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Le lezioni di BruMun 

 

Dell’artista e designer Bruno Munari mi avevano attratto l’esplicita interdisciplinarità e la sperimentazione a oltranza; la capacità di coniugare razionalità e fantasia, classicità e modernità, genialità e semplicità; la consequenzialità e la finalizzazione del lavoro; l’impegno nel combattere cattivo gusto, stereotipi, ripetitività; l’abilità di usare, senza preclusioni, vari materiali e tecniche espressive.    Grazie alle sue precoci intuizioni, era sempre all’avanguardia, pur rimanendo fuori dall’antagonistico sistema dell’arte. Un vero maestro di creatività che faceva tendenza; una figura rinascimentale che aveva attraversato il Bauhaus, il Futurismo, il Dadaismo e l’Astrattismo per giungere a una sorta di arte totale, passando dalle opere bidimensionali alla produzione sociale. Non a caso Umberto Eco lo ha definito “Il Leonardo del XX secolo”.    A causa.... dei continui sconfinamenti, molti artisti e critici lo consideravano un eclettico (in senso critico), quasi un clandestino, specialmente negli anni in cui l’intransigente Arte Povera esaltava la specificità. In verità Munari era “quello” che faceva sempre cose diverse senza sfruttare il successo di ciascuna invenzione e non si prestava a facili classificazioni. Anche l’eleganza nel vestire, i modi gentili, la puntualità e la correttezza nei rapporti interpersonali lo differenziavano da tanti altri operatori visuali.    Alla base della sua attività era l’inesauribile curiosità di conoscere e di scoprire; il bisogno di progettare e di fare, seguendo un metodo antiaccademico ben definito; l’analisi psicologica che lo metteva sulla stessa lunghezza d’onda di Jean Piaget e del figlio Alberto (1). Il tutto per trasmettere, con i mezzi più appropriati, la generosità e l’intento formativo dalla valenza etica, le sue esperienze, come fosse un servizio pubblico. Quindi, portava l’estetica nella vita quotidiana con “un’arte per tutti”, “senza sopraffazione” e “più senso della collettività”, attraverso il segno, il quadro, l’opera tridimensionale, plurisensoriale e programmata, le pubblicazioni divulgative e il gioco “pedagogicamente più efficace”, ponendosi l’obiettivo di “creare un’umanità più libera”. Per concretizzare la sua idea, irrompeva nello spazio dell’esistenza soprattutto per la stimolazione della creatività infantile, fino a ‘sacrificare’ un po’ la sua immagine di artista.    Aveva la virtù di esporre chiaramente le idee con la parola e la scrittura, di visualizzarle e attuarle. E nelle azioni dimostrative esibiva il linguaggio del corpo, usando sapientemente le mani.    Essendo io particolarmente interessato all’arte applicata anche oltre l’oggetto d’uso, apprezzavo il dinamismo della sua pratica creativa rivolta all’esterno.    Ogni mio incontro con lui era una lezione di saggezza, che dall’ambito artistico si allargava agli aspetti naturali, culturali e perfino ai comportamenti sociali.    Con Munari avevo avuto contatti a distanza nel 1967 e lo conobbi due anni dopo ad Ascoli Piceno (città dove vivo), quando lo feci invitare dal dirigente del locale Istituto d’Arte dove parlò di Arte e Comunicazione visiva. In quell’occasione lo intervistai per la prima volta nella redazione de “Il Resto del Carlino”. Poi, mentre era mio ospite o passeggiavamo per la città, mi spiegava come e perché aveva realizzato i principali lavori nel campo dell’arte pura e del design di ricerca. Giacché stavo organizzando l’VIII Biennale d’Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto sul tema Al di là della pittura (2), gli chiesi la progettazione grafica dell’esposizione che eseguì con rapidità gestuale. Fu una prova eloquente delle sue straordinarie doti.    In quel periodo ci sentimmo e vedemmo più volte, anche perché si doveva dare esecuzione ai suoi ‘schizzi’. Era stato invitato per il “Cinema di ricerca” e gli avevo delegato l’ideazione della sezione Internazionale del Multiplo per la quale scrisse il testo su Gli oggetti a funzione estetica, riportato nel catalogo. Venne pure nella città balneare per allestirla e per intervenire al dibattito che si tenne il giorno dell’apertura. Era un piacere vederlo operare con disinvolta maestria, aiutato da due giovani volontari. Incoraggiato dal mio entusiasmo verso gli eventi innovativi, per l’edizione successiva della Biennale mi scrisse: “...facciamo un luna park progettato dagli artisti?”. Ma l’originale idea non si concretizzò per mancanza delle condizioni indispensabili a dare seguito alla manifestazione.    Ovviamente i rapporti con Munari proseguirono.     Nel 1972, avendo riscontrato affinità ideologiche e didattiche tra lui e Gianni Rodari, tentai un rendez-vous pubblico tra i due che, però, non ebbe luogo per gli impegni coincidenti di entrambi. In compenso... il 2 novembre del 1988 gli feci progettare la copertina di un libro proprio su Rodari, da me curato per il ventennale della morte (2000), e registrai il suo pensiero... mentre disegnava (3). Inoltre, il 1° maggio 1993 interpretò visivamente la favola Cosa succederebbe se... sparisse la carta, improvvisata dallo scrittore con la classe in cui insegnava mia moglie Anna Maria Novelli.    