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IL MACRO DI ECCHER PDF Stampa
Luciano Marucci: Il passaggio da Bologna a Roma le ha dato la possibilità di concretizzare programmi più ambiziosi?

Danilo Eccher: Sono due realtà molto diverse ed entrambe con giuste ambizioni: la GAM di Bologna aveva anche prima del mio arrivo una lunga e prestigiosa tradizione. Il MACRO è un museo nuovo, che sarà effettivamente pronto solo nel 2008, con il completamento del progetto architettonico di Odile Decq.

 

Il suo incarico è a tempo indeterminato?

Io penso che non si possa dirigere uno stesso museo per un’intera vita; ad un certo punto sono necessari nuovi stimoli e nuove prospettive.

 

Il MACRO ha ormai trovato la sua strada maestra? Opera già a pieno ritmo?

Come già detto, MACRO sarà completamente operativo solo dopo l’apertura del nuovo museo. Però, già dall’inizio si sono tracciate alcune direttrici che dovrebbero consolidarsi nel futuro.

 

Giudica soddisfacente la conversione del complesso industriale per presentare la produzione artistica del contemporaneo?

Dipende. Continuo a pensare che il contenitore sia importante ma non fondamentale. Se si guardano alcune tra le maggiori esperienze internazionali, ci si rende conto che il programma è decisamente più importante dell’edificio.

 

Ha constatato che si è creato un rapporto diretto e di continuità tra struttura museale e pubblico?

Il pubblico rimane fondamentale per definire la corretta gestione di un museo e la sua conseguente economicità, ma spesso si preferisce ridurre il concetto di pubblico a una mera equazione algebrica; si trascura così una corretta analisi sul significato del termine ‘pubblico’. Ad esempio, sono più significativi per la strategia di un museo mille visitatori generici oppure cento operatori internazionali? Qual è il contributo culturale di mille visite guidate e quello di dieci laboratori didattici? E l’immagine del museo sulla stampa nazionale o internazionale ha un valore in qualche modo quantificabile? Insomma, il piatto conteggio numerico del pubblico è un’ossessione che non mi appassiona.

 

Per attrarre i giovani è opportuno dare stimoli frequenti e diversificati?

I giovani sono la risorsa per il futuro e, spesso, una straordinaria chiave interpretativa della nuova creatività. Hanno sguardi inattesi e curiosità sorprendenti, dunque, sono dei soggetti ‘privilegiati’ per chi si occupa di cultura contemporanea. Però, la rincorsa ossessiva al loro consenso, l’identità fra giovinezza e creatività, la necessità di seguire ogni sobbalzo del loro gusto, sono aspetti non privi di rischi e di equivoci.

 

La densità di iniziative è necessaria?

Anche in questo caso dipende; di per sé la densità non è garanzia di nulla, però credo che, in una fase storica come quella attuale, di grande curiosità e incertezza, la quantità di offerta, anche se disomogenea, sia molto importante.

 

I programmi sono soggetti all’approvazione dell’Amministrazione comunale?

All’Amministrazione Pubblica spetta il compito di dettare le linee generali di politica culturale a cui ogni Ente Pubblico, in perfetta autonomia, deve attenersi. Ciò però vale anche per i programmi dei soggetti privati che non possono certo disattendere le indicazioni dei Consigli di Amministrazione.

 

Il Comune di Roma crede nella funzione che sta svolgendo il MACRO? Assicura i mezzi occorrenti?

Ha dimostrato un grande coraggio, innanzitutto decidendo di far nascere un proprio Museo d’Arte Contemporanea; ha poi indetto un concorso internazionale di architettura per la costruzione di un grande museo nel cuore della città; ha inoltre destinato al MACRO due grandi padiglioni dell’ex mattatoio, di circa 1500 mq espositivi; ha finanziato la costruzione del museo e la ristrutturazione dei padiglioni. Insomma, credo che il Comune di Roma stia facendo la propria parte, anche se il mio ruolo mi impone di non essere mai soddisfatto.

 

Incontra ostacoli burocrati o condizionamenti?

