ROMA Il Museo Laboratorio per l’Arte Contemporanea dell’Università sembra deciso ad attuare un’attività continua che contamini d’immaginario un ambiente scolastico troppo anonimo e distaccato. Soprattutto per volontà di Maurizio Calvesi (che si avvale della collaborazione di 20 giovani critici dell’area romana), un ampio spazio della struttura in cui gli artisti invitati potranno intervenire liberamente, verrà destinato ogni mese a due diverse esperienze tra le più vive delle arti visive. Per i primi appuntamenti Marco Colapietro ha proposto Giuseppe Gallo e Alfredo Pirri, mentre Laura Cherubini ha chiamato Aldo Mondino. Gallo ha dipinto una ‘processione’ laica, statica, di 24 (quante le ore del giorno) silhouettes nere incombenti che si snodano lungo i 20 metri della bianca parete curva. Sono pensatori (di disegni) che portano il passo... dell’artista ed hanno sul capo figure diverse del suo repertorio iconografico; esseri senza corpo, vestiti con le suggestive immagini della psiche, portati allo scoperto per poter incontrare nello spazio reale i suoi visitatori. Sulle due pareti-cornice di fronte, Pirri ha appeso quattro ‘quadri’ in cui ha composto un centinaio di calchi in lattice del suo volto piangente lacrime di colore. È partito dalla ‘maschera’ a lui più somigliante ed è giunto a quella anonima dopo una serie di ‘sensibili’ varianti plastico-pittoriche in una trasformazione dei volti quasi ‘comportamentale’. Mondino, invece, ha realizzato - a dimensione soggettiva, intima - un percorso distinto in due momenti, mettendo a confronto le culture romana e araba, viste sotto l’aspetto iconografico, alfabetico e numerico. Sulla parete-supporto resa giallo-arancio, da una parte ha disegnato con ‘gessetti’ colorati i ‘gessi’ dell’antica Roma, dall’altra ha esposto una serie di schizzi orientaleggianti, come appunti di viaggio proposti poeticamente dentro desuete cornicette. Al centro le foto degli scrittori Moravia e Choukri. Le meridiane delle due civiltà (costruite con i mosaici di zucchero e caramelle) sembrano segnare la successione temporale, ma anche la contemporaneità in una sorta di compenetrazione di eventi. L’occasione espositiva ha evidenziato tre differenti modi di usare le grandi dimensioni dell’ambiente che, fra l’altro, ha consentito di dare spazio alle personali tendenze ironiche nel rappresentare la figura umana ed ha offerto la possibilità di individuare le affezioni ‘concettuali’ in artisti di generazioni diverse. Luciano Marucci [«Juliet» » (Trieste), n. 66, febbraio-marzo 1994, pp. 67-68]
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