Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Marco Tirelli (n. 149/2010)
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VENEZIA

Autunno a Palazzo Fortuny ha proposto: “Nuala Goodman. Gardens”, “Alberto Zorzi. Unicum –Gioielli, argenti 2000-2010”, “Giorgio Morandi. Silenzi”, “Mariano Fortuny. La seta e il velluto”, “Marco Tirelli”, “Giorgio Vigna. Altre nature”, “Luca Campigotto. My wild places”. Alla mostra di Tirelli (catalogo Skira con testo di Francesco Poli) - anticipata da opere ‘disseminate’ al primo piano nobile dalla tipica atmosfera fortunyana - è stato riservato l’intero secondo piano con tele grandi, di piccolo formato e sculture; tutte concepite per gli spazi del Museo. I dipinti, pressoché monocromatici, sono costituiti da immagini che oggettivano le visioni interiori dell’autore. Già la recente personale alla Galleria Oredaria di Roma aveva evidenziato i nuovi orientamenti iconografici dell’artista, il quale sfrutta le potenzialità della Pittura, medium privilegiato per la rappresentazione virtuale delle sue idealità attraverso forme tridimensionali primarie (eco dell’architettura e della scultura), ottenute formalizzando le ideazioni con procedimento tecnico personale e metodo razionale-scientifico. Nei quadri, costruiti con forme essenziali tra luci e ombre, l’oggetto fisico che emerge da un processo di sottrazione e semplificazione caricando di senso l’opera, perde consistenza materica e assume funzione simbolica, come pure nelle sculture degli ultimi anni. Questa produzione, misteriosa e magica, svela anche la tensione drammatica e l’aspirazione al sublime. Essa non deriva da atti spontanei, ma da un pensiero filosofico e da meditati studi - condotti prima nell’ambito della Nuova Scuola Romana, poi nella solitudine della mistica Umbria - che definiscono la poetica espressa con linguaggio tangente alla Metafisica e al Minimalismo. Tirelli parte dall’archetipo e dalla Storia, attraversa il presente dalle inquietanti contraddizioni e sconfina nella geografia dell’ignoto portando l’osservatore alla soglia del possibile. Afferma così la sua presenza nel mondo identificando l’atto creativo con la realtà esistenziale. In sostanza, per lui fare arte è un atto morale, la ricerca di ordine cosmico e di elevazione spirituale.  

Luciano Marucci 

 

[«Juliet» (Trieste), n. 149, ottobre 2010, p. 99]