Home arrow Viaggi nell'arte arrow Transiti arrow Gillo Dorfles (n.176/2016)
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ROMA

Ho avuto il privilegio di frequentare Gillo Dorfles dal lontano 1969 quando, per la sua autorevolezza e l’apertura alle esperienze artistiche del momento e ad altre discipline, lo coinvolsi (con Filiberto Menna) nell’VIII Biennale d’Arte di San Benedetto del Tronto “Al di là della pittura”. Negli anni successivi lo incontravo ad ogni vernissage delle Biennali di Venezia, sempre elegante, gentile e disponibile: qualità di altri tempi che ne hanno fatto una figura di intellettuale esemplare. Periodicamente gli telefonavo per interviste sugli orientamenti innovativi dell’arte visuale e non si rifiutava mai, anzi, se assente era lui a richiamare. L’ultima conversazione del 14 aprile scorso è stata pubblicata nel numero precedente di questa rivista.

Il 26 novembre 2015 ero al MACRO per la preview della mostra “Essere nel Tempo”. Nel salutarlo gli ho domandato se, a distanza di anni, si ricordasse della nostra esposizione: “Certamente! È stata una mostra di grandi novità per allora!”. Nel corso della conferenza stampa si era compiaciuto per l’omaggio tributatogli dall’importante istituzione museale e dava risposte sagge e pertinenti, insolite per una persona alla soglia dei 106 anni. Durante la visita della personale (a cura di Achille Bonito Oliva, progetto di allestimento di Fulvio Caldarelli, sponsor ufficiale Illy, catalogo Skira) era pienamente soddisfatto di come erano stati scelti e presentati i diversi lavori: dipinti, opere su carta, sculture, ceramiche, gioielli, edizioni e altre testimonianze della lunga carriera. Allora mi è tornato in mente che nel dialogo a distanza per i suoi cento anni (uscito su “Ali” n. 4/2010) mi aveva sorpreso dichiarando con schiettezza: “... Difficile dire cosa preferisco, però, tengo più alla mia pittura che alla mia critica”. E il grande evento romano lo ha confermato inequivocabilmente. Dal lato linguistico la molteplice produzione dell’autodidatta attraversa le tendenze del Novecento, in particolare, Dadaismo e Surrealismo. Per certi aspetti evidenzia suggestioni del suo vissuto, ma egli è riuscito a metabolizzare e a sottomettere la sua Cultura alle capacità inventive, evitando citazioni impersonali e la retorica del già visto. Così l’opera si distingue per organicità e autenticità, ed è connotata da una ricerca continua e dall’assoluta libertà espressiva per esplorare territori enigmatici con de-formazioni dinamiche e colori evocativi. Meraviglia come da critico e scrittore impegnato abbia potuto trovare tanto tempo da dedicare alla manualità. Probabilmente, oltre al piacere di dare sfogo a innate inclinazioni, ha sentito il bisogno di bilanciare l’attività teorica. Di fatto le due occupazioni si integrano, perché Dorfles visualizza l’indagine interiore in ritratti della psiche che contribuiscono a definire la sua identità plurima, intima e pubblica. In essi condensa intuizioni, acutezza di analisi, memorie, saperi. Ora, legittimato il suo percorso creativo, che meritava di essere conosciuto, certamente continuerà a fare arte con rinnovata passione.

Luciano Marucci

 

[«Juliet» (Trieste), n. 176, febbraio-marzo 2016, pp. 102-103]