Home arrow Viaggi nell'arte arrow Incontri arrow Back and Forth della mitica Louise Bourgeois a Vienna (2006)
BACK AND FORTH DELLA MITICA LOUISE BOURGEOIS A VIENNA PDF Stampa

L’esposizione di Louise Bourgeois, “Back and forth”, allestita alla Kunsthalle di Vienna, può essere considerata la più importante della tarda opera dell’artista franco-americana che, nonostante l’età avanzata, non smette di stupire, perfino gli addetti ai lavori,  per libertà e intensità espressiva.

Com’è noto, la molteplicità della sua ininterrotta ricerca sulla propria identità è indipendente dai linguaggi tradizionali e del contemporaneo, pur non rimanendone del tutto estranea. Così dalle profonde motivazioni personali che risalgono all’infanzia derivano la straordinaria vitalità e l’autenticità della sua differenziata produzione, capace di suscitare forti emozioni e di assumere valenza universale.

Curatore dell’evento è Peter Weiermair, tra l’altro direttore della Galleria d’Arte Moderna di Bologna dal 2001 all’anno scorso.

 

Luciano Marucci: La sua uscita dalla GAM di Bologna subito dopo la grande mostra di Günter Brus le ha impedito di portare avanti altri progetti ambiziosi?

Peter Weiermair: Quando sono venuto a sapere che a Bologna, a causa del cambiamento politico, non avrei potuto realizzare altri progetti, c’erano già alcune mostre in fase di preparazione. La difficoltà di lavorare in una condizione instabile, sia economicamente sia organizzativamente, non rende possibile pianificare che l’attività della propria galleria. La situazione finanziaria costringe sempre più i curatori a prevedere mostre da allestire in diverse sedi, in modo da ripartire i costi. In origine avevo intenzione di far seguire alle grandi mostre tematiche, dedicate alla natura morta e al nudo, altre sul paesaggio e il ritratto. Ma da quella sul paesaggio ho tolto la sezione relativa all’arte contemporanea e ne ho fatto una mostra più piccola, a sé stante, presentata alla Fondazione Blickle con il titolo “Paesaggio come metafora”. Viceversa ho potuto attuare a Vienna l’esposizione di Louise Bourgeois, grazie alla Kunsthalle che è stata contenta di poterla rilevare. Ho preso congedo dal capoluogo emiliano con la mostra in cui Lorenzo Sassuoli Di Bianchi (presidente della GAM di Bologna) mi ha dato modo di offrire una panoramica sugli ultimi trenta anni di arti figurative a Bologna. Attualmente lavoro come curatore autonomo in Europa.

 

Come si inserisce l’evento della Bourgeois alla Kunsthalle?

La mostra rientra molto bene nel programma sulle artiste che hanno influenzato in maniera decisiva l’idea della scultura alla fine del XX secolo, come Eva Hesse e la giapponese Kusama.

 

Con il personaggio non facile da trattare..., ha incontrato difficoltà?

Provo una forte simpatia per Louise Bourgeois, di cui ho allestito la prima grande mostra europea all’inizio degli anni Novanta a Francoforte, Lione, Barcellona e Otterlo. Quando le ho proposto la mostra, ancora come progetto bolognese, ha accettato con entusiasmo. Dopo quella relativamente piccola della Fondazione Prada, sarebbe stata la sua prima grande esposizione in Italia.

 

Quale idea ha seguito per strutturarla?

Documenta il lavoro degli ultimi dieci anni stabilendo un dialogo tra disegno e scultura; il disegno, inteso come repertorio di idee figurative e di progetti di sculture, è il protagonista delle sei sale. Ogni buona esposizione - si sa – deve rispettare gli spazi assegnati. Dunque, la mostra parte dall’ambiente che mi è stato dato, come pure dall’idea di valorizzare il disegno.

 

Privilegia un percorso cronologico o è articolata per affinità tematiche?

Come accennato, propone i lavori più recenti, ma nell’ultima sala si riallaccia al passato.

 

Chi ha scelto il titolo?

