LUCA MARIA PATELLA |
Grazie alla formazione scientifica oltre che artistica, Luca Maria Patella si distingue fin dal primo ingresso nell’arte per il suo lavoro di tipo sperimentale. Alle innovazioni delle tecniche incisorie seguono le anticipazioni landartistiche e comportamentali, l’uso della fotografia e del cinema, nonché altre invenzioni o focalizzazioni sul linguaggio e sul concetto allargato di arte per integrare lo specifico pittorico con la psicologia, la scrittura, l’analisi critica, fino all’utilizzazione, piuttosto soggettiva, dei media della comunicazione interattiva e virtuale. Negli anni le sue motivazioni e la sua metodologia sviluppate all’interno della logica del Tutto vanno sempre più precisandosi ed assumono connotazioni molto personali. Emergono più chiaramente certe costanti tra cui l’adozione del ready-made per superare l’arte sensuosa e fare l’arte che non c’è (per essere dentro e fuori Duchamp); la passione letteraria in particolare per la poesia; la concettualizzazione-sacralizzazione del soggetto; la sete di verità-amore-vita... Un percorso, dunque, quello di Patella che si de-costruisce all’infinito con spirito neodadaista, riconducibile alla circolarità del suo lavoro e della Storia, ma progressivo (per inseguire le mutazioni tras-formative interne ed esterne) e spericolato (per andare oltre l’esistente); che, avendo il pregio di sorprendere continuamente, non è stato sempre capito in tempo e nella sua profondità. Egli, peraltro, compie incursioni in campi diversi e tende a penetrare nella complessità del reale e dell’immaginario affrontando, con la mente e col cuore, le problematiche più vive del rapporto tra l’Io e il Mondo. E ciò impedisce un rapido assorbimento dell’ opera multiforme spiazzando l’osservatore per le intuizioni e l’insolita densità di significati. Nella sua arte - capace di dare forti emozioni - riesce a far dialettizzare creatività-espressione-cultura e a far convivere tradizione nobile e moderna spregiudicatezza; dà grande importanza al linguaggio ma poi finisce per assoggettarlo alla ricerca dell’essenza di quel Tutto che è il senso dell’umano, cioè l’Essere Sé e Noi, individui-collettivi. Oggi, finalmente, per il suo insistente e originale discorso, inquadrato in un contesto in realtà non molto diversificato, che si nutre più di superficie che di profondità, sono molti quelli che gli riconoscono i meriti di maestro sempre giovane... L’antologica al MUHKA di Anversa del 1990 (un evento esemplare, purtroppo da noi passato inosservato ai più) e il libro-catalogo che scheda le sue principali esperienze, edito l’anno scorso da Jandi Sapi in occasione della mostra organizzata dall’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, sono stati certamente due momenti fondamentali per la conoscenza dell’universo di Patella. Ma in Italia, nonostante le varie mostre, più o meno settoriali, fino ad ora è mancata la grande esposizione per rivisitare le stazioni del suo intero itinerario creativo artistico-scientifico e per valutarne la portata. Ultimamente da Paolo Vitolo a Milano sono state riesposte le grandi tele fotografiche colorate degli anni ‘60 che, pur avendo precorso tendenze affermatesi in seguito, sembravano opere ideate oggi. Un altro assaggio della sua produzione multidisciplinare è stato proposto alla “Planita” di Roma, dove ha presentato Vasi, cristalli e un Gatto: pezzi rappresentativi - classici e recenti, scritturali e plastici - probabilmente per ri-creare anche una relazione fra opere significative del suo curriculum. Il giorno dell’inaugurazione lo spazio era animato dalla tavola rotonda-performance sul “librocartella” P’alma di mano - Poema da quadrivio, progettato nel 1989 per la Stamperia dell’Arancio di Grottammare, uscito solo nel ‘94 dopo una gestazione editoriale lunga e laboriosa a causa delle mai sperimentate componenti. L’edizione (in tiratura limitata), a cui ho avuto l’avventura di collaborare, ha la forma del bel fondoschiena (che ricorda Le violon d’Ingres di Man Ray) di una fotomodella nel frattempo divenuta una delle soubrettes televisive più ammirate: una fortunata avan-scoperta o, meglio, una retro-scoperta e - dato l’uso artistico della porzione di corpo - forse un’altra in-conscia scelta cul-turale di Luca. La tavola rotonda - Quattro quarti di Orologio Umano e ready maid svelata - era incentrata proprio sulla presentazione del librocartella, costituito da una sorta di scrigno di raso rosso contenente componimenti porno-mistici stampati in rosa e celeste, avvincenti opere fotografiche numerate e firmate, un disegno e una cassetta registrata in cui l’artista legge i suoi versi e risponde a una mia intervista volante (con i rumori ambientali di fondo liricamente valorizzati). Inutile dire che l’opera, sia per l’aspetto estetico, sia per i contenuti (della scrittura e delle immagini), ostenta un’intima riservatezza... In mezzo alla galleria era stato sistemato un tavolinetto-opera, guarda caso..., denominato Red-made con Epergne, al centro del quale una fontanella coccottièra periodicamente faceva scorrere l’acqua per materializzare una visione reale e mentale riferita a Duchamp. Attorno ad esso Bruno Corà, Maria Grazia Tolomeo Speranza, Gabriele Perretta e una ragazza nuda (una Ready maid: ragazza pronta, svelata...), graziosa performer che ha degnamente doppiato la soubrette impegnata fuori Roma. I tre hanno discusso creativamente e sensibilmente del libro, mentre Ella (l’inconscio dell’artista) ogni tanto interveniva con brevi, misteriose frasi. Intanto Patella (seminascosto tra il pubblico), interferiva leggendo alcune poesie ironico-patetiche e quelle porno-mistiche. Corà ha analizzato poeticamente il libro soffermandosi sull’Io-Patella e sulla natura intima delle poesie denudando alcuni versi. La Tolomeo Speranza ha messo l’accento sullo spirito che muove il lavoro e la necessità di guardare oltre l’apparenza delle cose richiamandosi alla lettera alchemica di Calvesi indirizzata all’artista. Perretta ha puntualizzato che in Patella la citazione non è legata agli equivoci post-moderni, ma diventa elemento linguistico dell’opera che riesce ancora a stupire. Il libro-opera è rimanda al ciclo su Venere (con profonde suggestioni amorose e la massima sublimazione delle angosce esistenziali nella più partecipata combinazione di arte e vita, di storia e vissuto) e alle sue inclinazioni letterarie che gli hanno consentito di offrire un’immagine plastica della poesia (e viceversa), e di ricondurre alla sua logica gli opposti attraverso un linguaggio volgare e aulico, tangibile e cosmico, meta-fisico. In questa coinvolgente operazione si aveva l’impressione che il libro si fosse aperto per portare allo scoperto (in palma di mano), saggiamente..., parole, immagini e intenzioni; che da esso fossero usciti dei personaggi a svelare i profondi segreti e le ossessioni dell’autore e a riflettersi negli specchi enantiodromici sistemati alle pareti “per far riflettere tutti quanti. Quanti?”. La trascrizione della performance è stata pubblicata sulla Gazzetta uff. n.15 di L.P., mentre il film creativo sull’artista e la sua opera con riferimenti all’avvenimento ha partecipato al Festival Internazionale del Video e delle Arti Elettroniche di Locarno. Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste), n. 69, ottobre-novembre 1994, p. 63] |