Da un Burma Sconosciuta

LA SMANIA DELLA BIRMANIA

di Anna Maria Novelli e Luciano Marucci 

 

 

Un “Viaggio nel Mondo” ti aiuta a superare la noia del tran tran quotidiano, a ritrovare il piacere di vivere... Ma perché la fuga sia veramente salutare, è meglio recarsi in luoghi non occidentalizzati, anche se scomodi da visitare, dove è ancora possibile incontrare un altrove desiderabile, sempre più raro, dal momento che il processo di contaminazione-globalizzazione sta rapidamente portando all’ibridismo culturale, alla colonizzazione consumistica, al turismo di massa, alla diffusione dei media e delle nuove tecnologie che rendono indifferenziato ogni aspetto. Da qui l’urgenza di esplorare, prima della loro definitiva trasformazione, le regioni che resistono agli assalti della falsa modernità, dove l’identità locale è salvaguardata grazie… alla povertà, all’isolamento e all’orgoglio di certe etnie.Con questi presupposti, optiamo per “Burma sconosciuta” ed eccoci al rituale rendez-vous nell’aeroporto di Roma. Con i voli della “Royal Jordanian” e della “Myanmar Airways” arriviamo a Yangon. La ‘famigliola’ di sette componenti (coordinatrice Roberta Pagliughi) è pronta ad affrontare situazioni e percorsi imprevisti, peraltro in aree non sempre facilmente raggiungibili e con gente dalle abitudini diverse, ma ci soccorre la gentilezza dei residenti. I posti da visitare, piuttosto diversificati, rendono l’itinerario alquanto movimentato. Ma questa volta siamo sollevati… dal peso della tenda e della profilassi antimalarica (a nostro rischio e pericolo). Per risparmiare, sottoscriviamo solo una parte del “pacchetto” proposto dal referente locale: alberghi prenotati, voli interni e treno. Per il resto si contratta, “costi quel che costi, purché non costi caro!”. Con l’alimentazione, fin dall’inizio, non abbiamo problemi. Abbondanti free fast food delle colazioni negli alberghi; pranzi volanti con ottima frutta acquistata a prezzi stracciati: banane astringenti, mandarini dissetanti, ‘avvocati’ delicati, papaje lassative. Per le cene c’è l’imbarazzo della scelta: ristorantini tipici con piatti birmani, cinesi, indiani. Di preferenza scegliamo noodles, fried rice with vegetable, chickens (discretamente ‘nervosi’) o grilled fishes. Senza contare gli assaggi hard, comprese le enigmatiche frittelle dei banchetti. Scambiati i dollari con voluminose mazzette di banconote, inizia il tour.A Yangon, oltre alle preziose pagode dorate, ci colpiscono subito le lunghe file di monaci che, in perfetto ordine e silenzio, escono come formiche dai monasteri in cerca di soon (offerte) con il thabeiq di maiolica amaranto e, a volte, con il ventaglio-coprisole a foglia; le donne con le ‘primitive’ maschere di thanakha che funge da tonico per la pelle, filtro solare e maquillage; i semafori con segnalazione del tempo di sosta…Si parte con l’aereo ad elica della “Yangon Airways”, schivando la “Myanma Air” che detiene il record di incidenti. Dopo tre rapidi stop, eccoci a Kyaingtong (aperta al turismo dal 1993), nello Stato Shan, roccaforte del governo tra ribelli e narcotrafficanti (puniti con la pena di morte…). Affascinante il paesaggio visto dall’alto: montagne coperte da fitte foreste, villaggi di capanne dal tetto di foglie di palma (o di lamiere), risaie rilucenti, carri trainati da buoi su strade sterrate e, a tratti, fangose. D’obbligo la visita al ricco mercato centrale, con gente che arriva su rumorosi e fumanti automezzi stracarichi.Ci attendono due giorni di escursioni on foot tra le minoranze etniche. Più interessanti i villaggi Akha con le donne dagli abiti caratteristici: maglietta e ‘minigonna’ nere, gambali di stoffa con colorati disegni geometrici; giovanili borsette tessute a mano e decorate con borchie d’argento, semi, bottoncini e fili pendenti di perline (acquistabili per tre dollari); splendidi copricapi ornati con monete, perline, sfere d’argento (50 dollari). Le donne Akhi fumano la pipa, le Enn sono in festa (bardate con fiori), le Padaung mostrano alte cinte di metallo e di altri materiali ed hanno i lobi delle orecchie con grandi buchi... In ogni villaggio si ritrovano abitudini e oggetti tipici degli ambienti naturali.Lasciate le colline, ci spostiamo sul pittoresco lago Inle, abitato dagli Intha. Anche qui la vita ruota intorno all’agricoltura sfruttando le isole costruite con laborioso trasporto di terra dentro palizzate di bambù. Arriviamo al flootting market (su canoe), i venditori sono troppo insistenti, ci fanno sentire turisti borghesi. In queste acque i pescatori usano grandi reti a forma di cono e remano facendo leva sul polpaccio di una gamba per lasciare libera una mano. Nell’area è diffusa la tessitura della seta su telai di legno, l’artigianato della lacca e dell’argento, la preparazione di cheroot (sigari con tabacco e altre erbe aromatiche accuratamente confezionati con foglie di banano). Nelle vicinanze dimora una famiglia Palaung (donne giraffa) e, con l’aiuto di un mediatore…, la troviamo in una tenda accanto a un telaio, in attesa… di curiosi pronti a documentarsi. Dal lago arriviamo a Pindaya (centro dell’etnia Taung-yo), rinomata per le grotte calcaree con 8.000 sculture di Siddharta in alabastro, tek, cemento, mattoni, lacca. Questi ultimi ‘sudano’ per la condensa e i Birmani si strofinano sul volto le gocce per assicurarsi fortuna e bellezza. Su quelli d’oro i pellegrini attaccano foglie su foglie (d’oro, naturalmente!) fino a deformarli.Giungiamo a Mandalay, ultima capitale birmana prima della colonizzazione britannica. La città è dominata dall’omonima collina sacra. Due enormi statue di leoni stanno a guardia dell’ingresso. A piedi nudi e un po’ affannati per il caldo, saliamo i 1.700 gradini, sostando nei templi lungo la via. Una volta in cima ci accorgiamo che il panorama, tanto decantato dalle guide, è in parte coperto dalla vegetazione.La mattina seguente ci troviamo puntuali al monastero di Mahagandha per assistere al rituale pranzo dei numerosi ‘arancioni’, impassibili ai clic e ai flash.Proseguiamo per altre antiche capitali: Amarapura, Inwa - meglio conosciuta come Ava – (dove ammiriamo un antico tempio tutto in legno con mobili ‘traforati’), Sagaing (che attrae per l’ambientazione degli zedi e dei monasteri lungo il corso del fiume Ayeyarwady).Il trasferimento al mitico sito archeologico di Bagan avviene su un comodo battello. All’alba il fiume è ampio e tranquillo. L’infuocato e abbagliante disco solare spunta dalla giungla e si riflette sul pelo dell’acqua in mille schegge rosso-dorate, solcato da sagome di imbarcazioni controluce. Salendo, il sole ridà forma al paesaggio che si risveglia unificando cielo-acqua-terra in una realtà sacralizzata dai templi bianchi e color oro di Sagaing disseminati sui rilievi tra il verde. È vero: la Birmania appare il mistico paese buddista di cui si favoleggia, la terra dai mille colori e profumi che non si vorrebbe mai lasciare.Tra un’emozione e l’altra, siamo nella leggendaria Old Bagan dai tredicimila templi. Per visitare almeno i principali, noleggiamo delle biciclette e cominciamo dall’Ananda Patho, uno dei più venerati, con i quattro Buddha che hanno raggiunto il nirvana (in tek massiccio, alti circa 10 metri). Intorno ad esso stazionano carri coperti dove abitano famiglie nomadi.Dopo una full immersion da capogiro, nel pomeriggio inoltrato saliamo sulla sommità dell’ennesima costruzione per uno sguardo panoramico. Tornando all’albergo, abbiamo la fortuna… di incontrare due folcloristici funerali: uno ricco e uno povero. Dopo un trasferimento a Thazi, con sosta al Monte Popa (considerata la dimora dei nat più potenti), prendiamo il treno. In una notte (d’insonnia), movimentata da tre topolini che scorrazzano più veloci del convoglio tra i piedi dei viaggiatori, ci riportiamo a Yangon e, in aereo, nella commerciale Sittwe (città portuale del Rakhaing State), dove il fiume Kaladan sfocia nel Golfo del Bengala. E con una barca privata, a tarda sera, approdiamo a Mrauk U. Dedichiamo la giornata successiva a risalire il fiume Lemyo (dopo un’imprevista sgaloppata di un’ora e mezza tra i campi) con sosta in tre villaggi Shin.La natura lungo le rive è particolarmente rigogliosa, sulle acque canne e canne di bambù per uso edilizio. Incrociamo un gruppo di prigionieri ai lavori forzati (?), guardati a vista da militari armati: “vietato fotografare!”