. Il tutto documentato in un accurato catalogo. Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste), n. 129, ottobre-novembre 2006, pp. 92-93] |
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