Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Aldo Mondino (n. 85/1997-‘98)
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FANO

Per merito del gallerista Enrico Astuni la città di Fano ha dedicato ad Aldo Mondino una vasta esposizione dislocata in più sedi, intitolata “Da Re Salomone ai Gnawa”, che ancora una volta è riuscita a stupire per vitalità, poesia e qualità pittorica. Accurato il catalogo con testi di Gian Ruggero Manzoni e Vittoria Coen (che sta preparando una monografia dell’artista per l’editore Prearo). Nel cortile della Residenza Municipale tre sculture, tra cui “Iniziazione” (un gran pesce che cammina con lunghe ed esili gambe ad indicare la volontà di cambiare dimensione...). Nella chiesa-auditorium di Sant’Arcangelo quadri-schermo in un’avvolgente atmosfera esotico-mistica e un  lungo “Dinosauro” composto da 12 anfore (le stesse che costituiscono il prolungamento del corpo dei danzatori con le giare, raffigurate in un alto pannello accanto). Nell’ampliata Galleria Astuni una serie di misteriosi ritratti di sultani in un progressivo avvicinamento all’iconografia europea e, poi, pezzi da cicli tematici diversi (compresi i tappeti-dipinti appesi come in un souk); “La mamma di Boccioni”, l’oggetto scultoreo, ormai noto, basato su un sottile e ostentato gioco linguistico; cinque  raffinati copricapo Gnawa in cristallo grigio fumo, punteggiati da cipree bianche, posti su cuscini rossi.Mondino è un operatore che sfugge ad ogni facile classificazione; fa della sua indipendenza, del suo nomadismo il campo d’azione. Lo ha dimostrato fin dagli esordi allontanandosi coraggiosamente dalla Torino dominata dai poveristi. Mentre altri, per andare oltre il già visto tentavano di uscire dal quadro, egli, pur avendo metabolizzato alcuni nuovi elementi linguistici a lui congeniali, caparbiamente tornava alla pittura - per la quale ha sempre nutrito un amore senza limiti -  rivitalizzandola con giocose e geniali trovate e immettendovi spettacolarità e comportamento. Ha agito costantemente con grande sensibilità pittorica, fin da quando ha attuato azioni povere o realizzato sculture  con materiali anomali, usato reperti del suo vissuto o dei luoghi investigati, ricreato tipici ambienti orientali o portato i Dervisci a danzare alla Biennale di Venezia. Ogni opera è lo specchio della sua vita errabonda, del suo mondo affettivo ed immaginario; nasce dalle sue irrefrenabili passioni, dall’insaziabile voglia di conoscere e sperimentare, di ironizzare con fare concettuale.

Luciano Marucci 

[«Juliet» (Trieste), n. 85. dicembre 1997-gennaio 1998, p. 74]