Altra iniziativa rimasta incompiuta: la costituzione di uno dei suoi Laboratori Liberatori con il coinvolgimento del Distretto Scolastico, che non riuscì ad assicurare un locale da occupare in permanenza e personale da addestrare.    Tutte le volte che andavo a Milano gli chiedevo appuntamento, anche al fine di conoscere meglio altri aspetti del lavoro e gli ultimi approdi. Mi accoglieva con gentilezza nell’ampio studio di via Vittoria Colonna 39 dov’erano ambientate diverse sue realizzazioni e, pure se non glielo chiedevo, mi faceva omaggio delle nuove pubblicazioni. Naturalmente, approfittando della sua divertita partecipazione, azzardavo vari scatti fotografici che rivelavano perfino un Munari performer (4).    Il 13 ottobre 1986, rispondendo a una serie di domande, mi disegnò la Fontana a 5 gocce, che espose alla mostra di Palazzo Reale (“un po’ diversa da quella della Biennale di Venezia del 1954”). In cambio... gli regalai una matita ‘magica’ (a colori variabili) che avevo scovato da “Vertecchi” a Roma. Rimase piacevolmente sorpreso e la provò sul frontespizio del libretto I negativi–positivi 1950 (fresco di stampa). La lunga intervista fu da lui rivista il 15 febbraio 1987 e  poi pubblicata in un  opuscolo stampato secondo le sue istruzioni.    L’1-2 novembre 1988, il 3 gennaio e il 27 dicembre 1989 registrai altre conversazioni in parte pubblicate sul semestrale di poesia e arte “Hortus” (1989), come pure sul periodico “Danger Art” (1989). Ancora in “Hortus” (n. 12, II semestre, 1992) gli riservai un servizio monografico comprendente altri stralci. Al suo interno volle inserire un disegno che si componeva su quattro pagine trasparenti, ricollegabile ai Libri illegibili, così definiti perché non hanno parole da leggere, ma si possono capire seguendo il filo del discorso visivo. E da quel soggetto, derivato dal multiplo L’ora X, ricavò il prototipo della serigrafia astratto-geometrica a colori (a tiratura limitata) per gli abbonati.    Il 3 febbraio 1993, quando tornai da lui per la firma della tiratura, mi ricevette ugualmente anche se era uscito dall’ospedale (dove era stato operato) solo 4 giorni prima. Ma quella volta mi fece salire nell’appartamento al 5° piano. Gli faceva compagnia il musicista Davide Mosconi con il quale aveva elaborato la Ruota dei ritmi “per far capire ai bambini come nascono i suoni”. Così ebbi modo di vedere le sue sculture viventi: i bonsai di cui mi aveva già parlato.    Il 1° maggio del 1993 fui nuovamente a casa sua per l’intervista che uscì a ottobre sulla rivista “Juliet”.     Come altri, seguivo con apprensione il decorso della malattia e ogni tanto sentivo la necessità di telefonargli (l’ultima volta il 24 settembre 1997). Malgrado le precarie condizioni, era ancora ottimista. Dopo alcuni mesi, alla soglia dei novantun’anni, ci lasciò.    Oltre ai significativi insegnamenti teorico-pratici e all’affabilità della persona, mi restano varie testimonianze: registrazioni, lettere (impaginate in modo sempre diverso), pezzi unici (come la rara tempera su carta del 1933 e quasi simmetrico del 1981), opere seriali (che mi cedeva a prezzo amichevole e a rate); scritte di nomi, diapositive e altro ancora.    Poiché Munari aveva realizzato un manifesto promozionale per Ascoli e il logo con il nome della città a caratteri antichi combinati alla sua maniera (da tempo arbitrariamente decontestualizzato per scopi pubblicitari), ogni volta che giro per il centro storico, ritrovo la sua presenza.    Nel 2008, a dieci anni dalla scomparsa, volevo dedicargli uno dei miei calendari d’autore - editi dalle Grafiche D'Auria -  concepiti come veicolo espositivo per le abitazioni. Nonostante il consenso del figlio Alberto, la cosa, peraltro in linea con lo spirito di Munari - sempre disposto a collaborare, senza freddo calcolo, all’attuazione di iniziative culturali anticonformiste -  non è andata a buon fine per l’intromissione di un editore che poneva delle incomprensibili limitazioni.    All’esemplare esposizione allestita al Museo dell’Ara Pacis di Roma nel 2008, ho rivisto molta sua produzione che mi ha riportato al nostro passato. Al di là delle singole invenzioni legate alle sue regole aperte, la mostra ha evidenziato chiaramente la levità delle varie opere e le altre insolite costanti sopra citate.      In conclusione, devo confessare che la frequentazione di Munari ha contribuito ad accrescere la mia sensibilità estetica; a orientarmi verso l’essenzialità; ad applicare certe indicazioni grafiche; ad agire con metodo; a distinguere il vero dal falso design; a riconsiderare la funzione sociale dell’arte e a rappresentare le novità evitando forme incomprensibili; a osservare attentamente le “creazioni della Natura”...    Se è vero che noi siamo quello che apprendiamo, Munari vive un po’ anche in me, come illuminante compagno di questo consolatorio viaggio nell’arte (5).    I miei scritti su di lui, compresi quelli che lo ricordano dopo l’uscita dalla scena terrena, i frammenti dei dialoghi non finalizzati e altri messaggi, sono riportati in più sezioni di questo sito, mentre una campionatura delle immagini fotografiche verrà inserita appena possibile.

