Ceccobelli all’Accademia di Belle Arti di Urbino

a cura di Luciano Marucci e Sabrina Muzi 

 

Luciano Marucci: Qual è stata la tua impressione-riflessione entrando all’Accademia di Belle Arti di Urbino?

Bruno Ceccobelli: Mi sembra che il sistema delle accademie in Italia soffra di tutta quella assenza che generalmente c’è in un pensiero razionale didattico-intellettualistico-scolastico, cioè  di vita pratica e di felicità creativa. Si procede troppo per ricerche enciclopediche e sviluppi modulari. Credo che ci sia difficoltà, soprattutto da parte degli studenti, a recepire quella che può essere la realtà del mondo economico internazionale dell’arte. Anche se essi sono pronti a ricevere insegnamenti teorici e filosofici, tutto quello che rappresenta la parte mercantile dell’opera d’arte risulta piuttosto difficile da comprendere. Io penso che occorra trovare delle unioni di concetti e di significati tra l’economia del fare poesia e l’economia di mercato che serve a diffondere l’opera d’arte. 

 

L.M.: L’istituzione, nel contesto della città storica, come ti è apparsa?

B.C.: C’è all’interno una certa allegria, una cultura gioviale e giovanile profonda: ne sono soddisfatto. L’Accademia di Urbino, poi, è situata accanto alla casa di Raffaello e non è solo una coincidenza. Devo dire che la stessa nascita storica del Genius Loci appaga la problematica Federiciana di sviluppare una filosofia matematica umanistica. Quindi, credo sia una vera fortuna operare in un contesto così aureo. 

 

Sabrina Muzi: Che rapporto si è instaurato tra te - che hai un pensiero indipendente ed un’esperienza nel campo della pratica artistica - e gli studenti?

B.C.: È ancora improntato all’apprendimento passivo per un certo loro timore... D’altra parte, se la scuola non è supportata da professionisti che operano all’esterno dell’accademia stessa - voglio dire anche in campo internazionale - la realtà riversata dell’esperienza vita sarà per loro sempre più lontana. 

 

S.M.: ...È basato sull’amicizia, oppure...?

B.C.: Sicuramente sull’amicizia, non è un rapporto distaccato da professore; caso mai da professionista prestato al mondo della scuola per portare tutte le esperienze vissute andando in giro per il mondo. 

 

Luciano Marucci: Per te che attribuisci all’opera una funzione terapeutica, che importanza acquista educare all’arte?

B.C.: È educare alla vita. È evidente che prima ci sono la vita, le passioni, il comportamento nei confronti degli altri, della società. Di conseguenza, l’opera d’arte è una registrazione dei propri intendimenti interiori. 

 

L.M.: Come pensi che vengano viste l’insolita componente spirituale a cui sei interessato e la tua azione etico-morale in un certo senso provocatorie per i tempi che corrono?

B.C.: L’interesse verso i problemi spirituali è minimo. È il male del nostro secolo. La paura dell’Aids ritarda lo sviluppo sia sessuale, sia intellettuale; i mass media appiattiscono qualsiasi vicenda o notizia ed operano una omologazione talmente generale che la cultura quasi non ha più modo di essere. Però io sono convinto che solo attraverso una ricerca interiore si possa arrivare ad un proprio linguaggio. 

 

Sabrina Muzi: In generale, le istituzioni artistiche possono ancora assolvere ad una funzione utile in senso formativo-creativo?

B.C.: Certo, ma bisogna vedere quali insegnanti operano nella scuola. La burocrazia non aiuta e neanche i programmi stabiliti dal Ministero. Se però ci sono dei personaggi, dei veri professionisti del mondo del lavoro, qualcosa di buono si otterrà. 

 

S.M.: Ora facciamo parlare un tuo studente. Francesco Pantaleone, come vedi il lavoro svolto all’Accademia da Ceccobelli?

F.P.: Intanto occorre sottolineare la fortuna di incontrarsi con una personalità di questo spessore nel panorama artistico. Il professor Ceccobelli è inserito in un contesto lavorativo e di mercato internazionale, quindi, dà sicuramente un apporto qualitativo. Raramente è possibile trovare nelle accademie italiane uno come lui. Non tutte sono fortunate come Urbino in questo momento. 

 

Luciano Marucci: Gli studenti sono prevenuti o disponibili verso gli insegnanti che hanno una forte personalità di artista?

B.C.: Si deve un attimo pensare a Kandinsky che insegnava al Bauhaus, a Gropius, Rietvelt, a tutti i grossi artisti-insegnanti; all’esperienza di Beuys all’Accademia di Düsseldorf dove veniva contestato dal corpo docente e semplicemente adorato dagli studenti. Credo che un discente intelligente riesca a beneficiare di quello che il docente trasmette come apporto umano ed esperienziale legato ai suoi anni di lavoro.  

 

Sabrina Muzi: Secondo te, quella di Urbino è un’Accademia chiusa?

F.P.: Credo di no. Se si pensa alla emarginazione geografica, bisogna far riferimento al villaggio globale, al fatto che ormai viviamo tutti con il  telefono, il telefax; in villaggi telematici e virtuali. In due ore si è a Bologna, in poco più a Milano, per non dire a Parigi o New York, quindi, l’emarginazione non è così forte. Molti docenti vengono da fuori... Nella produzione, la provincialità non c’è più che in altre accademie. Anzi, con i docenti artisti, c’è un respiro più ampio. Ci sono state delle mostre di scambio con altre accademie europee come quella di Berlino. Non è mancata la possibilità di confrontarsi direttamente con realtà diverse. Ceccobelli ci ha invogliato anche ad iniziare un contatto epistolare con artisti internazionali come Gilbert & George, Tuttle ed altri. 

 

(testo approntato nel dicembre del 1995 per il n. 5 della rivista «Marca d’Autore» non pubblicato)