ROMA

Achille Bonito Oliva è stato ed è un grand maître nel metter su mostre sia d’avanguardia, sia storiche, come Minimalia che, dopo i mesi trascorsi a Venezia, si è trasferita nel Palazzo delle Esposizioni suscitando un rinnovato interesse. In tre anni di lavoro il critico ha raccolto il meglio dell’arte italiana di questo secolo, dal Futurismo ai giorni nostri; quella capace di reggere un confronto internazionale in un percorso complesso e vitale che non ha mancato di alimentare il dibattito. Le opere erano di primo piano a dimostrazione che la ricerca nostrana, soprattutto negli ultimi decenni, non solo ha saputo stare al passo con i tempi, ma in qualche caso ha precorso modi e mode. Alcuni hanno obiettato che il panorama poteva essere diverso, aprire ad altri orizzonti. Le scelte, così come il curatore le ha motivate, meritano di essere rispettate. Ancora una volta Bonito Oliva ha dimostrato di essere incapace di chiudersi entro schemi ‘classici’, anche quando veste i panni dello storico. Ciascun espositore, con la sua dose di individualità, in coerenza al tracciato comune, ha contribuito a dare dinamicità e connotazioni proprie alle vicende astratte, spazialiste, pop, poveriste, concettuali, riconducibili ad una sorta di minimalismo, nel senso che ogni autore ha ricercato l’essenzialità lungo una “linea mediterranea” che ha preso in considerazione anche il ‘figurabile’. Dunque, lungo questo orgoglioso percorso italiano, è stato possibile ritrovare insieme pezzi selezionati di artisti di più generazioni e tendenze: da Balla a Munari, dalla Accardi a Castellani, ad Alviani, Lo Savio, Mochetti, Spalletti, Isgrò, Pascali, Pistoletto, Kounellis, Paolini, Fabro, Prini, Schifano, Clemente, Bianchi, Pirri, Martegani, Pancrazzi.

La nuova sede della Galleria S.A.L.E.S., a pochi passi dalla precedente, è stata inaugurata con una mostra del milanese Mario Airò il quale per questa prima personale romana ha realizzato un’impegnativa installazione ispirandosi al film di Jean-Luc Godard “Soigne ta troite” del 1987. L’appartato spazio espositivo è stato invaso da elementi tridimensionali, luci, colori e perfino da suoni in cuffia e testi recitati in insensate associazioni, in un’atmosfera emozionale di magiche sensazioni. Il visitatore si trovava immesso in un suggestivo, mutevole paesaggio per scoprire altre immagini - dolci e angoscianti - inafferrabili come in un sogno vissuto tra cielo e terra. Ancora una volta una complessa e ‘sperimentale’ realizzazione plurisensoriale ricca di vivificanti rimandi culturali. Senza rinunciare alla storica sensibilità ‘pittorica’ funzionale alla percezione, Airò sa liberare il proprio immaginario e quello dell’osservatore verso avvincenti territori dove si nascondono situazioni inedite. Il tutto per perseguire finalità sottilmente poetiche.

A differenza di molti altri artisti arrivati, Luigi Ontani, grazie alla sua inesauribile e anticonformista vena creativa, riesce ancora a stupire. Oltre alla qualità della multiforme produzione, di lui colpiscono la  capacità di identificarsi con l’opera e la complessità dell’esplorazione, la libertà espressiva provocatoria in senso etico ed estetico, i paradossi linguistici visivo-concettuali e la prolificità della fantasia stimolata dalla simbiosi con culture vissute, alte e basse, distanti nel tempo e nello spazio. Da ultimo, ma non per ordine d’importanza nella definizione della sua spiccata individualità, la sapienza manuale e la professionalità di antica memoria, applicate - nel rispetto dei valori storici, con spirito innovativo e grande sensibilità  - ai diversi generi del suo labirintico villaggio globale. Ogni sua mostra riesce a meravigliare non solo quando si giova di nuove realizzazioni, ma per come i pezzi vengono relazionati fra loro e con lo spazio. Emblematica l’ultima personale da Sperone, incentrata su un nucleo di opere in ceramica (tecnica a cui l’artista ha saputo ridare dignità nel contesto dell’avanguardia internazionale) prodotte in questi anni presso la famosa Bottega Gatti di Faenza, orgogliosa di arricchire la tradizione con le ardite e ambiziose ideazioni ontaniane. Gli esemplari proposti accanto ad alcuni significativi tableaux vivants non erano ordinati in sequenza cronologica fruibile come in una retrospettiva, bensì in un’originale ed estraniante stanza magica abitata da policromi oggetti-soggetti che reinterpretavano, naturalmente attraverso le narcisistiche vesti dell’autore, noti personaggi connotati da molteplici, ironiche citazioni. Araldici modelli di busti ed erme de-mitizzanti celebravano il senso del non senso: da “NuvolarPilotazio” (forse per simpatia a Faenza) a “Marco PolLo”, da “Pilato” (pelato coi pelati) a “Platone” (con Adone o Fedone), all’”HarlemArlecchino” (diventato tacchino), ai tondi del “Pastifero” (fatto di raffinate paste alimentari) e di “Guglielmo Tell” come “Marconi tele” (con una corona di telefonini), per finire con “Nerone”, eroe dell’eros (fallo e capelli in fiamme). Il tutto a comporre un luogo museale e vitale, austero e giocoso, classico e moderno in una poetica testimonianza del realimmaginario.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 88, giugno 1998, pp. 77-78]