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LE SMANIE DI TURCATO PDF Stampa

Perché Turcato? Al di là della qualità delle sue opere, la risposta più efficace l'ha data egli stesso durante la lunga conversazione - di cui viene riportato uno stralcio - svoltasi subito dopo aver festeggiato i suoi 80 anni. In realtà, l'artista, senza cedere alle lusinghe esterne delle tendenze dominanti, linguisticamente è riuscito a rimanere sempre “presente”, sod­disfacendo anche la critica militante e le ultime generazioni di “pittori”. Il vero senso della sua arte, infatti, è da ricercare nella libertà di fare, asso­ciata a quella del suo modo di vivere. E la sua attualità gli viene dall'anticonformismo e dallo spirito antiaccademico che accompagnano l'intero suo cammino. È abituato a fare quello che gli passa per la mente, senza seguire strade obbligate e teorie impersonali. Dopo essere salito sul treno preferito dell'immaginazione, tanto per non smentire la sua prover­biale distrazione, si dimentica di scendere alla stazione della realtà... An­cora oggi, nonostante gli inevitabili acciacchi fisici, non vuole mollare, anzi continua a forzare i confini di territori sconosciuti, sia pure rispet­tando quelle regole che hanno fatto la sua storia, per entrare in nuove di­mensioni, affascinato com'è dall'ignoto, alla ricerca di ciò che noi non riu­sciamo a vedere: ha l'idea fissa di scoprire altre meraviglie. In tanti anni di attività, non gli sono venute meno la “voglia” di ricercare il nuovo e la gioia di dipingere; si annoia a stare nello stesso “posto”, di fronte al “già fatto”. Quando gli si parla del colore, si rianima, gli si illumina il viso e, anche se questo è da sempre il suo campo d'azione, non ha ancora finito di cercarne altri più “difficili”. Nel parlare, ora ricorre ancor più alla meta­fora e sembra interessato addirittura a creare un suo vocabolario per con­testare il linguaggio ufficiale per lui forse poco immediato. Usa anche pa­role in libertà ed altre del tutto “sue” che, di solito, soccorre con i gesti delle mani, come se continuasse a dipingere fuori del quadro per tradursi in opera vivente. Per dare corpo alle sue visioni fantastiche, Turcato, di fre­quente, usa perfino immagini-boutades: in lui il paradosso esprime libertà e verità; è pure stravaganza, ma per uscire dalla retorica e dagli intellet­tualismi.

 

distanza e presenza

 

Turcato, iniziamo ricollegandoci per un attimo al passato. L'uscita dal rigore formale e dalle scelte figurative ed ideologi­che del “Fronte nuovo delle arti” con la successiva entrata nella pittura astratto-surreale dove c'è un diverso impiego di forma-colore-segno fino all'uso del gesto, ha significato solo più li­bertà espressiva e immediatezza?

Ci ha tirati fuori da un tran tran troppo usato. Ha smosso in qualche modo, a Roma e altrove, una situazione. È stato un momento positivo perché ha rappresentato una svolta, uno svincolo da tutto quanto avevamo dietro le spalle. Volevamo qualcosa di diverso che portasse al rinnovamento dell'arte italiana; che la vita divenisse più pregnante, più vivace e ci con­ducesse verso un'arte più avanzata.

 

Ha sempre creduto ad una certa identità tra arte e vita? Oggi come si potrebbe manifestare, in termini nuovi, l'azione sociale dell'intellettuale e dell'artista?

L'arte doveva seguire la vita che si evolveva... Abbiamo cambiato il senso del rapporto. Io non vorrei “vedere” il quotidiano. Attraverso l'astrazione si possono rendere cose migliori. L'intellettuale dovrebbe andare sempre avanti, inventare il futuribile e dare un'altra immagine della vita.

 

Questo mondo gestito dall'uomo le piace?

È l'uomo che costruisce il mondo, quindi, la situazione è assolutamente vera.

 

immaginazione come invenzione

 

La sua arte è tutta immaginata o ha dei riferimenti naturali?

