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RAVENNA

Le esperienze extrapittoriche condotte da Mario Nanni negli ultimi decennni avevano fatto quasi dimenticare la sua prima produzione riproposta nelle sette “Stanze” dell’antologica ordinata presso la Loggetta Lombardesca. Il percorso, sintetizzato dal titolo “Il segno della materia nello spazio”, è analizzato acutamente in catalogo da Silvia Pegoraro. Va ricordato che l’artista bolognese, dall’informale vitalistico (inteso come nucleo di germinazione) è passato alla geometrizzazione delle forme, all’opera tridimensionale, all’installazione e alle azioni sul paesaggio, coniugando  gesto e razionalità con atteggiamento progettuale e speculativo. Quindi, dal quadro più soggettivo, è approdato all’opera aperta per un coinvolgimento totale dello spettatore. In altre parole, esaltando l’aspetto ludico e la genialità del “fare”, ha solidificato il segno caricandolo di altre energie e oggettualizzato la struttura del manufatto per poi penetrare nello spazio reale. Il suo cammino, dunque, si è attuato in un continuo superamento delle conquiste precedenti, arrivando anche all’implicazione del mezzo informatico. Giunto al limite di un processo proiettato verso l’esterno, in cui la tecnologia è inglobata nella dinamica della ricerca come fenomeno naturale di progresso umano, Nanni ha sentito la necessità di riscoprire i valori interni allo spazio dell’opera pittorica, luogo della dialettica e del senso, intervenendo concettualmente sull’atto pulsionale, ma senza annullarne l’emozione. La mostra ha preso avvio dalle manipolazioni dei resti di un recente incendio che ha semidistrutto il suo studio, cosicché la casualità del fuoco è stata assunta come elemento generativo. Ha proseguito attraversando i momenti fondamentali del suo excursus, fino alle ultime realizzazioni con la materia senza peso dove i singoli tondi  vengono serializzati in una “costellazione  musicale”.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 81, febbraio-marzo 1997, p. 77]