RIEVOCAZIONE VIRTUALE AL DI LA' DELLA PITTURA |
Come i meno giovani ricorderanno, nel 1969, a San Benedetto del Tronto, fu attuata l’VIII Biennale d’Arte Contemporanea sul tema Al di là della pittura, a cura di Gillo Dorfles, Filiberto Menna e di chi scrive. La manifestazione comprendeva: environments / azioni sul paesaggio (naturale e urbano) / oggetti a funzione estetica (opere seriali e dell’arte programmata) / nuove esperienze sonore / cinema indipendente (sperimentale e di ricerca) / happening / edizioni sulle avanguardie / discussioni tra critici militanti e operatori visuali. Oltre ai testi del catalogo, è stata recuperata e riproposta quasi tutta la documentazione (in gran parte inedita) di quell’operazione, supportata da quanto è rimasto nell’archivio della memoria: la progettazione grafica di Bruno Munari; le ideazioni degli espositori; il dibattito; la rassegna stampa; le numerose foto degli allestimenti e delle opere, delle azioni effimere e del concerto-improvvisazione (pregevoli scatti in b/n per lo più del giovane Paolo Mussat Sartor e di Emidio Angelini). È possibile riascoltare anche brani delle composizioni musicali e perfino la ‘performance vocale’ di Joseph Beuys (multiplo dell’editore Mazzotta, Ja, ja, ja... né, né, né, in quell’anno non ancora in vendita), che ha rappresentato la prima esposizione pubblica in Italia dell’artista tedesco. Di solito, chiusa una mostra, se ne perdono rapidamente le tracce non rendendo un buon servizio alla cultura e alla storia. Perciò il Cd-Rom - già presentato al pubblico mediante video proiezioni - acquista un valore permanente. E può riuscire utile ai giovani artisti, i quali, ignorando il passato, rischiano di ripeterlo... «[...] nel 1969 riuscimmo a strutturare una manifestazione piuttosto radicale, che tenesse conto dei cambiamenti di quegli anni verso il superamento dell’abusata pratica pittorica e plastica, nonché del modo di presentare la nuova produzione, con l’obiettivo di far dialogare gli autori delle ricerche più rappresentative in una visione della complessità e globalità delle culture a cui personalmente tenevo. Bisognava prendere atto che l’opera era uscita dalla cornice e scesa dal piedistallo per espandersi nell’ambiente reale; che occorreva coinvolgere lo spettatore in modo plurisensoriale e dare spazio alla componente teatrale. L’happening all’aperto con musicisti di punta (da Steve Lacy a Schäffer, da Gelmetti a Chiari) e l’intervento non programmato di Franca Sacchi, Emilio Prini e altri, nonché le azioni sul paesaggio risultarono sorprendenti e stimolanti. [...] Le immagini, integrate da didascalie e commenti, permettono di capire meglio il clima culturale di quegli anni, caratterizzato da fervore creativo e critico. Confesso che l’insieme ha dato modo anche a me di rammentare tempi in cui ho partecipato un po’ da protagonista ad accadimenti che hanno portato l’arte fin qui e di ribadire le mie convinzioni di operatore culturale maturate sul campo». Dorfles, mentre vagavamo per le sale dell’ultima Biennale d’Arte di Venezia, mi diceva: “...ricordando ancora una volta la fondamentale mostra Al di là della pittura, penso con nostalgia ai fermenti artistici di quel periodo, in contrapposizione all’attuale sterilità creativa di cui questa cinquantunesima edizione è un esempio”. Ultimamente, tornando sull’argomento per tale iniziativa, ha aggiunto: “Nel 1969 la nostra intenzione era proprio quella di iniziare una stagione artistica che rompesse con gli schemi e le partizioni vigenti, che non accettasse le tradizionali divisioni tra pittura, architettura, design e, possibilmente, inglobasse anche altri linguaggi artistici. Il risultato fu senz’altro eccezionale e aprì il cammino a tanti successivi episodi dell’epoca: dall’Arte Povera alla Transavanguardia, alle diverse tendenze concettuali; nonché alla attivazione delle installazioni e delle performances. La manifestazione – come era avvenuto con alcune delle correnti dell’immediato dopoguerra (MAC, Spaziali, Nucleari, ecc.) – faceva piazza pulita di tutto il conformismo culturale novecentesco e apriva la via a un nuovo scenario estetico in Italia. Oggi la situazione è cambiata. La pseudo globalizzazione ha generalizzato il linguaggio visivo, ma lo ha anche appiattito. Ora una mostra come quella sarebbe impossibile perché i dati delle avanguardie sono già alla portata di tutti e perché minore è la capacità di offrire nuove esperienze inedite (anche se c’é il desiderio di farlo!). Oltre alla rivisitazione virtuale, sarebbe auspicabile anche una riedizione a stampa con la documentazione delle azioni effimere che ovviamente non erano in catalogo. Ancora più interessante una mostra su quella linea ma con tutt’altra impostazione, data la presenza di tante nuove possibilità linguistiche e manovrabilità tecnologiche. Certamente servirebbe ad abbattere il conformismo dell’attuale situazione, con l’eccesso di video, installazioni e falsi concettualismi”. Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste), n. 132, aprile-maggio 2007, pp. 40-43)]
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