“Riferimenti naturali”, senz'altro, ma bisogna considerare com'è il nostro vedere. Certe volte non ci mettiamo nella condizione di avere il mondo in mano, invece c'è qualcosa che bisognerebbe volere e scoprire con l'immaginazione proiettata: la stessa che poi si ritrova nelle scoperte.

 

Pensa che per superare la monotonia del già visto ci sia bisogno del paradosso e, per far sopravvivere la pittura, dell'invenzione?

Ci deve essere, indubbiamente, una condizione di verità che per gli altri può diventare un paradosso. Succede che in questo modo alle volte riu­sciamo a toccare delle cose che prima non vedevamo.

 

Si considera un pittore nomade che riesce a captare anche gli umori del tempo e le sensazioni dei luoghi visitati?

Nei luoghi dove sono stato, in certi momenti, ho visto delle cose che mi da­vano una bella sensazione. Mi sono sentito come l'uomo antico che cercava situazioni nuove. A tentoni sono andato oltre, entrando nello spirito dei luoghi.

 

Crede che la sua modernità scaturisca dalla libertà espressiva, dall'atteggiamento anticonformista verso il mondo, dal concepire la pittura come mezzo per sperimentare?

La modernità è propria dell'artista; è dentro di lui che neanche se ne accorge e non può fare a meno di trasmetterla. Noi mettiamo in linea anche ciò che inventano gli altri, ma vorremmo ottenere ancora di più con la nostra sperimentazione.

 

C'è ancora bisogno di gesti trasgressivi?

L'importante è che non ci sia un fermarsi e neanche un dire “ho trovato!”. Tante volte le mani fanno, senza che uno se ne accorga... Ciò che facciamo può piacere, ma ci può essere qualcosa che non capiamo e che solo dopo, forse, diventa un andare avanti..., “un modo di essere”. Anche se non si ottiene subito una cosa, non si deve dire “l'ho fatta, sono a posto!”, perché forse non è proprio quello che si è visto.

 

Ogni suo quadro è un'esperienza nuova?

Cerco di farlo, di trovare qualcosa che non è stato fatto. È come un mirag­gio.

 

La scienza può aiutare un pittore a scoprire altre verità e ad ampliare l'immaginazione?

Sono affascinato dalle scoperte spaziali. Esse possono dare senz'altro degli stimoli. Basti pensare al viaggio sulla luna, ma anche ad altre realtà ignote.

 

l'opus

 

Si presenta davanti al quadro con una idea, con una immagine pensata per poi strutturare la composizione?

In certi casi sì, in altri casi si va a “stento”.

 

La moglie Vana: “Giulio, come deve essere il gesto?”.

Acuto, immediato.

 

Il supporto è sempre in rapporto simbiotico con l'immagine?

Sì, ma l'immagine viene dopo, prima si deve pensare; dire “pa-pa-pa-pa”, “po-po-po-po” e poi “perché non ho detto pi-pi-pi-pi?”.

 

Spesso si lascia dirigere dall'opera per in-seguire gli impulsi interiori?

La “voglia” è una cosa molto importante...

 

Entra in campo anche una sorta di automatismo psichico?

Sì, però i miei sono gesti sicuri, invece quelli dell'automatismo, secondo me, non lo sono.

 

In genere, pesca l'immagine dentro di sé...

Sì, però si cerca anche una via innovativa.

 

Dalla realtà esterna non le viene mai qualche suggerimento per l'opera?

Sì, ma bisogna vedere che opera mi viene in mente...

Vede là, fuori della finestra? C'è Roma antica, ma il panorama è sempre attuale...

 

La vera opera di Turcato è composta da un mosaico di tutti i qua­dri prodotti?

Non me ne accorgo, ma c'e senz'altro un collegamento.

 

del Colore

 

Di che colore è il “color Turcato”?

È il colore che sono contento di aver fatto.

 

Qual è quello che più riconosce come suo?

Ce n'è più di uno. Ci sono stati dei momenti in cui mi pareva il blu, poi non lo potevo più vedere...

