RIEVOCAZIONE VIRTUALE AL DI LA' DELLA PITTURA

Come i meno giovani ricorderanno, nel 1969, a San Benedetto del Tronto, fu attuata l’VIII Biennale d’Arte Contemporanea sul tema Al di là della pittura, a cura di Gillo Dorfles, Filiberto Menna e di chi scrive. La manifestazione comprendeva: environments / azioni sul paesaggio (naturale e urbano) / oggetti a funzione estetica (opere seriali e dell’arte programmata) / nuove esperienze sonore / cinema indipendente (sperimentale e di ricerca) / happening / edizioni sulle avanguardie / discussioni tra critici militanti e operatori visuali. 
Recentemente, grazie alla Mediateca delle Marche di Ancona e alla conduttrice del progetto Emanuela Mennechella, alla mia complicità e all’ausilio tecnico dello studio grafico Spazionet di Tolentino, è stato realizzato un Cd-Rom (non commerciale), unico nel suo genere, per ricostruire il propositivo evento da cui sono derivate conquiste delle ultime generazioni.

Oltre ai testi del catalogo, è stata recuperata e riproposta quasi tutta la documentazione (in gran parte inedita) di quell’operazione, supportata da quanto è rimasto nell’archivio della memoria: la progettazione grafica di Bruno Munari; le ideazioni degli espositori; il dibattito; la rassegna stampa; le numerose foto degli allestimenti e delle opere, delle azioni effimere e del concerto-improvvisazione (pregevoli scatti in b/n per lo più del giovane Paolo Mussat Sartor e di Emidio Angelini).

È possibile riascoltare anche brani delle composizioni musicali e perfino la ‘performance vocale’ di Joseph Beuys (multiplo dell’editore Mazzotta, Ja, ja, ja... né, né, né, in quell’anno non ancora in vendita), che ha rappresentato la prima esposizione pubblica in Italia dell’artista tedesco.
La lettura critico-esplicativa delle sezioni e delle opere consente di conoscere meglio un momento cruciale per l’evoluzione delle arti visive. Allora, infatti, dalla specificità, ancora legata ai canoni tradizionali, si approdava all’ibridazione e alla nuova creatività, connotata da orientamenti più concettuali, performativi, interattivi e da lavori eseguiti con materiali eterogenei e procedimenti inusuali, spesso relazionati allo spazio espositivo e all’ambiente esterno.
La rievocazione con un mezzo digitale oggi largamente usato non ha prodotto solo un intervento conservativo, ma l’analisi oggettiva di certi fenomeni con finalità in-formative per dialettizzare con il presente, proprio come era nei presupposti del progetto originario della rassegna.

Di solito, chiusa una mostra, se ne perdono rapidamente le tracce non rendendo un buon servizio

alla cultura e alla storia. Perciò il Cd-Rom - già presentato al pubblico mediante video proiezioni - acquista un valore permanente. E può riuscire utile ai giovani artisti, i quali, ignorando il passato, rischiano di ripeterlo...
Per la circostanza ho rilasciato una lunga intervista illustrativa di cui riporto alcuni stralci:

«[...] nel 1969 riuscimmo a strutturare una manifestazione piuttosto radicale, che tenesse conto dei cambiamenti di quegli anni verso il superamento dell’abusata pratica pittorica e plastica, nonché del modo di presentare la nuova produzione, con l’obiettivo di far dialogare gli autori delle ricerche più rappresentative in una visione della complessità e globalità delle culture a cui personalmente tenevo. Bisognava prendere atto che l’opera era uscita dalla cornice e scesa dal piedistallo per espandersi nell’ambiente reale; che occorreva coinvolgere lo spettatore in modo plurisensoriale e dare spazio alla componente teatrale.
[...] Furono presentate, senza ambiguità, le principali esperienze extrapittoriche per promuovere un confronto tra i linguaggi che esprimevano la cultura artistica in divenire; tra la dimensione naturale e quella artificiale. Quindi, fu attuato tempestivamente un incontro-scontro tra Arte Povera-Concettuale (sorta da poco e ansiosa di far valere la propria identità) e la dominante Arte Tecnologica. In un certa misura ne uscì ufficializzata la tendenza più giovane propugnata da esponenti che di lì a poco sarebbero divenuti degli outsiders. Così veniva indebolita la polarizzazzione della ricerca e si riconosceva una maggiore autonomia alla libertà espressiva dei singoli operatori.
Puntualizzo che la manifestazione fu la prima con intenti decisamente interdisciplinari, pur rispettando le specificità. Altri meriti: l’aver dato maggiore visibilità e ascolto al Cinema Indipendente e alle Nuove Esperienze Sonore (proponendo la “computer music” di Pietro Grossi, le composizioni elettroniche di Boguslaw Schäffer e di Vittorio Gelmetti, la “Musica verità” di Giuseppe Chiari); l’aver favorito il dialogo tra categorie creative, anche quelle ai margini delle grandi mostre riservate esclusivamente alle arti visive. Pure la componente spettacolare di alcuni lavori, allora non condivisa da quanti difendevano la riservatezza dell’opera, negli anni successivi si rivelò ingrediente imprescindibile. Tra l’altro, vari operatori  realizzarono appositamente per San Benedetto esemplari installazioni ed environments (Alviani, Calzolari, De Vecchi, Kounellis, La Pietra, Merz, Mondino, Nanni, Patella...) o misero in scena operAzioni per molti versi irripetibili (Mattiacci, Nanni, Nespolo...).  
La conferenza-dibattito consentì di analizzare tematiche di attualità, mettendo a fuoco orientamenti di critici militanti e artisti di tendenze contrapposte.
[...] Il tutto fu concretizzato con più passione che mezzi finanziari, dimostrando che è possibile, anzi necessario, attuare esposizioni d’arte senza dissipare risorse. [...]
Le ‘avvincenti’ novità promossero una partecipazione di visitatori fino ad allora forse mai riscontrata in una mostra d’avanguardia, specialmente nelle sale con opere interattive.