Chi ha la fortuna e il privilegio di dirigere un grande museo in una grande capitale europea non può lamentarsi di ostacoli, viscosità e fastidiosi freni con cui tutti hanno a che fare in ogni parte del mondo. Condizionamenti mai.

 

Le iniziative devono rispecchiare la domanda culturale esterna?

Le iniziative culturali di un museo, a cominciare dalle mostre promosse, sono i terminali di un lungo e complesso lavoro che coinvolge tutto il personale del museo, dalla ideazione alla definizione, e che tiene conto di innumerevoli fattori.

 

A chi spetta decidere sull’utilità e la correttezza delle mostre?

Il direttore ha l’ultima parola e se ne assume la responsabilità. Fa parte del lavoro, aiuta anche a valutare l’intera politica culturale del museo.

 

Il curatore di mostre di un museo deve far prevalere la sua ideologia?

La rigidità non è mai un segno d’intelligenza. Chiunque opera professionalmente, in qualunque campo e qualunque sia la sua funzione, dialoga con un insieme di altri soggetti e il lavoro è sempre il frutto di tale dialogo. È evidente che un buon curatore è capace di motivare e difendere le sue scelte fino a farle condividere. Ma ciò vale anche per gli artisti che nel momento in cui decidono di partecipare a una mostra accettano anche di confrontarsi con il curatore.

 

Le istituzioni, da sole, riescono ad assolvere un compito in-formativo?

È uno dei loro compiti, ci provano.

 

Nel campo delle arti visive, pubblico e privato possono/devono convivere?

È una suddivisione ormai obsoleta; convivono già, anche in campi molto più complessi e delicati.

 

La gestione del museo deve rimanere indipendente?

Anche in questo caso credo che sia un quesito superato. Nessuno mette più in discussione, almeno pubblicamente, l’indipendenza e l’autonomia di una direzione culturale. Un’altra cosa è la gestione economica, in tal caso esiste ed è necessario un severo controllo.

 

La complementarità che si può scorgere tra l’attività del MACRO e quella del MAXXI viene in qualche modo concordata anche per evitare sovrapposizioni?

MACRO e MAXXI sono due grandi risorse che, quando entrambe saranno a pieno regime, potranno rappresentare una straordinaria opportunità. Due musei in una città di tre milioni di abitanti non possono sovrapporsi

 

I ruoli devono restare ben distinti?

I ruoli sono quelli naturali di un museo di Stato e uno della Città di Roma.

 

L’interesse del pubblico per l’arte attuale è recuperabile?

È in costante crescita, spesso siamo noi a lamentarci ingiustificatamente per una disaffezione che in realtà non c’è.

 

Le scuole accolgono con entusiasmo le offerte del MACRO?

Il nostro Dipartimento Didattico è ancora molto giovane ma sta ottenendo grandi risultati e spesso non è in grado di soddisfare la domanda.

 

L’azione educativa sviluppata in più direzioni sta dando buon esito?

Ottimi e i margini di crescita sono ancora grandissimi, le idee tantissime ma dobbiamo fare anche i conti con limitate risorse umane e finanziarie che impongono i propri ritmi di crescita.

 

Certe iniziative collaterali dimostrano che c’è bisogno di un’azione più ampia e di livello ‘superiore’. Alludo a quelle rivolte agli operatori culturali, agli educatori. Quali sono i suoi propositi in merito?

Abbiamo dedicato ampio spazio anche al settore formativo realizzando un master specifico per la gestione museale collegato all’Università La Sapienza; ora stiamo pensando anche a tirocini riconosciuti dall’Università per docenti e laureandi. Tali attività si aggiungono all’ormai consolidato programma di conferenze, dibattiti e incontri che MACRO propone ogni anno

 

Riscontra partecipazione e benefici?

Siamo molto soddisfatti.

 

La banca dati riguardante gli artisti viene aggiornata tempestivamente? È riservata ai nomi  proposti dal Museo?

Viene aggiornata con una discreta tempestività ed è estesa a tutti.