. Nei villaggi, quasi spopolati, scoviamo solo alcune anziane dal volto completamente tatuato a tela di ragno. Come al solito, ci accolgono frotte di bambini festanti nella speranza di ricevere qualche caramella. Per rientrare all’hotel prendiamo i calessi, ma ad uno di essi si sfascia una ruota e tre amici si ritrovano comodamente… a terra.L’indomani altra scorpacciata di archeologia birmana con i templi in pietra scura: imponenti come fortezze, con suggestivi labirinti interni, animati da innumerevoli bassorilievi alle pareti e nicchie con gli immancabili… busti di Buddha. Leggiamo che nello Shittaung (“Santuario delle 80.000 immagini”) gli abitanti si rifugiavano durante gli attacchi nemici.Purtroppo, il nostro avvincente giro perde rapidamente il suo tempo. Da Mrauk’U in barca e da Sittwe in aereo, torniamo all’Hotel Panorama di Yangon e, poiché chi va a Roma parte un giorno prima, corriamo al complesso della scintillante Shwedagon Paya: un luogo di vera devozione, fuori dal tempo, del “mistero dorato” – come ha scritto Kipling. Qui le preghiere salgono silenziose dal cuore alle labbra e raggiungono le dita che sgranano il ‘rosario’. Ci aspetta l’ultima escursione al Monte Kyaiktijo per vedere lo zedi d’oro posto in bilico su un enorme masso che, secondo la tradizione, mantiene l’equilibrio per virtù di un capello di Buddha conservato all’interno dello stupa. La sommità della montagna si raggiunge con un pick-up che non parte finché non ha caricato 50 persone (stipate come sardine). L’attesa dapprima crea nervosismo, poi battute ilari, quando il mezzo si avventura sull’ardua salita per venti minuti. Una volta scesi, ci sono altri tre quarti d’ora a piedi. I comodoni si fanno portare con un palanquin (lettiga-sdraio, in canne di bambù, con quattro portatori). In realtà la Golden Rock non è così mitica, anche se inserita in un paesaggio primordiale e alla sera, quando viene illuminata, fa uno strano effetto. Dopo il tramonto scende la nebbia e l’aria si raffredda. Nel pacifico ‘rifugio’ sembra di dormire in Paradiso, nonostante le camere-giaciglio veramente spartane…Sulla strada del ritorno c’è Bago: salutiamo in fretta… (per non pagare i 5 dollari d’entrata) il Buddha disteso più grande della Birmania (55 metri di lunghezza, 16 di altezza) e poi ancora nella capitale per gli ultimi rapidi acquisti di longyi, sete, marionette e altri souvenirs.È l’ora di dividerci dai quattro compagni che restano un altro giorno e siamo già… alla solita trafila: saluti, taxi, aeroporto, ceck-in, volo. Atterriamo a Bangkok e... finale a sorpresa: l’aereo è ‘assalito’ da un “very big group” (circa 300) di cinesi mongoli, anche molto anziani e malandati, che, dopo una vita di sacrifici, spendono una grossa cifra per recarsi a La Mecca a rendere omaggio a Maometto e ad accarezzare la pietra nera. Gente semplice che vola per la prima volta. Fuori programma, viviamo l’esperienza di un’altra etnia, a 10.000 metri di altitudine… Si comunica con i gesti, si scattano foto-ricordo e plaudiamo al bel viaggiare che permette piacevoli incontri.  

 

(servizio fotografico di Luciano Marucci) 

 

(«Avventure nel Mondo» (Roma), a. XXXIV, n. 2, luglio-dicembre 2007, pp. 43-44)   

 

 

Per il reportage con le immagini vai al sito della rivista

http://www.viaggiavventurenelmondo.it/nuovosito/rivista/articoli/02-2007-O-14.pdf