 

novembre 2008

 

luciano marucci

 

Note 

 

(1) Alberto Munari, psicologo ed epistemologo, è stato allievo e collaboratore diretto di Jean Piaget. Ha occupato la cattedra di Psicologia dell’Educazione e della Formazione all’Università di Ginevra e, successivamente, è stato direttore dello stesso Dipartimento. Dal 1998 al 2005 ha diretto il Diploma di Studi Superiori in Psicologia e Risorse Umane organizzato dalle Università di Ginevra e Neuchâtel.  Dal 2007 è professore ordinario all’Università di Padova. Sempre a Ginevra ha fondato con la moglie, Donata Fabbri, il Centro Internazionale di Psicologia Culturale per promuovere lo studio dei rapporti tra gli individui e il loro contesto di vita e di lavoro. Collabora con i governi di diverse nazioni per la formazione dei docenti. È autore di 140 pubblicazioni in francese, inglese e italiano. 

 

(2) L’esposizione, organizzata con Gillo Dorfles e Filiberto Menna, si tenne dal 5 luglio al 28 agosto 1969 e presentava esperienze creative d’avanguardia che andavano oltre la specificità dei linguaggi tradizionali. 

 

(3) Il libro-catalogo RODARE LA FANTASIA con Rodari ad Ascoli, a cura di Luciano Marucci & Anna Maria Novelli, fu pubblicato nel 2000 dalla Provincia di Ascoli Piceno. Il progetto venne riprodotto nella seconda di copertina della pubblicazione, con la Verbalizzazione in tempo reale del processo creativo a pagina 154: «Innanzitutto occorre trovare una immagine capace di esprimere e di comunicare questo titolo. Se io leggo Rodare la fantasia, posso pensare all’immagine di un motore che rinforza la parola “rodare”. Il motore va bene pure per la fantasia perché è una cosa che funziona, attiva. Quindi, io metterei la fotografia tecnica di un motore, del tipo che sta nelle scuole guida. Allora se ne fa una interpretazione su tre punti: la fantasia, il rodaggio e il motore. Se li colleghi in­sieme dici: la fantasia, in fondo, è un motore che mette in moto il cer­vello e, se il rodaggio funziona bene, ho una buona fantasia. Il motore non deve essere disegnato, ma fotografato e scontornato, un po’ spo­stato. Al posto del riquadro fai così... Poi si scrive “RODARE LA FANTASIA” maiuscolo, “con Rodari ad Ascoli” minuscolo. Qui, appunto, metterei il motore con tutti i suoi ingranaggi, la leva del cambio; sotto “a cura di...”, e per base il marchio dell’editore. Tutt’al più scatti una fotografia in bianco e nero e la stampi a colori casuali. Se fosse una fotografia con i colori veri del motore, sarebbe più banale; se invece fai i colori sfumati, iridati... Adesso ti faccio il bozzetto dei colori: rosso, giallo e blu, i colori della tricromia ed hai l’idea del motore e di qual­cos’altro... Le scritte saranno in nero. Per i caratteri userei il solito bastoni». 

 

(4) Una selezione delle immagini è riportata in questo servizio. 

 

(5) Testo inserito nella sezione “Viaggi nell’arte/Rotte inedite” del sito www.lucianomarucci.it, insieme con stralci di conversazioni e altre testimonianze, mai pubblicate.  

 

(testo pubblicato sulla rivista "Hat", n. 56, autunno-inverno 2012, pp. 7-9)