 

La Macrovideoteca, affidata alla competenza di Valentina Valentini, è sistematicamente arricchita?

Al progetto di Macrovideoteca ho creduto e credo moltissimo; sfortunatamente, i limiti di budget ci hanno imposto un rallentamento. Come per il Dipartimento Didattico, anche la Macrovideoteca ha sofferto una ‘crisi di crescita’ che, sono convinto, sarà presto superata.

 

Lo spazio destinato ai fondi librari e documentari può accogliere molte donazioni?

Al momento lo spazio è assolutamente esiguo ma tutto ciò sarà possibile con il nuovo museo.

 

Dalla qualità delle esposizioni monografiche si deduce che gli artisti prescelti danno la massima collaborazione...

Tutte le mostre proposte finora da MACRO sono state progettate e realizzate dal museo in collaborazione diretta con gli artisti. Sono nati ottimi progetti e tutti gli artisti coinvolti si sono dimostrati entusiasti della professionalità e dell’entusiasmo di tutto il personale del museo. Con il supporto di Electa sono nate anche tre collane editoriali di grande pregio che hanno visto, in quattro anni, la pubblicazione di 35 titoli, alcuni dei quali fra i più venduti in Italia.

 

Nelle proposte cerca di bilanciare attendibilità e sperimentalismo, presenze internazionali e regionali, orientamenti linguistici differenti?

L’equilibrio è una dote, a volte un limite. Io spero di tracciare un programma curioso e aperto alle più ampie sollecitazioni.

 

Il MACRO vuol essere anche un punto di riferimento per le esperienze più vitali dell’area romana?

MACRO è il museo d’arte contemporanea di Roma e, come tale, deve essere un museo internazionale, pur con radici ben salde nel ricco territorio della capitale.

 

Sono conciliabili le esigenze degli specialisti e il gusto del grande pubblico?

Assolutamente sì. Spesso si sottovaluta il pubblico che oggi è informato, curioso, colto, abituato a viaggiare, visitare i musei, collezionare. Un’altra cosa è l’autoreferenzialità.

 

È costantemente guidato dalla volontà di esibire l’inedito anche per gli artisti affermati?

L’inedito è sempre eccitante; non sempre funziona, soprattutto per artisti già molto affermati, ma fa parte del brivido curatoriale. Comunque, non ho questa volontà a tutti i costi. Mi diverte discutere con gli artisti, cercare nuovi stimoli, nuovi azzardi. Per questo chiedo a quasi tutti di produrre qualcosa di nuovo per MACRO.

 

Nella scelta dei nomi si pone limiti di carattere linguistico?

No, assolutamente.

 

È particolarmente interessato alle nuove tecnologie?

 “Particolarmente” direi di no. Come tutti sono interessato alle possibilità creative fornite dalle nuove tecnologie, ma sono altrettanto convinto che la matita e il foglio di carta possano ancora straordinariamente stupire.

 

L’acquisizione delle opere per la collezione permanente avviene anche al di fuori delle mostre da voi attuate? In tali occasioni gli artisti non sono disposti a lasciare un’opera significativa?

La politica di acquisizioni è per un museo una sorta di grande ‘sistema sanguigno’: alimenta tutti gli organi. Sfortunatamente in Italia è mancata, per quasi due secoli, una cultura di incremento delle collezioni pubbliche e così il nostro patrimonio moderno e contemporaneo è quasi miserevole. Oggi le cose stanno leggermente cambiando, ma anche l’intero mondo dell’arte è cambiato e non è più possibile acquisire tutto, raccogliere enciclopedicamente l’arte contemporanea. Così ogni museo studia specifiche politiche di acquisizioni che definiscano un carattere della collezione. MACRO ci sta provando concentrando i propri sforzi sulla produzione diretta di opere e collegando, quando possibile, il tracciato espositivo con quello delle acquisizioni. Ovviamente ciò non impedisce di attuare anche altre strategie per l’incremento della collezione.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 130, dicembre 2006-gennaio 2007, pp. 50-51]