 

Si evolve e si consuma, poi si va ancora alla ricerca...

Scompare, magari perché si è visto troppo. Faccio un esempio banale: i cani sono tanti, come si fa a stabilire qual è il più bello?

 

Allora il colore più bello deve ancora venire...

Ha detto una bella cosa...

 

Come nasce il suo colore? È anche un problema tecnico?

Se sei via di casa..., ad un certo momento si provano tante sensazioni di­verse. Per esempio: io ho la casa di fronte alla “Giudecca”, eppure certe volte mi pare di non vederla.

 

Quindi, il soggetto del quadro è il colore sempre in divenire...

Il colore ha una sua importanza fino a diventare, appunto, il soggetto del quadro.

 

Il colore è sempre in funzione della luce?

Luce e colore sono una cosa “ovvia” e noi sappiamo che ci servono...

 

Ci può essere anche un tipo di luce che non riusciamo a perce­pire?

Sì. Quando sono andati sulla luna, e anche più distante, hanno visto dei co­lori che neanche si potevano immaginare. La testa non reggeva più... “ma gu­arda cosa ho visto...!”. Hanno detto che noi non potevamo immaginare le cose viste da loro. Potrebbe non essere una cosa reale. Come uomini siamo an­cora piccoli. ...E anche come donne..!

 

Per ogni quadro si pone il problema di trovare nuovi colori?

Sì, io vorrei cambiarli sempre...

 

Preferisce gli effetti timbrici.

Quelli più squillanti. Vorrei fare un colore “difficile” e son qui che cerco di trovarlo, di metterlo dentro la pentola (con le mani fa il gesto di mesco­lare). I colori diversi visti sulla luna sono una prova che ce ne sono altri.

 

Verso quale direzione lo porta il suo attuale orientamento pit­torico?

Non si può dire, ogni giorno è una invenzione.

 

nel contemporaneo

 

Perché Turcato viene considerato un pittore sempre attuale?

Perché ho delle “smanie”.

 

Un rapido giudizio sull'arte attuale.

C'è ricerca, ma si fa imitazione, non avanguardia; non si riesce ad andare oltre, si fa noia; ...il canale di Venezia...: quasi tutto allo stesso modo. Non vedo una grande vivacità intorno.

 

Ancora oggi, non trascura di frequentare le mostre.

Vado sempre anche a quelle dei giovani per sapere cosa succede; voglio ve­dere con i miei occhi.

 

Essendo un artista piuttosto prolifico, si pone il problema della produzione di opere da immettere sul mercato?

No, io produco secondo il mio piacere, dipingo solo quando sento, quando mi interessa. Posso inventare anche una cosa senza pensare a ciò che può ser­vire. Dipingo per me, non per il mercato. Poi mi vengono a dire “vorrei fare questo; mi piace quell'altro”. Ci sono le mostre e allora debbo produrre an­che per questo.

Attualmente le sue opere vengono pagate al giusto prezzo?

Secondo i casi. Io ho una certa idea: uno vale 5 e l'altro 30 o 40. Non cerco di far salire il prezzo; io non ho mai voluto, perché preferisco che molte persone abbiano i miei quadri.

 

eccetera

 

Una riflessione sulla vita a 80 anni compiuti.

La vita non mi dà una grande emozione. Io, poi, non ho 80 anni, ma 60, 68-69. Non c'è una situazione di numero. Basta che la vita cammini e prosegua nel suo itinerario...

 

Qual è adesso il suo rapporto col tempo?

È insufficiente, perché non mi dà più di quello che mi poteva dare.

 

Ha più rimpianti o più progetti?

Progetti ne avrei qualcuno, ma vediamo come viene fuori la polenta che si mescola.

 

Ha un desiderio inappagato...?

No, io me ne frego.

 

Cosa la infastidisce di più?

Che si facciano delle cose in più... Vedere la gente che dice: “Quello sì, quell'altro no”. ...Tanti che decidono per gli altri. È un disastro!

 

Il suo pensiero sul consumismo.

Io non spendo un soldo..., solo qualcosa per i servizi della casa.

