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Pio per mari e Monti PDF Stampa

La mia frequentazione di Pio Monti risale agli anni Sessanta, complice la nostra passione per le esperienze d’avanguardia che hanno portato a sensibili cambiamenti delle arti visive. Una relazione ininterrotta favorita dalla nostra marchigianità. Io come esordiente giornalista d’arte e operatore culturale; lui da spregiudicato editore della nuova grafica e gallerista di strada..., oggi testimoniata anche dalla denominazione dell’Associazione che ingloba il suo cognome.

Era l’inquieto periodo in cui entravano in scena l’Arte Povera e quella Concettuale.

Hanno certamente contribuito al suo successo le coraggiose scelte e le simpatiche strategie per avvicinare i personaggi del mondo culturale, nonché la capacità di mantenere vivi i rapporti di collaborazione e di amicizia con tutti. A queste doti si aggiungevano l’intuito nell’individuare tempestivamente gli artisti di sicuro avvenire e l’abilità di proporli in modo convincente.

Sull’atipica attività e figura di Pio si potrebbe scrivere un romanzo. Risulterebbe istruttivo e divertente, tante sono state le trovate  per tirare avanti dignitosamente. Molte sue iniziative e comportamenti originali, frutto di una ludica-sapiente immaginazione, sono ormai entrati nella storia e nella leggenda del contemporaneo, mentre i creativi e i critici militanti hanno progressivamente riconosciuto l’unicità delle operAzioni da lui ideate e spesso concertate... con la partecipazione di musicisti d’essai.

Non a caso, le vicende artistiche di Pio saranno presto rievocate nel libro “Orecchio da mercante”, a cura di Angelo Capasso.

Probabilmente il suo  più grande merito è l’aver saputo incentivare e indirizzare il collezionismo verso la produzione innovativa attendibile - difficile da capire in tempo reale - e di aver dato delle opportunità agli artisti, senza assecondare il cattivo gusto con manufatti provinciali. Il che non è poco!

Negli anni, andando “per mari e Monti”, è rimasto spontaneo e ironico; l’imprevedibile mercante, intellettuale-pragmatico, ben informato. È cresciuto, però, il piacere di documentare le performances e l’ambizione di immettere sulla piazza opere di levatura museale. “Nato a Macerata e maleducato a Roma” - come dice scherzosamente - Pio sa ancora essere fedele a certi nomi divenuti maestri sotto i suoi occhi, ma si è pure rinnovato sostenendo, come allora, gli emergenti. Così, da pioniere della grafica seriale, è approdato a significativi pezzi unici, alle edizioni di insolite pubblicazioni e perfino all’organizzazione di qualificati eventi per sé e per gli altri.

 

Luciano Marucci: Facciamo retromarcia agli anni in cui partecipavamo da vicino al rinnovamento delle arti visive. Penso sia rimasto anche a te qualcosa di allora che spinge a fare raffronti con il presente delle nuove generazioni.

Pio Monti: Non faccio confronti.

 

Mentre io andavo “Al di là della pittura”, tu proponevi ‘grafiche’ di autori come Kounellis, Merz, Pistoletto, De Dominicis, Boetti, Calzolari, Agnetti, Ben, Mattiacci, Prini, Rotella, Alviani, Lewitt... Spesso erano edizioni difficili da realizzare e da vendere, nonostante il basso costo.

...Difficili, perché è stato arduo trasformare i concetti in segni.

 

Restano memorabili le tue invenzioni per conquistare la simpatia degli artisti meno accessibili. Emblematica quella per riuscire ad entrare nell’abitazione di Joseph Albers.

“New Haven, Connecticut, ore 16,45 del 31 maggio 1971. Arrivato inaspettato nella casa di Albers, all’improvviso la meta del mio viaggio divenne il centro del mondo”.

 

Nel tempo i tuoi metodi di relazionarti con gli artisti ovviamente sono mutati...

No, sono sempre gli stessi.

 

In fondo, sono state apprezzate le tue iniziative creative, il dinamismo e la capacità di piazzare le opere, la bontà annunciata pure dal tuo nome e l’aria fresca che si leva dalla sommità del tuo cognome, appropriato all’altezza...

Certo, dai Monti il paradiso è più vicino.

 

Girovagando dalla periferia marchigiana alla Capitale, promuovevi un tuo collezionismo.

...E continuo tutt’oggi.

 

L’artista che ti ha lasciato il segno più personale?

Sicuramente Gino De Dominicis. Mi ha regalato un di-segno con il mio ritratto a cui sono particolarmente affezionato.

 

Un episodio che di lui ti è rimasto maggiormente impresso?

Nel 1969, in occasione di una sua visita nella mia casa di Macerata, vedendo appeso un attestato di Campione Marchigiano di salto in alto che conquistai il 5 giugno 1960, Gino lo firmò dedicandomelo, e ci scrisse sopra “tentativo di volo”, forse anticipando il suo omonimo lavoro. 

 

Ti sei mai pentito d’aver venduto, a quel prezzo, pezzi unici, come la “rosa nera” di Kounellis o il “cono di latta” di Beuys?

Mai.

 

In genere, non ti affezioni alle opere?

No.

 

Non le immagazzini in attesa che aumenti il valore commerciale?

Non ho questa abitudine.

 

L’opera va vista come oggetto feticistico?

Sì.

 

Attualmente i collezionisti li trovi o lo crei?

Di-pende.

 

Stabilisci rapporti anche con altri galleristi?

Soprattutto con l’oro.

 

Punti molto alla qualità del manufatto artistico?

L’importante è il suo significato, ciò che racconta e che esprime, più che la sua realizzazione.

 

Sei interessato pure alla pittura digitale e al video?

Certamente.

 

Dall’alto della tua statura, come vedi il panorama artistico italiano?

Molto piccolo.

 

Siamo competitivi a livello internazionale?

Sì. Peccato, però, che le istituzioni non gratifichino le gallerie private.

 

Ma l’arte va presa sul serio?

...Seriamente.

 

...Aiuta a vivere...?

Sì, economicamente.

 

Bisogna essere colti per capirla?

Più che colti, sensibili, ricettivi e umili.

 

Un gallerista quali regole dovrebbe osservare?

Secondo me, per un mercante d’arte l’onestà culturale e commerciale è una  forma di speculazione obbligata.

 

Le hai trasmesse ai tuoi figli Francesca e Nicola?

Cerco di farlo.

 

Secondo te, qual è la principale dote per diventare un buon mercante d’arte?

L’intuizione non disgiunta dai soldi.

 

Deve anche assumere la veste di mecenate verso giovani promettenti e di sostenitore dei talenti trascurati?

Certo!

 

Un artista può essere ‘costruito’?

Ni.

 

Le tue aspirazioni per il futuro?

Vivere.

 

Con le tue pubblicazioni cosa ti proponi?

Di certificare il lavoro che faccio.

 

Che funzione ha lo spazio di Villa Valcampana a Treia  nelle Marche?

Non una funzione particolare, ma, data la magia del posto neoclassico e molto spazioso,  sicuramente si affianca e completa l’attività della mia galleria di Roma.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» » (Trieste), n. 125, dicembre 2005-gennaio 2006, pp. 54-55]

 

 

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