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TERAMO

Il borgo medievale di Castelbasso quest’anno ha attuato due mostre particolarmente significative, organizzate, come sempre, dalla Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture: a Palazzo Clemente “Au Pair. Coppie di fatto nell’arte contemporanea”, a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Francesca Referza; a Palazzo De Sanctis “Alighiero Boetti. Tutto e il contrario di tutto”, a cura di Francesco Poli e la collaborazione dell’Archivio Boetti di Roma. Nella prima sono state esposte opere video, fotografiche, scultoree e installative (tra cui alcune realizzate sul posto) di 16 coppie di artisti italiani e stranieri: Allora & Calzadilla, Bertozzi e Casoni. Bianco-Valente, Dinos e Ja Chapman, Cuoghi Corsello, Gianluca e Massimiliano De Serio, Fischli & Weiss, Gilbert & George, Lovett/Codagnone, Lutz & Guggisberg, Mocellin-Pellegrini, Massanza e Bedogni (Masbedo), Mrzyk & Moriceau, Pantani-Surace, Pennacchio Argentato, Vedovamazzei. Tutti operano a quattro mani stabilendo fra loro “collaborazione, confronto e dialogo”. La mostra, senza pretendere di “stabilire priorità o modalità operative”, almeno in una certa misura ha fatto il punto su una pratica artistica che negli ultimi anni è andata espandendosi. Nel catalogo i curatori hanno analizzato questo orientamento (a partire dal Novecento) che nel tempo ha assunto connotazioni differenti. L’esposizione dedicata a Boetti comprendeva 25 lavori che datano dalla fine degli anni ‘60 (periodo poverista) al ’90: opere di più cicli tematici costruite con procedimenti e materiali diversi (tecniche miste, penne biro, mail-art, ricami e arazzi, frottages, ricalchi, collages…). Boetti è uno dei nostri pochi autori che va riscuotendo un crescente consenso in ambito internazionale. Non a caso il noto critico Hans Ulrich Obrist, anche in una conversazione pubblica nel corso dell’ultima edizione di Art Basel, ha ricordato l’importanza che ha avuto per la sua attività l’incontro con questo artista innovativo. Di lui pure gli operatori visuali delle ultime generazioni apprezzano l’inventiva, la grande libertà espressiva che lo portava a rifiutare schematismi di tendenza e perfino la staticità dello stile personale. Il suo è stato un lavoro di tipo concettuale misto a neo-dada, in continua espansione sia in senso iconografico, sia nella ricerca di stimoli senza limiti di spazio e tempo. Boetti, dunque, era un creativo versatile e nomadico, ansioso di esplorare territori inediti con spirito sperimentale. Lo prova anche l’interesse per Klee e Piero Manzoni. La sua produzione è caratterizzata dal rapporto dell’Io con le realtà culturali del mondo, dalla leggerezza derivante anche dalla raffinata ironia e poesia, dall’elementarità congiunta a un’intrigante complessità, dal sapiente uso della casualità e dal non-senso che sollecita la decodificazione.

Luciano Marucci 

 

[testo pubblicato in forma ridotta su «Juliet» (Trieste), n. 149, ottobre 2010, p. 95]