Home arrow Viaggi nell'arte arrow Percorsi liberi arrow Terenzio Eusebi / Interior Imprint (dicembre 2004-gennaio 2005)
Terenzio Eusebi Interior Imprint PDF Stampa

1.
Nella percezione collettiva la fabbrica è il luogo della catena di montaggio, dove tutti i movimenti sono funzionali alla produzione in serie per la società dei consumi; il sito dell’incomunicabilità e dell’alienazione, in cui l’operaio, associato alla macchina, perde identità, libertà, umanità…

In verità nei reparti ogni giorno si replica una performance fatta di specializzazioni, gesti meccanici, turni e ritmi imposti da organizzazione interna, committenza e concorrenza.

In genere l’insediamento destinato a questa ritualità è una costruzione solida e inespressiva, dominata da cemento e metallo, con gli arredi impersonali.


2.

La tipografia è una delle “fabbriche” più antiche; quella maggiormente legata alla vita della città. Con le moderne tecnologie, sempre più rapide e perfette, è divenuta espressione dinamica dell’odierno sistema informativo e promozionale.

Il suo prodotto cartaceo, piuttosto differenziato, è veicolo di cultura viva o riflette il gusto comune indotto dalla comunicazione mediale. In quest’ultimo caso l’immagine a stampa non può che connotarsi come stereotipo visivo. Quando, invece, l’attività entra in rapporto con l’arte figurativa, il livello qualitativo tende ad accrescersi. In quest’ottica è stato proficuo anche l’avvicinamento tra le tecniche dell’alta tiratura tipografica e quelle seriali dell’arte incisoria che ha raffreddato l’opera e ridotto la valenza feticistica. E strumenti utili per fare arte ‘attuale’ possono essere forniti alle ultime generazioni. Si pensi alla pittura digitale e alle altre innovazioni favorite dal diffondersi dell’informatica, che hanno accostato le opere uniche all’oggetto commerciale, facendo loro assumere certe caratteristiche del multiplo.


3.

Se non è una novità allestire mostre in opifici dismessi per sfruttare gli spazi vissuti, e tanti sono ormai quelli recuperati dove fare mostre temporanee o presentare collezioni permanenti, è certamente raro che uno stabilimento pienamente funzionante sia ‘occupato’ dall’arte, come accaduto nella zona produttiva nei pressi di Ascoli Piceno, grazie alla disponibilità di un industriale che ha sempre avuto uno speciale sodalizio con le arti visive e la musica.

Ecco allora la ‘necessità’ di ‘addomesticare’ il nuovo stabilimento per compensare l’oggettività di un impianto dell’era della globalizzazione con la soggettività della dimensione immaginaria.

Questo il movente che ha dato avvio ai D’Auria Art Events: appuntamenti artistici alternativi a quelli del vigente sistema dell’arte.

La manifestazione inaugurale ha presentato una sorta di “installazione grafico-pittorico-plastica” di Terenzio Eusebi, armonizzata da una esibizione musicale. Un’operazione ri-creativa che si proponeva di far entrare l’estetica in fabbrica, al fine di contaminare l’utilità dei reparti produttivi con l’apparente inutilità dell’opera d’arte; la serialità con l’unicità; l’esperienza orizzontale con quella verticale.

Il luogo di lavoro, sia pure per un periodo limitato, si è trasformato nel palcoscenico di una pièce teatrale o, meglio, in un reality show. Non solo: in questa prima proposta il manufatto artistico dialogava con la struttura architettonica e i diversi comparti; percorreva passaggi obbligati e sconfinava all’esterno; dopo essersi appropriato dei materiali d’uso (lastre, carte) e perfino degli imballaggi, è andato a nobilitare gli ambienti della stampa offset insinuandosi tra i macchinari, stimolando così i visitatori a una ideale caccia al tesoro…


4.

Terenzio Eusebi, valorizzando le texture dei supporti (abituali o casuali) e le sottili qualità delle materie impiegate (ordinarie o insolite), con mano leggera e intuizione felice, ha realizzato opere bidimensionali (dai disegni ai dipinti con l’associazione di materiali eterogenei) e tridimensionali, tra cui pregevoli ceramiche, concepite come “contenitori di moralità”, abitati da idealità, memorie sedimentate e silenzi eloquenti, che dai tempi pretecnologici irrompono nel presente. Pezzi unici di archisculture monocromatiche e policrome che rimandano a edificazioni utopiche, dove l’arcaico si fonde con il contemporaneo.

