I dissensi di Scotini
Il titolo dell’edizione online dedicata a Marco Scotini annuncia il carattere delle sue testimonianze incluse in questa rivisitazione, le quali evidenziano il rapporto, spesso conflittuale, dell’autore con la realtà vissuta, con sofferenza, all’interno del sistema Paese. Non solo, l’iniziativa editoriale si propone di far emergere aspetti ancor più soggettivi e inediti, pure se in parte intuibili, dal momento che tutto rientra nel pensiero filosofico che traspare dai suoi lavori. Grazie alla costante collaborazione di Marco, è stato possibile scrivere la ‘biografia ideale’, stimolata da diverse domande tendenti a indagare il suo mondo privato, che vuole espandersi all’esterno, al di là di quanto già documentato. Nel contempo viene sperimentato un format editoriale alternativo a quello tradizionale. E mi faccio interprete delle possibili istanze dei lettori, aumentando le conoscenze già acquisite sull’operatore culturale che partecipa, con intensa attività teoria e pratica, al rinnovamento della situazione vigente. Infatti, Scotini non è un intellettuale omologato e allineato all’esistente. Le sue visioni sono fondate sui valori più autentici e urgenti, che mettono in discussione il predominio del pensiero unico e l’invasivo fenomeno della globalizzazione, governato prevalentemente da chi ha insaziabili interessi materiali.
Marco Scotini, critico d’arte e curatore, direttore Dipartimento Arti Visive e Studi Curatoriali al NABA di Milano, direttore artistico FM Centro Arte Contemporanea, curatore programma espositivo PAV
Leggere le inchieste che Luciano Marucci accumula da oltre venti anni è come seguire un portolano per la navigazione, in tempo reale, nelle acque (più o meno mosse) dell’arte contemporanea. All’inizio (a partire dalla metà degli anni ‘90, credo) la descrizione vale soprattutto per le coste, i litorali e le isole italiane ma nell’ultimo decennio le informazioni (sempre più ricche ed estese) ci consentono di abbandonare il cabotaggio e di affrontare le acque in mare aperto, orientandoci rispetto ai diversi punti cardinali. La metafora non è ovvia – anzi per me è obbligata – per due ragioni. La prima ha a che fare con l’affaccio sull’Adriatico, se è vero che Marucci, nel ’69, è l’ideatore e uno dei curatori (assieme a Gillo Dorfles e Filiberto Menna) di una mostra landmark della storia dell’arte italiana come Al di là della pittura che si tiene a San Benedetto del Tronto. La seconda ragione mi vede direttamente coinvolto perché la prima inchiesta alla quale Marucci mi invita a partecipare (per tre volte in tre anni) porta il nome L’Arte dei Paesi Emergenti. La “investigazione” iniziale ha un carattere più teorico, la seconda è legata al Medio Oriente e la terza alla scena artistica albanese. Oggetto dell’inchiesta generale e in più episodi L’Arte dei Paesi Emergenti non solo vede implicati importanti protagonisti (artisti e curatori come Misiano, Medina, Obrist e Tinari, tra gli altri) ma si sofferma sulle latitudini più diverse (dall’Ex Europa dell’Est a Cuba, Colombia, Brasile, Argentina, così come al Medio Oriente e alla Cina, India, Africa) affrontando un tema fondamentale e urgente come quello geopolitico, così poco esplorato in sede critica e artistica in Italia. Ma oltre le tematiche cartografiche Marucci ha affrontato inchieste su questioni metodologiche (Pratiche Curatoriali Innovative oppure L’interazione disciplinare) ed etico-civili (L’Arte della Sopravvivenza o Urban Art & Non Art) che mi hanno visto ancora coinvolto insieme a molti altri soggetti. Marucci lascia sempre aperto il dibattito a personalità di discipline differenti, che rivestono ruoli diversi e che hanno orientamenti anche molto distanti tra loro, senza rinunciare però alla propria opinione che risulta sempre situata e definita. Ogni volta Marucci apre un campo problematico in cui le soluzioni non sono date implicitamente ma devono essere create. Un’altra peculiarità che contribuisce ad orientare ogni testimonianza all’interno del tema generale è l’aspetto “sartoriale” dell’inchiesta e, cioè, la declinazione individuale delle domande formulate per ciascun soggetto consultato. Per cui le tredici investigazioni di Marucci risultano, in definitiva, un grande archivio intellettuale della contemporaneità, tema – tra l’altro – a cui ha dedicato sei interi servizi aggirando l’Estetica ed Etica degli Archivi Privati. Ma questa sua irrinunciabile pedagogia e l’ostinazione alla co-ricerca da parte di Marucci hanno un pregio ulteriore e definitivo: mi appaiono come i presupposti di un dialogo continuo dove, su temi diversi, ritornano più volte le stesse voci, in una sorta di cantiere aperto, di lavori in corso, dove si cerca di mantenere vivo e duraturo un dibattito corale, nel tempo in cui il digitale ci ha consegnato definitivamente a monologhi infiniti e autoreferenziali, incapaci di interferire e di ‘costruire insieme’. Ma forse questo aspetto così singolare di Luciano Marucci non è altro che la traccia indelebile (il fortunato retaggio) di chi ha cominciato a lavorare alla fine dei fatidici anni ’60. E, allo stesso tempo, un segno della sua irreprimibile e rara libertà intellettuale. 4 gennaio 2001
