Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Eliseo Mattiacci / Nunzio / Giovanni Anselmo (n. 164/2013)
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PESARO

La mostra di Eliseo Mattiacci all’ex Pescheria - curata da Ludovico Pratesi - ha rappresentato un doveroso riconoscimento alla sua radicata marchigianità, ma soprattutto alla propositiva attività dello scultore sviluppata, dalla seconda metà degli anni Sessanta a Roma dove egli operava accanto ai più innovativi artisti (in primis Pascali e Kounellis) che proprio in quel periodo ebbi il privilegio di frequentare. Un lavoro il suo caratterizzato da un’originale ricerca nel campo della scultura, sempre più orientata verso la costruzione di imponenti artefatti siderurgici che aspirano alla dimensione cosmica in senso laico e tecnico-scientifico. Nell’ex Chiesa del Suffragio Eliseo ha presentato Equilibri precari quasi impossibili: calibrata realizzazione formata da due lunghe travi simili a binari (tenute sospese, in perfetto equilibrio, da una calamita permanente), che attraversavano una vuota forma rettangolare unita a una base che ne assicurava la stabilità. Una essenziale composizione geometrica nata dall’associazione di ragione e immaginazione, dove la certezza della fisicità veniva messa a confronto con l’incertezza dell’esperimento; mentre la spazialità dell’opera dialettizzava con quella dell’ambiente storico fino ad appropriarsi del suo originario potere attrattivo, sacrale ed estetico. Sul pavimento dell’adiacente Loggiato erano collocate tre eliche navali di metallo, che rimandavano alla realtà marinara della città. Dunque, un lavoro differente dal precedente, ottenuto con altri procedimenti e con un diverso approccio culturale in cui la “Dinamica verticale” dell’oggetto contribuiva al superamento della staticità della materia inerte.

Per il Rossini Opera Festival di quest’anno la Galleria di Franca Mancini ha coinvolto Nunzio. Sarai d’ombra era il poetico titolo dell’installazione ispirata al serraglio orientale che avrebbe potuto accogliere Isabella ne L’Italiana in Algeri dell’estroso compositore pesarese. Alla cerimonia d’inaugurazione, Gianfranco Mariotti, Bruno Corà e il giovane critico Ugo Lo Pinto - che ha curato l’evento coordinato da Cornelia Mattiacci - hanno analizzato la straordinaria assonanza tra un tema rossiniano e il lavoro site-specific che dall’arcaico giunge al moderno passando per la classicità. In realtà l’artista, nello strutturare il lavoro a semicerchio in legno combusto accuratamente trattato – che si configurava come “rifugio intimo e al contempo recinto lasciato aperto alla fuga” - ha messo a frutto la consueta abilità tecnica e il suo linguaggio non narrativo ma evocativo. Ne è derivata una raffinata ed equilibrata opera dall’aspetto monumentale, alleggerito da forme dinamiche che producevano ritmi e variazioni di senso. Una scultura sui generis, carica di energia vitale e di profondità, “da osservare dall’esterno, dall’interno e attraverso”, che afferma la presenza della materia e la nega grazie alla valenza alchemica. Insomma l’operazione ha permesso di rivisitare con attenzione le qualità di Nunzio che, fin dagli esordi, ha operato nell’ambito della cosiddetta “Nuova Scuola di Roma” con grande rigore e tensione creativa, sia nei lavori tridimensionali dove pittura e scultura si fondono, sia nelle opere installative sempre ben relazionate ai luoghi fisici e culturali. Tutte peculiarità atemporali di una ricerca in continua, sensibile evoluzione.

Memoriale dal Convento, settimo appuntamento per Monteciccardo - sempre a cura di Pratesi - ha proposto Giovanni Anselmo, esponente della prima ora dell’Arte Povera, divenuto uno dei protagonisti a livello internazionale, spesso invitato alle più qualificate esposizioni di tendenza. L’artista torinese, chiamato a confrontarsi con le intime stanze dell’isolato “Conventino”, ha assemblato cinque sculture realizzate dagli anni Sessanta ad oggi, ispirate al rapporto uomo-natura, percezione-linguaggio, relazioni poetiche e concettuali tra i materiali. Quindi ha allestito un rigoroso e articolato percorso cronologico con lavori rappresentativi. Una scelta culturalmente ineccepibile, anche se ardita per i visitatori inesperti di certe esperienze di punta non convenzionali, che fa certamente onore al volenteroso Sindaco del piccolo Comune (dalle risorse limitate). L’itinerario rende possibile l’incontro tra spettatore e paesaggio circostante offrendo la visione di “un orizzonte dolce e sinuoso dove l’occhio, nel perdersi tra campi, alberi e borghi di mattoni, si riposa lungo un cammino appena tracciato”. Emblematica l’opera Direzione, costituita da un piccolo blocco di granito con una bussola incastonata a indicare la congiunzione tra scienza, arte e natura. Come al solito, l’elegante catalogo formato tascabile (Silvana Editoriale) documenta puntualmente la personale ed è arricchito da un partecipato testo del curatore che dell’artista mette in rilievo “la silenziosa discrezione”, l’ “indomabile coerenza”, “le mani sapienti e sicure” che sanno rivelare “il senso segreto e recondito delle cose”, unire “la precisione della scienza” alla “capacità evocativa della poesia”.

Luciano Marucci 

 

[«Juliet» (Trieste), n. 164, ottobre 2013, pp. 94-95]