PESARO
L’annuale mostra che la Galleria Franca Mancini, in concomitanza con il Rossini Opera Festival, dedica alla relazione arti visive-musica, ha visto protagonista Maurizio Mochetti, noto per le realizzazioni che hanno affrontato il tema della luce e della luce in movimento con l’uso del laser fin dai primi anni Sessanta, quando le sue applicazioni pratiche non erano ancora diffuse. Una ricerca che richiede anche conoscenze scientifiche e sperimentazione sviluppata con rigore ed essenzialità nel periodo espansivo dell’Arte Concettuale. Nell’esposizione primeggiava Elica infinita: aereo con raggio laser al posto dell’elica, che univa passato e presente in un moto perpetuo. Tra le altre opere tridimensionali una coppia di pinguini-aeroplani, alludeva al moto in un oggetto fermo. Com’è intuibile, questa volta l’artista non è stato scelto per interpretare una partitura sonora, ma per il suo particolare lavoro che dà origine a una dimensione spaziale “altra”, come accade nella musica, nonché per le affinità tra i due creativi nella concezione dinamica del processo inventivo. All’inaugurazione dell’evento il musicologo Bruno Cagli - profondo conoscitore della biografia e della produzione dell’estroso musicista pesarese - ha parlato a lungo degli “accenti nascosti” e degli “abbellimenti” nelle esecuzioni sia nell’arte figurativa come in quella del suono. Il semiologo Paolo Fabbri, con l’acutezza dell’analisi critica che lo distingue, ha spiegato il titolo della mostra Maser e Laser (amplificatore di microonde il primo; l’altro dispositivo che emette un fascio di luce) e ha puntualizzato che Mochetti non è un pittore naturalista: la sua luce è totalmente scientifica, ma non in senso astratto come nell’Ottocento, quando la scienza era nascosta dietro la tecnologia, mentre oggi, grazie allo sviluppo della rappresentazione visiva, essa è associata all’immagine divulgativa. Inoltre, attraverso i suoi oggetti, egli riesce a dare, con libertà immaginifica, soluzione simulativa a problemi teorici, per cui potrebbe suggerire idee anche agli scienziati che operano in base a regole rigide. Egli, dunque, è interessato alla luce non per la valenza pittorica, bensì per gli effetti generativi. Altro aspetto che connota la sua produzione è l’individuazione del moto in un oggetto fisso (un po’ come per i futuristi), ossia la velocità frenata da cui derivano anche la turbolenza  e il camouflage, cioè parti di mondo che perdono la configurazione reale, quest’ultimo reso visibile in alcuni quadri esposti. Insomma, la diversità e la performatività dei lavori presentati provano che l’arte di Mochetti, pur essendo ben definita, concettualmente è ancora aperta ai fenomeni scientifici emergenti.

Luciano Marucci

 

[«Juliet» (Trieste), n. 174, ottobre-novembre 2015, p. 98]