Back and forth è stato voluto da me in accordo con l’artista. Formula con tutta chiarezza l’intenzione di LB di immergersi continuamente nella propria vita e di superare i problemi psichici del passato, soprattutto quelli dell’infanzia.

 

Quante opere sono state presentate? Ci sono pure quelle della collezione dell’artista?

Naturalmente abbiamo collaborato con lei per quanto riguarda la produzione più recente e molti lavori sono di sua proprietà o del suo immediato entourage. Jerry Gorovay, suo figlio adottivo e assistente, e Wendy Williams, direttrice dello studio, mi hanno sostenuto nella ricerca di lavori venduti. Presentiamo circa 150 lavori, di cui 140 disegni.

 

Vi figurano lavori realizzati appositamente per la Kunsthalle?

No, ma quasi tutti i disegni sono inediti e sconosciuti al pubblico. Per un artista di ormai 94 anni il disegno rappresenta un mezzo espressivo essenziale. Peraltro, i suoi collages di stoffa ridefiniscono ex novo il concetto di disegno.

 

L’artista ha collaborato all’allestimento delle opere?

Abbiamo concordato i campi di riferimento e selezionato insieme i lavori a partire da un numero molto maggiore di opere esistenti. Louise Bourgeois è venuta per l’ultima volta in Europa quando abbiamo organizzato la mostra di Francoforte. Ora non viaggia più neanche in America. Allora andò anche a Carrara, dove per lungo tempo aveva realizzato le sculture in marmo. Perciò, in vista della mostra, abbiamo preso le decisioni sulla base delle piantine della Wiener Kunsthalle e delle foto delle sale.

 

Quindi, è stato attuato un criterio espositivo per meglio valorizzare i singoli lavori e coinvolgere emotivamente i visitatori.

È la classica mostra sulla ricerca intima, che mette l’osservatore a confronto con la personalità di quest’artista così influente per l’arte del presente. C’è anche un filmato realizzato negli ultimi anni, mentre all’ingresso alcune citazioni dell’artista producono l’effetto di dichiarazioni programmatiche; lo stesso vale per le sue parole riportate in catalogo.

 

Sono messi in luce particolari aspetti delle sue realizzazioni?

La mostra è importante per Vienna e per la Kunsthalle, perché è la prima di vaste dimensioni e il repertorio psichico dell’artista tocca un nervo scoperto in Austria. A prepararla ci sono state altre mostre più piccole, per esempio, quelle all’Accademia di Belle Arti e al Museo Freud.

 

Nell’evento è possibile rintracciare una tangenza interiore con la cultura austriaca, testimoniata specialmente da creativi come Schiele e Kokoschka, Nitsch e Brus?

Lei menziona l’azionismo viennese che - come sa - ha una base importante nell’Espressionismo, per cui non va trascurato il riferimento a Freud. L’arte della Bourgeois è rilevante per la situazione austriaca perché per lei, come già per i protagonisti della fine del XIX secolo e poi per gli azionisti, la posta in gioco è il superamento dei conflitti psichici.

 

Ho notato che ha rivolto una particolare attenzione al disegno...

A mio parere, il disegno va acquistando un significato sempre più forte. Purtroppo nell’arte italiana le vecchie gerarchie esercitano ancora un ruolo determinante, sicché la pittura rimane al primo posto e al disegno si riconosce scarso valore conoscitivo.

 

Perché la mostra non è stata allestita presso l’ “Albertina”?

In effetti, dopo aver dato uno sguardo all’ambiente artistico viennese e alle sue strutture in trasformazione, abbiamo pensato che avrebbe potuto avere luogo anche lì.

 

Sarà spostata in altre istituzioni?

Non è itinerante, viene presentata solo a Vienna, ma accompagnata da un vasto catalogo che riproduce tutte le opere esposte.

 

Contiene anche scritti inediti della Bourgeois?

Sì, pubblicheremo anche sue dichiarazioni. Penso a quelle nelle interviste che saranno riportate in tedesco e in inglese. Esiste ormai una ricchissima bibliografia, ma credo che i saggi e soprattutto i disegni, non tanto noti al pubblico quanto le sculture, abbiano rilevanza per gli interessati.

 

Dove andrebbe ricercata la vera ‘monumentalità’ delle opere tridimensionali dell’artista?

