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GIANCARLO POLITI PDF Stampa

Il sistema dell’arte va cambiando in meglio o in peggio?

Ogni cambiamento non è mai né peggio, né meglio. È solo un cambiamento. E poi chi l’ha detto che l’arte stia cambiando?

 

L’attività di ricerca come può essere incentivata dalle istituzioni pubbliche?

Offrendo possibilità di scambi e di viaggi agli artisti e ai critici nostrani, troppo attaccati alla sottana della mamma.

Le istituzioni pubbliche, essendo in Italia troppo politicizzate, non debbono occupare troppo spazio. Meno si avvertono, meglio è. E vediamo quale sballo procurano certi assessori troppo attivi.

 

La collaborazione fra gallerie private e pubbliche è un obiettivo raggiungibile?

Ma è già raggiunto da tempo. Le gallerie pubbliche vengono sempre a rimorchio delle private, più attente e veloci nel cogliere le novità e i cambiamenti. Le gallerie pubbliche in Italia sono molto spesso un parcheggio per “intellettuali” disoccupati. I famosi lavori socialmente (in)utili. E in Italia, a livello pubblico, sono tanti.

 

Dopo alcuni anni di vita del Trevi Flash Art Museum, come giudichi l’esperienza?

Molto negativa. Enormi sforzi fisici, psichici, finanziari (ho speso di tasca mia almeno 500 milioni in questi anni, tra mostre e cataloghi).

L’Umbria è una regione allenata e dedita all’assistenzialismo. Qualunque iniziativa privata che non sia di aria DS o della Regione, viene osteggiata oppure totalmente ignorata. I fondi regionali per la cultura (che non ho mai chiesto né preteso) sono gestiti in modo assolutamente inadeguato, da dilettanti o peggio.

 

Internet sta già rivoluzionando la comunicazione artistica e l’attuale sistema espositivo?

Ti sembra? A me Internet sembra per il momento una grande arena planetaria per narcisisti. Chi non possiede il proprio sito, il proprio teatrino privato, scagli la prima pietra. Ed è un territorio su cui investire soldi non per farne. Le mie riviste, grazie a Internet, hanno incentivato le entrate pubblicitarie, da aziende che vogliono proporre i loro siti o prodotti. Insomma, per ora è Internet che ha bisogno della carta stampata, non il contrario. Comunque questa Internet resta uno straordinario universo da cui attingere notizie e informazioni. E poi le e-mail hanno rivoluzionato la comunicazione. Quella sì che è un’opera d’arte concettuale. Più in là non vedo né vado…

 

In questo contesto quale funzione possono avere le riviste d’arte?

Quella di sempre. Di informare correttamente e intelligentemente. Forse tu conosci una rivista d’arte (attendibile) su Internet?

 

Secondo te, l’artista dovrebbe tendere a finalizzare socialmente il prodotto creativo?

Ma quanto mai! L’artista (quando c’è) è un sismografo dei malesseri, dei tic, delle malattie dell’individuo e dunque della società. L’artista mette il dito nella piaga e semmai la peggiora. Non guarisce mai.

 

Noti orientamenti innovativi?

Certo, ogni anno, come sempre. Sempre un leggero spostamento rispetto al precedente. Anche la copia è diversa dall’originale.

 

Cosa consiglieresti ai giovani operatori visuali?

Di apprendere bene un lavoro possibilmente, o di avere un genitore ricco. L’arte non può dar da vivere a tutti. E dopo le euforie iniziali, tantissimi dovranno lavorare.

 

Qual è l’identikit del nuovo collezionista?

Giovane, colto, brillante, benestante o ricco, in cerca di avventure dello spirito e della finanza. Con tante (troppe) illusioni. Ma se non ci fossero loro chi manterrebbe le centinaia (migliaia e migliaia nel mondo) di gallerie e i milioni di artisti? Lo status symbol, a tutti i livelli, costa. Poi c’è il collezionista ricchissimo (come il gallerista), figlio di papà, con enormi mezzi che non sono costati fatica. E il papà è felice perché è meglio spendere in arte (qualunque essa sia) che in droga.

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 103, giugno 2001, p. 47]