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ROMA

Anche chi non ha vissuto gli avvenimenti artistici della seconda metà degli anni Sessanta ormai riconosce l’importanza, per l’evoluzione delle arti visive, dei progetti attuati da Fabio Sargentini nella Galleria L’Attico (ex garage di via Beccaria) o nell’ambiente urbano. Pure nella sede di via del Paradiso, sebbene per una strada diversa, egli ha proseguito l’attività con mostre originali. Nel tempo non ha perso la carica innovativa e si esibisce ancora come protagonista-regista di eventi sul palcoscenico delle arti. Lo dimostra l’esposizione “La Galleria del vento”, da lui ideata e messa in scena da Piero Pizzi Cannella, il pittore più figurativo della Nuova Scuola Romana. Non si tratta, infatti, di una normale mostra di pittura, ma di una sorprendente installazione pittorica, che soddisfa il gusto di chi ha una concezione classica dell’arte visiva e di quanti sono maggiormente attratti dai linguaggi più arditi. Il che prova come sia ancora possibile ottenere dalla Pittura esiti insoliti con idee geniali e procedimenti rigenerativi; come la committenza e la scelta di particolari temi possano incentivare la ricerca. In altre parole Fabio ha saputo individuare e finalizzare le potenzialità creative e l’apertura mentale di Piero il quale, quasi provocatoriamente, ha rivisitato le “vesti” del suo repertorio, decontestualizzandole dal quadro, con varianti e approfondimenti, ma sempre attraverso un’iconografia essenziale, sottilmente ironica, non retorica: immagini precarie e atemporali, fortemente evocative ma legate alla realtà esistenziale più che alla simbologia e alla metafisica, che riscoprono valori del romanticismo mediati dall’intelletto. Dal nuovo approccio, dunque, è derivata una serie di dipinti su tela… fuori misura, senza telaio e liberati dalla cornice; in perfetta armonia con le stanze nobiliari della Galleria, abitati da una veste bianca e da sette scure, che davano corpo a memorie intime (personali e collettive), a poesia e spiritualità laica, grazie a misteriose presenze performative che danzavano, si de-formavano, svanivano, ricomparivano in altre vesti… E, valicando la soglia dello spazio interno, si affacciavano pericolosamente alle finestre per contaminare d’immaterialità la quotidianità della Città Eterna. Nelle opere-tenda la leggerezza e la valenza alchemica delle figure erano esaltate dalla luce (mattutina e serale) che le attraversava, così la materia-colore perdeva consistenza fisica. Elegante il catalogo, con presentazione dello stesso Sargentini e le raffinate immagini in mostra negli scatti di Simone D’Exéa, che ha saputo cogliere i momenti più suggestivi delle presenze-assenze mosse dal vento, conferendo all’operAzione un plusvalore.

Luciano Marucci

 

[«Juliet» (Trieste), n. 171, febbraio-marzo 2015, p. 97]