Louise Bourgeois ha ripetutamente realizzato varianti delle sculture con materiali diversi. Così esistono fusioni in bronzo delle stele che lei ha intitolato Personnages. Di altre sculture ci sono versioni in marmo, ma anche in poliestere e in materiali che ricordano la pelle umana. Le variazioni non sono motivate da finalità commerciali, bensì dall’interesse dell’artista per i differenti valori espressivi del mezzo. In pochi casi LB ha scelto grandi dimensioni. Vedi soprattutto il “ragno” di Prada e il lavoro con gli specchi nella zona dell’ingresso della Tate Modern. Se però si considera nel suo insieme lo sviluppo delle sculture, le “Cells!”, che possono essere percorse dallo spettatore, hanno una dimensione naturale e il carattere fondamentale dei lavori è intimo. Negli ultimi anni questa peculiarità si è rafforzata, dato che l’artista non utilizza più il suo grande atelier di Brooklyn, ma opera nella casa di Chelsea. Quindi, anche i progetti grafici, in cui le strutture di tessuto vengono interpretate come disegni (ragnatele), risultano intimi. 

 

A parte l’interesse che possono suscitare gli ultimi lavori, pensa che l’artista abbia ancora bisogno di promozione per far comprendere il suo messaggio?

LB è stata scoperta molto tardi. Ha sempre considerato questa una fortuna, perché la fama non poteva più corromperla... Certo, la quantità di mostre su scala internazionale fa impressione! Come pure il numero delle pubblicazioni. Però c’è sempre bisogno della fruizione mediante i sensi. Credo che il pubblico viennese non rimarrà indifferente e che gli artisti riceveranno degli stimoli. Sono convinto che la mostra avrà rilevanza soprattutto a Vienna per via del suo carattere esorcistico.

 

La produzione di L. B. ha avuto letture critiche esaustive o c’è altro da evidenziare?

Oltre i saggi del catalogo, spero che vi sia una significativa reazione del pubblico austriaco e internazionale.

 

Nonostante l’età, l’artista è molto amata anche dai giovani operatori visuali. Secondo lei, qual è il suo contributo al processo evolutivo dell’arte contemporanea?

Perché LB è diventata così popolare specialmente tra i giovani artisti? Be’, c’è una ragione molto semplice. È stata scoperta nel momento in cui gli sviluppi del moderno sono arrivati omogeneamente a una conclusione. Lei stessa è una figura di suprema autenticità, avendo introdotto nell’arte nuove condizioni di contorno esistenzialistiche. Nel far ciò non si è preoccupata più di regole stilistiche, né dell’appartenenza a questo o a quel gruppo. Pur non essendo femminista, o essendosi interessata attivamente al movimento solo per brevi periodi, è assurta a grande modello per le femministe, come è successo a Meret Oppenheim o a Maria Lassnig.  È giunta a rappresentare la donna forte. Ancora adesso tiene settimanalmente i “Sunday Salons”, aperti ai giovani artisti di cui ascolta i problemi.

 

Le ultime opere sono ancora sofferte? Sempre fondate sul soggettivismo esasperato?  Nella fase più recente è possibile individuare ulteriori sviluppi del lavoro?

Il titolo Back and forth dice già qualcosa sul metodo di lavoro di LB e sul forte nesso tra biografia e opera. In catalogo il rapporto viene reso chiaro, per esempio, con il lavoro della tessitura del tappeto e del restauro.

 

Si ha l’impressione che all’artista interessi esporre più per universalizzare le motivazioni personali alla base della sua attività che per ragioni di mercato.

LB si trova in una fortunata condizione, in quanto il suo studio si occupa, con grande efficienza, dell’organizzazione di mostre. Il fatto di esporre le appare importante come atto della necessaria comunicazione tra artista e pubblico. Poi è fondamentale confrontarsi con gli originali e non con le riproduzioni. Un catalogo, per quanto ben fatto, resta sempre un surrogato della mostra che, invece, deve diventare esperienza vissuta mediante i sensi, altrimenti non convince.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 126, febbraio-marzo 2006, pp. 46-47]