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VERONA

La personale di Luigi Carboni allo Studio La Città, presentata da Ludovico Pratesi, prova ancora che l’opera pittorica dell’artista marchigiano, pur rispettando i canoni della classicità dal potere seduttivo, progredisce attraverso la sperimentazione di modalità linguistiche della contemporaneità e affrontando tematiche più o meno consequenziali con moderni procedimenti personali. Tutto ciò, oltre a legittimare la scelta del medium tradizionale, riesce a sorprendere. Questi ultimi lavori, senza rinnegare le conquiste delle esperienze precedenti - sempre praticate con indubbia abilità tecnica e sensibilità poetica - mostrano un avanzamento piuttosto pronunciato. I soggetti - costruiti dall’interazione e sovrapposizione di colori intensi e lirici, da reiterati di-segni e da nuove forme naturali-artificiali - risultano più intriganti. Dall’incanto dato dalla bellezza estetica si passa all’universo immaginifico, alla complessa relazione tra micro e macro cosmo. Visioni frammentate, ambigue ed estranianti di un processo armonico le quali evocano elementi cellulari e infiniti spazi siderali; tracce di civiltà perdute e scientificità del presente. Nella galleria ai grandi dipinti erano accostati inediti oggetti scultorei, dove la libera inventiva si fondeva con la razionalità del design. Una produzione questa, autonoma e a un tempo legata ai motivi dei quadri, che riproponeva la vocazione tridimensionale di Carboni, discontinua ma tutt’altro che marginale.

Luciano Marucci 

 

[«Juliet» (Trieste), n. 152, aprile-maggio 2011, p. 99]