PESARO

Il Convento dei Servi di Maria a Monteciccardo, nel suo splendido isolamento, da qualche anno è divenuto un qualificato centro di arte contemporanea con l’iniziativa “Memoriale dal convento”. Dopo le personali di Cucchi, Spalletti, Merz e Paolini, quest’estate ha accolto Jannis Kounellis che, ispirandosi al luogo, ha ambientato quattro installazioni nelle celle dei monaci, così da stimolare la meditazione e la riflessione attraverso una produzione artistica laica. Dodici sedie, poste in circolo con al centro pesanti pietre trovate nella campagna circostante, rimandavano ai riti di preghiera dei frati; altre sedie (ancora in cerchio chiuso) coperte da un ‘mantello’ nero, come quello delle donne islamiche, erano sopra tappeti e su due strisce di piombo che facevano pensare alle rotaie “ferme in qualche angolo d’Oriente”. Per Kounellis “Ogni cerchio è un coro, una litania o la corona di un rosario, e non sappiamo se celebra un matrimonio o piange un funerale”. Un’altra stanza era completamente occupata da bottiglie nere (tutte uguali) e da cappotti neri poggiati sopra malamente. Poi tanti passi, evocati da scarpe di ogni foggia e misura, messe in fila lungo un cammino che si concludeva con altre scarpe formando una simbolica croce. Una “mostra silenziosa” - come l’ha definita Ludovico Pratesi (curatore con Olimpia Eberspacher dell’evento) nel piccolo catalogo-messale nero (Silvana Editrice) - che invitava a ripensare il quotidiano, connotato da comuni oggetti e comportamenti esteriori, con una nuova etica. Esposizione intensa, dunque, di un artista trasgressivo di grande sensibilità che, dopo cinquant’anni di attività, continua a sorprendere con lavori di intatta freschezza.

La personale “RossinAria” di Luigi Ontani al Centro Arti Visive Pescheria, curata da Ludovico Pratesi, è stata concepita dall’artista come un doppio omaggio alla città: luogo natale di Gioacchino Rossini e centro di produzione della ceramica. Nel loggiato ‘sfilavano’ otto “ErmEstEtiche” in maiolica policroma, riferite a personalità della storia, che ricordavano l’arte classica romana. Tra queste una dedicata a Rossini. Al centro della Chiesa del Suffragio (sconsacrata) era posta la grande scultura “ErmafroDito Mignolo” del 2005, in ceramica policroma, oro e lustri; alle pareti i “Vizi Capitelli”, sempre in ceramica, con forme originali ed eleganti dai rapporti cromatici delicati, che rappresentavano i sette vizi capitali, più un ottavo introdotto da Ontani sulla “Vanagloria” e quattro fotoceramiche ispirate a temi mistico-religiosi. Nell’insieme una sacralità laica nata dalla grande libertà immaginifica, dalla dissacrazione di forme della convenzione e dall’ibridazione delle diverse tecniche espressive tradizionali. Una raffinata iconografia scultorea senza fisicità materica, divinizzata pure nell’esibizione di componenti scopertamente sensuali. Anche in questi ultimi lavori il prolifico artista si è autorappresentato esternando la totalità del proprio vissuto con atteggiamento anticonformista, sfruttando la vena fantastica e la sua cultura tra visioni mitiche, subconscio, realtà quotidiana, pensiero divergente e capacità progettuale. Le opere, armonicamente relazionate agli spazi espositivi, creavano una sorta di silenzioso tempio della musica, mentre l’esposizione indirettamente consacrava l’arte ceramica dando moderna dignità a un genere spesso considerato secondario, grazie alla straordinaria collaborazione della Bottega Gatti di Faenza che sa interpretare la qualità delle inventive ideazioni di Ontani.

Il Teatro degli Artisti -  atteso appuntamento annuale organizzato dalla Galleria di Franca Mancini per “Les Rencontres Rossiniennes” nell’ambito del Rossini Opera Festival - ha presentato “La Cenerentola, le Cenerentole” di Marco Del Re, a cura della stessa Mancini e di Luigi Ferrari, con una serie di trentatré grandi opere su carta realizzate con inchiostri acquerellati a colori vivaci. L’artista triestino, che spesso lega il suo lavoro grafico-pittorico alla poesia e alla letteratura, questa volta ha interpretato una favola classica, ancora oggi impressa nell’immaginario collettivo, nelle versioni di Strabone e Eliano, Perrault, Grimm, Basile, nonché in quella musicale di Gioacchino Rossini, ultima opera buffa (1817) del compositore pesarese su libretto di Jacopo Ferretti. Del Re ha costruito un percorso per brani in cui ha associato le parole all’iconografia tra immediatezza infantile ed estraniamento mitico. Durante l’inaugurazione sono intervenuti Gianfranco Mariotti, sovrintendente del ROF; il critico d’arte Francesco Poli; il musicologo Bruno Cagli che ha messo in rilievo la valenza cromatica della partitura rossiniana, favolistica e amorale. Poi il pubblico ha seguito con attenzione “Culincenere” (curata da Cornelia Mattiacci, figlia dello scultore Eliseo): colta e acuta analisi del semiologo Paolo Fabbri sulla trama della favola (fino ad ora narrata nel mondo con circa settecento varianti) ed esibizione dell’attore Luca Micheletti cha ha letto con disinvolta verve un singolare testo di Michel Serres.

La personale di Oscar Piattella nella sala espositiva della Libreria di Frusaglia ha proposto “Piccole Pitture” aniconiche su tavola, riconducibili all’Informale e all’astrazione geometrica, che esaltavano al massimo le potenzialità di colori tradizionali associati a frammenti di materiali eterogenei scelti per le loro qualità sensibili. La mostra da un lato evidenziava coerenza della ricerca e preziosità dei singoli manufatti artistici, ottenuti dalla sublimazione delle componenti ben amalgamate; dall’altro svelava il procedimento formativo dell’intero lavoro, quasi sequenziale, derivante dalla sperimentazione di nuovi elementi costitutivi in diversificate combinazioni. L’esposizione era annunciata da un’opera più grande (realizzata in passato) dalla struttura minimale, monocromatica (di colore nero) che evocava sottilmente un luogo reale impresso nella memoria. Il catalogo a schede riportava sul retro delle riproduzioni di ciascun dipinto un testo tratto dal libro “La luce. Dialoghi tra un pittore e uno psichiatra” dello stesso Piattella e di Ugo Amati; scritti di Fabio Scotto, Feliciano Paoli e una poesia di Franco Bozzi.

Luciano Marucci 

 

[“Juliet” (Trieste), n. 154, ottobre-novembre 2011, pp. 94-95]