Marco Scotini, art critic and curator, director of the Department of Visual Art and Curatorial Studies at NABA, Milan, artistic director of FM Centro Arte Contemporanea, curator of the PAV exhibit program
Reading Luciano Marucci’s inquiries and reports from the last 20 years, is like following a pilot book for navigation, in real time, in the waters (more or less rough) of contemporary art. At the beginning (from mid 1990s I think) the description concerns above all the Italian coast, the coastal areas and its islands, but in the last decade, the information (ever richer and vaster) lets us leave the coastal navigation and face water in open sea, orienting ourselves with the different cardinal points. The metaphore isn’t given – but rather necessary as I see it – for two reasons. The first one has to do with the location on the Adriatic coast, if it is true that Marucci, in 1969, was the inventor and one of the curators (together with Gillo Dorfles and Filiberto Menna) of a landmark exhibition of Italian art history, the Al di là della pittura (Beyond the painting) set up in San Benedetto del Tronto. The second reason sees me directly involved, because the first inquiry Marucci asked me to participate in (for three times in three years), is named L’Arte dei Paesi Emergenti (Art of Emerging Countries). The starting “investigation” has a rather theoretic nature, the second one is related to the Middle East whereas the third to the Albanian art scene. The subject matter of the general inquiry, and in several instalments, L’Arte dei Paesi Emergenti (Art of Emerging Countries) not only involves important leading personalities (artists and curators such as Misiano, Medina, Obrist and Tinari among others), but examines the most disparate latitudes (from the former Eastern Europe to Cuba, Colombia, Brazil, Argentina as well as to the Middle East and to Cina, India and Africa) dealing with an all-important and urgent, the geopolitical one, so little explored in the Italian critical and artistic environement. But in addition to the cartographic subject matters, Marucci has taken on inquiries into methodological issues (Pratiche Curatoriali Innovative or L’interazione disciplinare / Innovative Curatorial Practices or The Disciplinary Interaction) and ethic-civil ones (L’Arte della Sopravvivenza or Urban Art & Non Art / The Art of the Survival or Art & Non Art), and I was again involved together with several others. Marucci always leaves the debate open to personalities representing different disciplines, that hold different roles and that also express very distant orientations, though without giving up on his own opinion which always results focused and defined. Every time, Marucci enters a problematic field in which the solutions are not given implicitly but have to be created. Another peculiarity that contributes to orient each participation inside the general subject matter, is the “tailoring” aspect of the inquiry and, that is to say, the individual inclination of the questions that are tailored for each participant. In the end, the thirteen inquiries by Marucci result in a rich intellectual archive of contemporaneity, a theme – by the way – to which he has dedicated six complete reports on l’Estetica ed Etica degli Archivi Privati (Aesthetics and Ethics of the Private Archives). But Marucci’s essential pedagogia and this pushing for a co-research, have an additional and definitive value: they appear to me as prerequisites for an ongoing dialogue on various themes where the same voices return many times in a kind of construction side, a work in progress, trying to keep alive and lasting choral debate in a digital era which definitively favors everlasting and self-referential monologues, incapable of interfering and “creating together”. But maybe this so unique aspect of Luciano Marucci is nothing else than the indelible sign (the fortunate legacy) of whom started working at the end of the fatitic 1960s. And, at the same time, a sign of his irrepressible and uncommon intellectual freedom. January, 4th, 2021 (traduzione Kari Moum)
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