Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Kostabi / Muzi / L. Carboni (n.143/2009)
PDF Stampa

MARCHE

Dieci anni fa Mark Kostabi – che a New York gestisce, con metodo postwarholiano, il Kostabi World dando corpo alla sua produzione artistica - ha ulteriormente allargato il campo d’azione dimorando per lunghi periodi anche a Roma. Tra i primi incontri nella Capitale quello con il noto gallerista Pio Monti con il quale ha stabilito un rapporto di lavoro continuativo, anche grazie al comune interesse per la musica. Per lui aveva realizzato un corpus di opere di formati differenti con il procedimento che lo distingue, in omaggio a importanti artisti soprattutto del contemporaneo: Albers, U. Bartolini, Boetti, Cucchi, De Chirico, Dalì, De Dominicis, De Maria, Leonardo da Vinci, Lichtenstein, LeWitt, Mochetti, Montesano, Prini,  Saarinen, Warhol. In evidenza il tipico manichino (uomo o donna) senza volto, che rimanda alla metafisica dechirichiana, relazionato a rappresentativi soggetti dei singoli autori. Tutti questi lavori, accomunati dal titolo “Collezione Privata?” e presentati alla galleria di Civitanova Marche Per Mari e Monti (gestita da Francesca e Gino, figli del grande Pio), all’inaugurazione sono stati armonizzati dalla performance musicale di Mark, anche abile ed estroso compositore e pianista. Prossimamente nell’omonima galleria romana egli parteciperà all’evento “Lupi e Lupa a Roma”, che verrà attuato in collegamento con il concerto all’Auditorium dell’avvenente e brava pianista franco-americana Hélène Grimaud, appassionata protettrice di lupi. Cento di essi,  realizzati in vetroresina e personalizzati da altrettanti artisti, si avvieranno verso il Parco della Musica e lo Stadio Olimpico, in quanto - com’è noto - la lupa è il simbolo dell’antica città e della sua squadra di calcio.

La Galleria Franco Marconi di Cupra Marittima prosegue l’attività con proposte coraggiose. Si tratta di iniziative piuttosto originali che si avvalgono di giovani operatori visuali. Le ultime mostre, accomunate dal titolo “Marche Centro d’Arte”, tendono a far conoscere alcune esperienze tra le più vivaci della Regione, attuate in tre momenti: collettiva di Vita Soccio, Roberto Cicchinè, Nardiescopetta, Daniele Duranti; esposizione di Marco Bernacchia e Francesca Gentili; personale di Sabrina Muzi, a cura di Claudio Libero Pisano. L’artista - originaria di San Benedetto del Tronto e da diversi anni attiva a Bologna – porta avanti, con implicazioni mentali e profonda consapevolezza, una ricerca incentrata sulle degenerazioni dell’ambiente di vita, che svela l’ideologia sul suo rapporto con la natura contaminata. Sviluppa così cicli di opere su inquietanti problematiche esistenziali attraverso l’uso di nuovi media, mettendo in gioco anche il proprio corpo e sfruttando le capacità manuali. Alla mostra ha presentato il video “Remote Body”, in cui stabilisce una relazione corporale con la vegetazione fino a identificarsi con essa; quattro scatti in bianco e nero con paesaggi dai minacciosi effetti scenografici; un’altra fotografia dove ri-costruisce il soggetto albero da frammenti recuperati; tre disegni a matita che definiscono poeticamente paesaggi oscuri e silenziosi; un’opera tridimensionale materializza il punto di arrivo di una pessimistica visione reale-immaginaria-simbolica, che finisce per assumere valenza pedagogica. Le opere esibiscono organicità di pensiero e versatilità tecnica al servizio di un’indagine e di un’azione non soltanto artistica; di un processo naturale e creativo emblematico della nostra condizione.

Il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro, grazie alla competente e partecipata gestione di Ludovico Pratesi, ormai ha consolidato la sua funzione culturale riuscendo a suscitare nell’ambiente un crescente interesse per l’arte contemporanea. La mostra “In assenza di prove” di Luigi Carboni indica un altro significativo momento della seria programmazione del “Centro”. Qui l’artista ha messo in evidenza le potenzialità creative e la capacità di far dialettizzare la propria identità con il contesto più vitale del momento. Ha concretizzato un impegnativo progetto con opere concepite per gli spazi del Suffragio e del Loggiato, proposte con rigore espositivo, associando i grandi dipinti monocromi - riconducibili al suo repertorio - a una serie di “Forme uniche” (in ferro, legno, resina e marmo) caratterizzate da un’intrigante ambiguità percettiva. Sculture non convenzionali, più spregiudicate rispetto alla ponderata progressione dei dipinti all’interno dei cicli tematici, tanto da far pensare a una mutazione linguistica. In verità esse, pur nella loro radicalità, presentano delle analogie latenti con le opere a due dimensioni. Mi riferisco, in particolare, all’uso di procedimenti ‘impersonali’ e del colore; all’esibizione della ‘bellezza’ e all’ironica leggerezza; al legame natura-artificio e all’astrazione evocativa. Il vero senso dell’intera operazione e delle realizzazioni plastiche - che vanno viste senza preconcetti, anche perché lanciano una sfida alla severità del manufatto artistico e al gusto comune - è stato esplicitato nell’intervista (riportata nell’elegante catalogo Silvana Editrice) rilasciata a Pratesi dall’autore. Egli dimostra di saper motivare il suo lavoro in progress che, per certi versi, riflette “le diversità con tutte le incertezze e le contraddizioni della nostra epoca”. In questa occasione, oltre a confermare l’abile impiego di moderne tecniche grafico-pittoriche, ha messo in rilievo la continuità della poetica e la costante tensione innovativa, nonché la vocazione tridimensionale non sempre praticata e presentata con l’autonomia che merita. Insomma, l’insieme – che pure riparte dalla storia dell’arte - è stato concepito con visione unitaria e atteggiamento autocritico-concettuale-sperimentale.

Luciano Marucci

[«Juliet» » (Trieste), n. 143, giugno 2009, p. 91]