DOMENICO BIANCHI |
Domenico Bianchi non rilascia interviste ufficiali, ma non rinuncia a parlare di sé e del suo lavoro. Così, dopo un recente incontro nel suo studio di Roma, mi sono interrogato ed è nato questo “dialogo immaginario” non del tutto fantasioso...
Perché Bianchi ha deciso di non concedere interviste? Non vuol dire più di quanto non siano in grado di esprimere i quadri. Ognuno, prima di “recensire” le sue opere, dovrebbe stabilire contatti veri con esse, specialmente se, come in questo caso, sono sempre diverse e così sensibili... Non deve essere lui a parlare bene dei suoi quadri; spetta agli altri compromettersi con le emozioni e le sensazioni diversificate che ricevono guardandoli. Ma per chi non riesce ad entrare in sintonia con la religiosità delle opere, perché influenzato dalla cultura della nostra civiltà materialistica dai tempi rapidi, non è facile leggerle nel modo giusto.
Non ha mai scritto neanche dichiarazioni di poetica? Quasi mai. Pensa che non ve ne sia l'urgenza. Perché, poi, uno dovrebbe passare alla storia? È già un miracolo sopravvivere in questo mondo con un mestiere che non è riconosciuto e che ci sia chi compra quadri...
L'artista e l'opera hanno una riservatezza? La riservatezza non è voluta, né si tratta di una ostilità dichiarata verso l'esterno. Egli desidera essere in un luogo che sia solo suo. In altre parole: non vuole coinvolgimenti e non è propenso ad accettare condizionamenti.
...È un comportamento imposto anche dall'aspetto mistico del lavoro? Piuttosto dalla sua indole, direi. Si difende con i lavori senza apparire come persona, ma, se viene attaccato, è anche capace di reagire diversamente...
Si potrebbe sospettare che l'essere rappresentato da importanti gallerie possa farlo sentire al sicuro... Organizza solo un paio di mostre personali l'anno, sia perché l'esecuzione delle opere richiede tempo, sia perché esporre è un'operazione seria che comporta vari problemi. La sua scarsa partecipazione alle collettive dipende soprattutto dal fatto che non ha opere a sufficienza e che i suoi collezionisti non le prestano volentieri perché vulnerabili. Il suo è un modo diverso di lavorare e di stare nel sistema dell'arte e tutto questo rischia di essere scambiato per presunzione...
Ma, in sintesi, cosa si propone con la sua attività? Semplificando: salvare l'arte per arricchire la realtà di idealità. L'arte è da lui intesa come capacità immaginativa, come mezzo per dare forza all'archetipo con l'intento di soddisfare i bisogni spirituali di una società troppo arida. Non a caso, le “forme” delle sue opere corrispondono ad una precisa simbologia.
Nonostante egli cerchi di oggettivare la percezione, resta un margine per l'interpretazione soggettiva? Anche se possono dare suggestioni diverse a ciascuno, le opere dovrebbero avere una distanza dal pubblico uguale in tutto il mondo. Esse, comunque, sono sempre in dialettica con l'ambiente che le circonda. Insomma: sono state inventate per stare sulla terra..., ma con una forte presenza spirituale tra il sacro e il laico.
Allora, si pone problemi di comunicazione... Certamente. I simboli appartengono a tutti e tutti devono poterli riconoscere...
Col suo lavoro si addentra nella memoria storica sotto la spinta degli impulsi interiori e la guida della ragione per andare oltre... Occorre considerare che non è un dogmatico. Crede nella tradizione, nell'insieme delle verità, nella spiritualità e nell'idea cosmica.
L'opera traduce pienamente le intenzioni dell'autore? Alla base di tutto il suo lavoro c'è una tensione di ricerca che si compie all'interno dell'esperienza la quale deriva dalla piena padronanza dei mezzi impiegati anche quando sconfina in territori nuovi. Se l'opera è intelligente, la forma è molto reale e non ci sono possibilità di cambiamenti. I suoi quadri si giovano di una riflessione che si sviluppa in armonia con la lentezza di esecuzione. La costruzione manuale e di pensiero, tra astrazione ed esperienza sensibile, consente una più profonda coscienza.
I quadri vengono realizzati con mezzi e tecniche insoliti, ma piuttosto elementari... La sua è una “pittura” in continuo divenire; si propone di ottenere il più possibile dalla forma, senza però aderire al facile “sensibilismo” oggi abbastanza diffuso. Oltre ai tradizionali colori ad olio e ai gessi, l'artista usa la cera d'api a strati per dare all' immagine interiore un supporto luminoso, razionalizzante.
In sostanza, Bianchi è soddisfatto dei risultati? In questi ultimi tempi ha dimostrato di aver ben definito la sua poetica. Credo che nel tradurre e comunicare visivamente le sue ideazioni, abbia raggiunto il massimo risultato. Lo ha evidenziato anche con la recente mostra alla Galleria Stein.
Ora, quindi, le opere sono più esperte. Più mature. Lo si può vedere pure dall'essenzialità raggiunta e dalla resa qualitativa. In un certo senso, va ricercata qui la radicalità del suo lavoro... Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste) , n. 56, febbraio-marzo 1992, p. 50] |