L’happening all’aperto con musicisti di punta (da Steve Lacy a Schäffer, da Gelmetti a Chiari) e l’intervento non programmato di Franca Sacchi, Emilio Prini e altri, nonché le azioni sul paesaggio risultarono sorprendenti e stimolanti.
[...] Certamente il Cd-Rom storicizza la composita manifestazione, ma facendola rivivere organicamente attraverso opere e processi innovativi fino ad ora non divulgati, ricollegabili all’attualità. Basti pensare agli interventi site-specific, ai rinnovamenti linguistici e alle contaminazioni, al decentramento degli eventi espositivi, agli espedienti per il coinvolgimento del pubblico.

[...] Le immagini, integrate da didascalie e commenti, permettono di capire meglio il clima culturale di quegli anni, caratterizzato da fervore creativo e critico. Confesso che l’insieme ha dato modo anche a me di rammentare tempi in cui ho partecipato un po’ da protagonista ad accadimenti che hanno portato l’arte fin qui e di ribadire le mie convinzioni di operatore culturale maturate sul campo».

Dorfles, mentre vagavamo per le sale dell’ultima Biennale d’Arte di Venezia, mi diceva: “...ricordando ancora una volta la fondamentale mostra Al di là della pittura, penso con nostalgia ai fermenti artistici di quel periodo, in contrapposizione all’attuale sterilità creativa di cui questa cinquantunesima edizione è un esempio”. Ultimamente, tornando sull’argomento per tale iniziativa, ha aggiunto:

“Nel 1969 la nostra intenzione era proprio quella di iniziare una stagione artistica che rompesse con gli schemi e le partizioni vigenti, che non accettasse le tradizionali divisioni tra pittura, architettura, design e, possibilmente, inglobasse anche altri linguaggi artistici. Il risultato fu senz’altro eccezionale e aprì il cammino a tanti successivi episodi dell’epoca: dall’Arte Povera alla Transavanguardia, alle diverse tendenze concettuali; nonché alla attivazione delle installazioni e delle performances.

La manifestazione – come era avvenuto con alcune delle correnti dell’immediato dopoguerra (MAC, Spaziali, Nucleari, ecc.) – faceva piazza pulita di tutto il conformismo culturale novecentesco e apriva la via a un nuovo scenario estetico in Italia. Oggi la situazione è cambiata. La pseudo globalizzazione ha generalizzato il linguaggio visivo, ma lo ha anche appiattito. Ora una mostra come quella sarebbe impossibile perché i dati delle avanguardie sono già alla portata di tutti e perché minore è la capacità di offrire nuove esperienze inedite (anche se c’é il desiderio di farlo!). Oltre alla rivisitazione virtuale, sarebbe auspicabile anche una riedizione a stampa con la documentazione delle azioni effimere che ovviamente non erano in catalogo. Ancora più interessante una mostra su quella linea ma con tutt’altra impostazione, data la presenza di tante nuove possibilità linguistiche e manovrabilità tecnologiche. Certamente servirebbe ad abbattere il conformismo dell’attuale situazione, con l’eccesso di video, installazioni e falsi concettualismi”. 

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 132, aprile-maggio 2007, pp. 40-43)]

 

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