 

Come vede il capitalismo?

È un vaporetto molto lungo...

 

Cosa pensa d'un avanzamento sfrenato della tecnologia, del mito del computer, per esempio?

Non ho una grande conoscenza. Piuttosto che l'arte del computer, preferisco andare a vedere la Chiesa della Salute...

 

Siamo veramente alla fine delle ideologie e delle utopie?

No, c'è una continuazione.

 

Allora, crede nell'utopia!?

Sì. Cosa si deve fare, se gli altri non fanno niente...?

Se va per tutta Venezia vede che ai tre ponti c'è gente che mangia e basta. I veneziani sono contenti che la città sia bella e TA, TA, TA, TA, e PA, PA, PA, PA. Allora, sarebbe meglio andare altrove...

 

Oltre alla luminosità, cosa ha portato con sé del suo luogo di origine?

Gli altri andavano con la macchina e non vedevano niente... Io, invece, ho guardato che cosa erano i colori, i buchi, i canali, le calli, ecc., ma poi oc­corre anche inventare. Questo è il punto. Venezia come cosa in sé è vera­mente straordinaria, ha qualcosa che è ben fatto, ma i veneziani manco se ne accorgono. Ho la sensazione che Venezia non voglia saperne del suo de­stino.

 

La fanno morire...

È già morta, ma i veneziani lo ignorano.

 

Io avrei finito. Vuole aggiungere qualcosa che le sta particolar­mente a cuore?

Speriamo che l'acqua venga sempre a Venezia...

 

Riapro brevemente per completare il ritratto di Turcato rivol­gendo alcune domande alla Signora Vana, presenza importante nella vita dell'artista. Innanzi tutto, com'è il Turcato visto da lei?

È veramente una domanda difficile, perché Giulio è una continua scoperta e tutto quello che dice, che fa, che dipinge: è un godimento. Poi ci sono i contrasti inaspettati, le sue furie improvvise. Quindi, con lui c'è un rap­porto sempre nuovo.

 

Riesce a vedere con distacco critico il lavoro di suo marito? Turcato accetta volentieri il suo giudizio?

Certamente! Lui stima quello che io posso dire, quindi, qualche volta, può chiedermi un parere.

 

Quando è entrata nella sua vita, cosa è cambiato per lui?

Non credo sia cambiato niente...

 

E Turcato cosa le ha dato? In qualche modo, l'ha trasformata?

Non credo che ci siamo trasformati l'un l'altro, perché ci siamo incontrati sulla stessa lunghezza d'onda, per gli stessi interessi e per l'idea, che a lui piace molto, del “non stare sempre nello stesso posto”: l'essere at­tratti da tutto ciò che è nuovo, cercando in esso una base di maturità.

 

Perciò, non è lecito affermare che ama più l'opera di Turcato che l'uomo, l'autore...

Potrebbe anche essere... Mi ha affascinato prima l'opera, però... Ma la per­sona è veramente un tutt'uno con la sua arte e io l'ho saputo capire. È stato un bell'incontro anche se è stato un rapporto difficile. Una vita non sem­plice; scontri... Però, nell'insieme abbiamo fatto tante cose belle.

 

Lui ha gradito l'ordine che ha messo nella sua vita?

Questa storia dell'ordine mi dà un po' fastidio. Io ho vissuto una mia vita indipendente, perché ho fatto regia cinematografica, e lui viveva la sua. Il nostro è stato un incontro per il piacere di stare insieme. Poi io gli ho dato anche una mano in ciò che dagli altri viene chiamato “mettere ordine”: è stata, praticamente, una collaborazione che a lui può essere servita come serve a tutti. Tra noi c'è sempre stato un rapporto dialettico, vivo; un ar­ricchimento di cui siamo felici. Lui mi dice sempre: “Ne abbiamo fatte di cose noi due, eh!”. Mi ha fatto piacere collaborare, ma, se non ci fossi stata io, lui sarebbe ugualmente dov'è arrivato.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 59, ottobre-novembre 1992, pp. 32-33]