Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Bill Viola / Luigi Ghirri e Mario Giacomelli / Giulio Paolini (n. 149/2010)
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PESARO

La Galleria di Franca Mancini (nell’ambito del ROF), con “10 opere video single channel 1976-1994”, ha coinvolto l’artista statunitense Bill Viola, ormai riconosciuto come l’antesignano della video arte internazionale; un punto di riferimento primario per l’uso creativo del mezzo digitale da cui riesce a ottenere risultati sorprendenti per complessità, interazione e contenuti. L’artista crea attenzione verso aspetti esistenziali e valori interiori persi con il materialismo e i ritmi dei tempi moderni. Valentina Valentini, nel saggio di presentazione ha messo in rilievo l’importanza del lavoro di Viola che ha determinato lo sviluppo del linguaggio videografico (modificando l’abituale modo di fruire l’opera); dell’elaborazione dell’estetica da lui maturata fin dagli anni Settanta. Ne ha poi analizzato il percorso, dalla produzione di schermi piatti - in linea con la tradizione pittorica per indagare sui meccanismi della visione - alla produzione delle straordinarie installazioni multimedia che esprimono pienamente l’universo poetico dell’autore. Il musicologo Cagli ha individuato una certa assonanza tra lui e Gioacchino Rossini nella comune concezione del ‘movimento’ e nella ‘provocazione’. Il semiologo Fabbri, invece, ha guidato all’interpretazione del video “Angel’s Gate” del 1989. Nella Galleria il giorno dell’inaugurazione si è tenuto anche il concerto “Temi con variazioni” con musiche di Rossini dai Pechés de Vieillesse. Al termine della mostra, con gesto nobile, le opere sono state donate all’Accademia di Belle Arti di Urbino - che ha collaborato alla realizzazione della manifestazione -  perché vengano utilizzate per la formazione degli studenti. 

L’estate del Centro Arti Visive Pescheria è stata caratterizzata dalla mostra, a cura di Alessandra Mauro e Ludovico Pratesi, di due maestri della fotografia: Luigi Ghirri (Reggio Emilia 1943-1992) e Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000). Circa 80 le opere allestite nella Chiesa del Suffragio e nell’attiguo loggiato. Soggetto ricorrente del primo il paesaggio della Romagna; dell’altro quello confinante delle Marche. Visioni piuttosto diversificate a prescindere dalle differenze ambientali. Ghirri “privilegia la lettura del paesaggio antropico” con aspetti semplici del quotidiano: luoghi quasi disabitati, silenziosi, cristallizzati nel tempo, colti con sensibilità poetica; immagini leggere dai colori tenui, apparentemente ingenue, maturate da meditate ricerche teoriche e da varie esperienze. Giacomelli, invece, è più distante dalla rappresentazione veristica. Fa il ritratto evocativo della “sua” terra - reso più drammatico dal forte contrasto bianco/nero - vissuta fisicamente e con profondo sentimento; ne esalta le componenti povere, proprie delle sue radici, prima della loro scomparsa nel vortice della modernità. Rileva il solitario paesaggio leopardiano con in primo piano le tracce che evocano sempre la presenza umana. I segni scavati nel suolo dal lavoro dell’uomo sono anche quelli delle sensazioni e dei ricordi impressi nella sua anima. Reale e immaginario delle mappature si fondono sconfinando nell’astrazione grafico-pittorica. Qui gli scatti e le elaborazioni fotografiche sono una “presa di coscienza della natura” (come titola una serie delle opere esposte); ne fissano, con rigore compositivo, l’essenza e la valenza culturale che rimanda alla miseria e nobiltà della civiltà contadina; svelano il suo appassionato interesse per la scoperta antropologica, la sperimentazione linguistica e l’invenzione. Dunque, sono testimonianze d’arte e d’amore per la geografia della sua vita e della gente comune prive di abbellimenti superficiali. Il catalogo, edito da Silvana Editoriale, era arricchito dai testi di Pratesi, della Mauro, di Simona Guerra, Massimo Mussini e da dichiarazioni esplicative di Ghirri e Giacomelli.

Il Convento dei Servi di Maria a Monteciccardo - dopo gli eventi che hanno avuto come protagonisti del ciclo “Memoriale dal Convento” Cucchi (2007), Spalletti (2008) e Merz (2009) - ha ospitato una mostra di Giulio Paolini, pure a cura di Ludovico Pratesi. Il lavoro, “In via d’ipotesi”, si sviluppava su cinque stanze in successione. Altro esemplare intervento dell’artista – ormai considerato maestro di levatura internazionale - riconoscibile dalla cifra stilistica di moderna classicità, sempre più raffinato anche intellettualmente. Era costruito con una serie di composizioni relazionate fra loro e con l’ambiente storico: 24 cornici dorate (ciascuna di cm 40x60), frammenti fotografici, fogli bianchi rettangolari e collages su pareti. E sul pavimento, sotto il camino, “foto che documentavano fasi di allestimento di esposizioni precedenti”. Il tutto unificato da linee direttrici dello sguardo e supportato da una dichiarazione d’intenti. Una sorta di installazione, o di “arredo d’interni”, ben studiata e armonizzata, ovvero un percorso metafisico progressivo, indeterminato e conchiuso, proposto con chiarezza espositiva e, a un tempo, profondità concettuale, in cui venivano esibiti con continuità gli elementi costitutivi della rappresentazione. Così Paolini, tra teoria e prassi del fare arte, ribadiva il senso della sua ricerca dinamica e circolare, il razionale e immaginifico metodo progettuale, il rigoroso procedimento esecutivo. Con questo complesso atto creativo egli interpretava le memorie secentesche del “Conventino” di clausura, isolato nel silenzioso paesaggio, in una laica visione privata e ampliata, ma nel rispetto degli spazi dati. …Per visualizzare uno “stato d’animo”, senza descrizione; un’ “ipotesi”, appunto, più che un esito; per alludere più che rivelare, nel tentativo di far intravvedere, con mente e sentimento, l’invisibile riferito a una realtà passata riportata al presente. Coerentemente il catalogo (Silvana Editoriale) era in forma di breviario.

Luciano Marucci 

 

[testo pubblicate in forma ridotta su «Juliet» (Trieste), n. 149, ottobre 2010, pp. 92-93]