TERENZIO EUSEBI. Il senso dei transiti |
Credo che un’attenta lettura dell’opera attuale di Terenzio Eusebi esiga uno sguardo retrospettivo del percorso evolutivo, se non altro per comprenderne meglio le motivazioni di fondo. Va subito detto che la sua ricerca tende costantemente ad individuare i mezzi più efficaci per visualizzare verità nascoste e una identità che trae energia da antiche culture sedimentate nell’inconscio, ma anche dal vissuto che interagisce con un quotidiano incapace di soddisfare i bisogni individuali. La poetica, quindi, è meditata, nutrita da una spiccata sensibilità e formalizzata con sapienza manuale. Parallelamente all’esplorazione dei territori dell’ignoto, l’artista aggiorna il linguaggio pittorico sperimentando tecniche inusuali e introducendo elementi eterogenei. Ecco allora che, dopo una fase iniziale caratterizzata da seducenti quadri affrescati con una calda materia-colore incisa da grafismi e simboli arcaici, arriva a una produzione cromaticamente castigata; dà maggiore ascolto alla condizione esistenziale e reagisce alla materialità del presente praticando, con crescente convinzione, la via introspettiva. Sebbene l’emozione sia più controllata dal pensiero, l’immagine resta animata da impulsi profondi, mentre le forme, rese essenziali e plurisignificanti, riescono ad evocare luoghi magici dove aleggia il fascino del mistero. In questo contesto in continua espansione tutto (pure l’erotico e il mistico) è intimamente relazionato ed esibito con naturalezza e leggerezza. Astrazioni liriche, associazioni di metafore popolari e mitiche permettono di percepire il senso globale e l’autenticità del messaggio terreno e cosmico. Nella struttura fragile e indefinita di figure allusive e geometriche vaganti nello spazio-tempo senza apparente nesso logico, ogni cosa è sussurrata, mai apertamente dichiarata, ma le diverse componenti sollecitano l’osservatore a varcare la soglia dell’inconoscibile. Seguendo tale indirizzo Eusebi è arrivato ai recenti lavori che stabiliscono una sottile relazione concettuale fra due momenti piuttosto distinti che però provano la continuità di una felice e tormentata investigazione. Con le nuove grandi tele plotter-painting mostra di volersi distanziare dall’opera. Tra l’altro, ha tolto spessore allo specifico pittorico e identificato colore e segno in un prodotto più freddo, dalle qualità seriali, sostanziato e sublimato da una luce interiorizzata. Così ha risposto al desiderio di dialogare con i pervasivi strumenti della tecnologia, senza tuttavia farsi contaminare dalle esteriorità mediali e, forse, con la segreta speranza di umanizzarla. Questa volta tentando un’altra metamorfosi ancora più vitale. Sicuramente, nel portare in superficie il sommerso, ha inteso focalizzare esiti positivi di precedenti esperienze, finalizzare passioni foto-grafiche rimaste inespresse e reportages di viaggi più reali che virtuali. Da qui la coerente ripresa di soggetti emblematici, di motivi affettivi e di graffiti metropolitani sottratti all’anonimato: segni dello spirito dei tempi che non si captano in un rapido attraversamento. Dunque, nella sintesi dell’opera ultima convivono icone di memorie remote e febbrili testimonianze del contemporaneo in una reinterpretazione del sentire collettivo e nella concezione antropologica unitaria del protagonista-uomo oggi più che mai privato di certezze. Indubbiamente un’altra esperienza necessaria, anche se non definitiva. Del resto, in arte spesso sono più produttivi i transiti che le fermate. Luciano Marucci [«Juliet» n. 91, febbraio-marzo 1999, p. 65. Testo, con varienti, del calendario d’autore, Grafiche D’Auria, 1999]
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