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PALERMO

L’attività creativa di Dalya Luttwak, basata su un originale linguaggio che si identifica con il contenuto, si distacca dalle modalità operative consolidate. Infatti l’artista - israeliana naturalizzata statunitense - si esprime con particolari apparati radicali che si espandono nello spazio-tempo, reale e immaginario, formando installazioni piuttosto comunicative e intriganti, intimamente legate ai luoghi privilegiati. Gli artefatti si presentano come ‘disegni tridimensionali’ che simulano  la spontaneità di una natura sotterranea portata alla luce. In senso simbolico evidenziano la forza di certi fenomeni che a volte possono assumere un potere disgregante, evocando l’azione del tempo associata a quella in-volontaria dell’uomo. Ciò si percepisce chiaramente in Roots of sweet potato, ultimo intervento in situ sulle pareti esterne, la torre e l’acquedotto del suggestivo Castello Lanza Branciforte di Trabia (a picco sul mare tra Palermo e Cefalù), caratterizzato da un marcato rapporto simbiotico tra la raffinata opera ramificata e l’imponente residenza. La Luttwak ha tenuto a spiegare che si è preoccupata principalmente di rispettare l’avito Castello e di onorarne la storia (abitazione degli esattori delle tasse durante l’impero romano, fortezza araba poi, proprietà dei principi Lanza negli ultimi 900 anni, fino alla tragica morte di Raimondo nel 1954 che vi ha ospitato celebrità come l’attrice Rita Hayworth e Aristotele Onassis). Nel caso specifico il valore aggiunto dall’interferenza artistica esalta le memorie territoriali, scritte e orali. Siamo di fronte a un’operazione che fa dialogare passato e presente; mentre sollecita l’attenzione del pubblico sulla necessità di salvaguardare le testimonianze storiche. Ecco allora che il progetto, dalla valenza estetica, finisce per trasmettere anche un messaggio etico. L’antica magione qualche anno fa è stata  accuratamente ristrutturata ed è utilizzabile da chi ne fa richiesta per rappresentazioni, mostre, intrattenimenti e quant’altro. Questo dimostra come nel nostro Paese, grazie ai vantaggi turistici, la sopravvivenza dei beni culturali possa essere ottenuta con l’autosufficienza.

Luciano Marucci

 

[«Juliet» (Trieste), n. 179, ottobre 2016, p. 102]