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RAVENNA

Terenzio Eusebi, dopo una tormentata fase transitoria di ridefinizione linguistica, è passato da una seducente pittura con indecifrabili grafie che evocavano culture arcaiche ad un’altra sempre sensibile ma più legata alla sua condizione esistenziale. Nelle opere recenti esposte alla Galleria Sumithra, presentate da Maria Grazia Torri, la materia-colore dai toni freddi è strettamente unita ad un segno riflessivo deformante che compone una immagine metamorfica, erotico-mistico-simbolica, quasi svuotata del proprio corpo fisico. Le forme introverse, raffinate e poetiche, pur perdendosi nella memoria e nell’inconoscibile, dialogano silenziosamente con un presente instabile e inquietante, incapace di soddisfare bisogni interiori. Si può dire che le visioni drammatiche dell’artista marchigiano si giovino della continua tensione investigativa guidata da un autentico bisogno di trovare una figurazione plurisignificante per poter esprimere desideri inappagati e pensieri intimi che traducono anche l’inconscio collettivo.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 78, giugno 1996, p. 67]