Tra i lavori eseguiti per l’occasione, alcuni grandi ‘cartoni’ con impossibili itinerari iconici, mappe contrassegnate dai simboli di un inconfondibile repertorio intimo.

Dall’insieme acquistavano particolare rilievo gli interventi in situ dell’artista che, senza tradire la sua cifra stilistica, stabiliva un rapporto dialettico con gli ambienti. Si evidenziavano delle tangenze formali, ma tra i due mondi prevalevano differenze ideologiche e concettuali: da una parte la realtà geometrica della funzionalità; dall’altra quella asimmetrica dell’operatore visuale non allineato.

Il titolo dell’esposizione, Interior Imprint, alludeva proprio a questo dualismo, all’impronta interiore che vuole espandersi in contrapposizione all’immutabilità della stampa.

L’esposizione ha dato modo all’artista di esternare le sue potenzialità nell’affrontare, senza limiti disciplinari, tematiche diverse in ampi spazi.

Anche lo speciale catalogo, che evidenzia i ‘particolari’ più significativi delle numerose opere riprodotte, rientra in una progettazione inventiva.

Eusebi, pur agendo nella realtà contingente, non l’asseconda, anzi reagisce opponendo la sua privacy e un modello di vita non standardizzato. In altre parole, indica la centralità dell’interiore sull’esteriore, oggi praticato dai più. Quindi, privilegia l’immagine simbolica – aperta e imprevedibile - su quella massmediale, l’evocazione sulla descrizione, l’introspezione sulla contemplazione. Nel suo non-luogo non c’è posto per le banalità del quotidiano. Crede ancora negli affetti, nel mistero e nella magia, nell’alchimia e nella trascendenza. Il protagonista della sua composita produzione (uomo o donna che sia) non è un voyeur, ma un individuo problematico che esplora l’in-conscio; vagheggia l’integrazione con la storia e la natura, va alla ricerca di un altrove più vivibile; desidera colmare il vuoto esistenziale evitando la conflittualità. Allora nell’opera - intesa come scudo di autodifesa e necessità etica - il reale entra solo in veste di metafora e come memoria del presente.

L’artista, per ritrovare le radici e scoprire la sua vera identità, rivisita il primario, si addentra nella sfera onirica; guarda oltre la soglia del conoscibile. È contro l’omologazione, l’artificialità e il conformismo; aspira a universalizzare le visioni personali con purezza e spontaneità, a comunicare attraverso il silenzio della sacralità e della metafisica. Nelle sue realizzazioni convivono entità frammentate e antitetiche: segno immediato e costruttivo; forme antropo-metamorfiche e minimali, indefinite e architettoniche; figurazione e astrazione; misticismo ed eros. Ma l’apparente incoerenza, da cui deriva il fascino dell’ambiguità e dell’instabilità, riacquista unità nella lettura dei vari soggetti legati da un filo conduttore che consente di focalizzare le sue non dichiarate intenzioni.

Sebbene nelle ultime opere non compaia la figura umana, il suo spirito emerge dal disvelamento di ‘tracce’ lasciate dalle antiche comunità che hanno costruito la nostra civiltà, pur se manipolate con invenzioni che rinviano alla postmodernità e a forme visionarie che ipotizzano il futuro.

Eusebi, insomma, tende alla dematerializzazione e a un ampliamento qualitativo delle componenti nella consapevolezza che il suo messaggio, introverso e labirintico, non può che essere diretto a un pubblico circoscritto. Linguisticamente non è un rivoluzionario. Sperimenta mezzi espressivi inediti (nuovi media e procedimenti), ma resta affezionato al disegno immaginifico e alle peculiarità sensibili e comunicative della “pittura”, anche quando approda all’opera oggettuale e installativa o compie inconsuete spregiudicatezze. Ormai ha delle convinzioni e non si fa coinvolgere dalla vertigine della trasgressione a ogni costo: preferisce dare ascolto alle voci del profondo e alle emozioni; puntare sui valori atemporali. Eppure, in questo procedere riflessivo, si scorgono elementi di un’autentica modernità che garantiscono all’opera leggerezza, freschezza e originalità.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 120, dicembre 2004-gennaio 2005, pp. 32-33]

 

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