CARLA MATTII

Luciano Marucci: Quale concetto accomuna i primi dipinti del ciclo ‘Assenze’, dai diafani volti umani, alle ‘presenze’ floreali degli ultimi tempi?

Carla Mattii: Tra i due momenti cambiano i soggetti, ma il concetto è lo stesso: indagare su un’ambiguità percettiva. Come l’immagine del volto o del corpo diventa il doppio di sé trasfigurandosi in forme umbratili e indefinite, così il fiore, pur cambiando struttura e forma originaria, resta tale. Una forma presente che rimanda a una assente.

 

Perché il fiore?

È l’oggetto più appropriato per giocare la carta della seduzione e dell’artificio. Osservando un fiore vero diciamo che per la sua bellezza sembra finto, mentre guardando un bel fiore finto diciamo che sembra vero. Vorrei che i miei fiori, dai colori e dalle forme improbabili, possano essere creduti anche reali.

 

La scelta del tulipano è stata casuale?

Del tulipano mi interessa la forma. Le possibilità di manipolarlo sono infinite grazie alla presenza del bulbo e dei petali regolari.

 

Fai un esempio di come agisci.

Prima di tutto scompongo, o meglio ‘seziono’, un fiore vero staccando petali, calice, corolla, stelo. Utilizzo tutte le parti del fiore reale e creo un fiore nuovo assemblandole in modo illogico, ma non casuale, fino ad ottenere una ‘trasfigurazione’ o forse una mutazione…

 

Sembra un intervento chirurgico piuttosto che poetico…

Anche la chirurgia e la manipolazione genetica di questi tempi possono rivelare un’inaspettata aura poetica. Tutto ciò che spalanca nuove prospettive può, se visto con occhi giusti, trovare una dimensione lirica. Nel bene e nel male, beninteso.

 

Se non sbaglio, il tulipano è uno dei più studiati dai genetisti per creare esemplari dai colori sempre più artificiali graditi al mercato…

Il tulipano e l’orchidea sono le specie più usate per le ibridazioni. Si tende a cambiarne il colore e spesso anche la forma dei petali. Già nel 1600 la ‘tulipanomania’ era al suo culmine. Chiaramente io cerco di trovare una nuova dimensione anche simbolica ad una pratica che da sempre occupa l’uomo e sta arrivando ad esiti abbastanza estremi: cambiare la natura.

 

Ma, per arrivare all’opera finita, quale procedimento segui?

Come ti accennavo, prima agisco sulla struttura del fiore vero; una volta trasformato manualmente, lo fotografo. L’opera finita sarà data dalla foto modificata ulteriormente attraverso l’elaborazione digitale, mai l’oggetto-fiore. La mediazione fotografica per me è importantissima.

 

Compi esclusivamente un’ “operazione estetica” o vuoi alludere alle problematiche della transgenetica?

Mi sembra che queste due istanze convivano e si alimentino l’un l’altra nel processo creativo.

 

Così facendo modifichi l’identità dei componenti più attraenti e vitali del mondo naturale…

È esattamente la mia intenzione: trasformare la realtà naturale valorizzandone la forma e le parti più belle. Cerco di immaginare creature perfette anche senza linfa vitale.

 

Dalla manualità pittorica degli ‘auto-ritratti’ alle manipolazioni materiali, alla virtualità dei nuovi media. In fondo questo percorso artistico ‘imita’ il processo scientifico del passaggio dalla genetica tradizionale a quella praticata con le ultime tecnologie della procreazione.

Il procedimento artistico imita quello scientifico solo apparentemente. L’oggetto finito può essere simile ma il processo di mutazione diverso. La scienza non si limita alla manipolazione. e fa vivere la natura modificata in un luogo naturale. I miei fiori modificati, invece, non vivono in uno spazio naturale, né seguono le leggi naturali che li porterebbero alla decomposizione. Diventano immagini immutabili di un’astrazione, un atto dell’immaginazione che entra prepotentemente nella realtà.

 

È un atteggiamento di denuncia o di accettazione delle mutazioni o clonazioni da laboratorio?

Interagisco con il mondo che mi circonda e sono qui per porre, più che altro, domande. Per ora non denuncio, né accetto: cerco di prendere atto.

 

Nessuna nostalgia delle meraviglie dei fiori spontanei, del loro profumo, dell’armonia di forme e colori?

Certamente. Per questo cerco la bellezza e l’armonia nelle forme mutanti. Ricostruisco il fiore senza nessuna logica naturale; tengo sempre presente colore e forma. Sarebbe semplice identificare la mutazione con la mostruosità.

 

Ma con la tua “chirurgia plastica” vuoi che i fiori parlino un linguaggio più estetico o ideologico?

Pur nella loro essenza mutante vorrei che fossero oggetto di contemplazione e, perché no, di spiazzante piacere estetico. Vorrei che l’ideologia insita nel mio metodo di lavoro fosse in perfetta simbiosi con la forma.

 

Diciamo che l’opera è governata da un pensiero più responsabile…

…Direi di partecipazione agli eventi che mi circondano (??).

 

Nei lavori attuali si nota una diversa ibridazione o, se preferisci, una sorta di metamorfosi degenerativa… Dove vuoi arrivare?

Sì, gli ultimi lavori sono diversi. Mentre nei primi per l’assemblaggio usavo una sola specie floreale, ora prendo più elementi del mondo naturale. Per adesso non so dove voglio arrivare. Lascio che gli eventi facciano il loro corso.

 

In un certo senso con la tua produzione non ti opponi alla natura creata da un essere superiore, ma ti integri con quella inventata dall’uomo che oggi può essere definita “post-natura”.

La natura non può essere inventata dall’uomo, ma reinterpretata, modificata, riciclata, riclassificata. Per fare ciò si ha sempre bisogno di un elemento naturale e reale. “Post-natura” è il termine giusto per indicare una natura che non riconosciamo più come tale, una natura che prende forma in un luogo del silenzio, nel non luogo, completamente diverso da quello dove fino ad ora l’abbiamo incontrata. Per il momento, questa è la mia personale, molto umana, indagine sugli scenari possibili, inimmaginabili che ci aspettano.

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 107, aprile maggio 2002, p. 52]

 

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