Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Costantini, Capponi, Palmieri, Piccioni (n. 71/1995)
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ASCOLI PICENO

Il Centro d’Arte l’Idioma, privilegiando come sua consuetudine l’arte giovane, ha riaperto la stagione con tre esposizioni consecutive al femminile. La pittrice mantovana Sonia Costantini ha presentato quadri monocromi strutturati geometricamente con sovrapposizioni e variazioni minime di tonalità attraverso le quali cerca di scoprire le possibilità che ha il colore di esprimere la luce, nel caso specifico: fisica, razionale e sensoriale allo stato di ipotesi. Ogni componente dell’opera è in funzione della luminosità e della percezione del soggetto-luce come immagine di sé e i dipinti, oggettivi ed essenziali, evidenziano la tensione della ricerca e il percorso dell’investigazione sempre aperta. Viene da chiedersi se con tali tras-formazioni conti più il quadro che si sta guardando o l’altro che verrà subito dopo. L’umbra Antonella Capponi, dopo le prime esperienze pittoriche, ha realizzato sculture aeree ed opere ambientali passando dal colore del quadro tradizionale alla purezza concettuale di opere tridimensionali da lei definite “pittura liquida per vedere attraverso”. Ha superato il supporto inerte mediante diafane lamine di materiale vinilico per arrivare alla separazione tra reale e metafisica; per creare pause di silenzio e di riflessione; sollecitazioni a guardare oltre. Nelle quattro installazioni proposte, le trasparenze - ottiche e mentali - si fondevano non per formare un luogo dell’immagine, ma dell’immaginario, della transizione dall’oggettivo al soggettivo, dalla presenza all’assenza. La romana Laura Palmieri ha esposto una serie di quadri giocati sui colori primari o complementari, nonché una grande installazione realizzata disegnando con carboncino direttamente su una parete della galleria. Nell’intervento murale le immagini in-dipendenti sono ottenute con un segno immediato, di tipo quasi automatico, come si era rilevato nelle 432 “tessere” composte presso Matteo Boetti. E proprio il segno, nelle sue rituali espressioni più o meno disinvolte, è la costante che unifica tutta la sua eterogenea produzione grafico-pittorica e plastica. Per l’artista lo spazio dell’opera è inteso come campo di liberazione di energie e dell’irripetibilità, del fare legato alla tradizione e non del teorizzare. È seguita la mostra di Augusto Piccioni il quale ha creato una sequenza di piccoli lavori (acquerelli su carta) di tanto in tanto intercalata da zumate di quadri ad acrilico. Dallo sfondo astratto-informale delle varie opere emergeva l’immagine-simbolo in negativo di un albero stereotipato che aspirava ad espandersi nello spazio reale, nonché vistose figure spezzate di animali selvatici in via di estinzione che animavano la scena. L’autore ha tracciato intenzionalmente un percorso fotogrammetrico per una rivisitazione, in chiave ecologica, dell’habitat naturale con elementare linguaggio visionario che riporta ad una condizione “...che non c’è più”.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 71, febbraio-marzo 1995, p. 59]