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GIULIO PAOLINI PDF Stampa

Può esistere una ‘scienza dell'intuizione' che costruisce la teoria e il metodo per giungere all'immagine?

“Scienza dell'intuizione” per aggirare la teoria e coglierne il lato nascosto.


L'opera può essere il risultato di un ‘gesto' del pensiero?

Nel suo caso, che rapporto c'è tra il ‘fare' e il ‘pensare'?

...In verità non ho mai pensato l'opera, anche se così potrebbe sembrare a chi l'opera vede e subito intravvede - o crede di intravvedere - il pensiero che l'ha dettata. L'artista e l'opera sono complementari, non consequenziali . Così, come per l'opera sarà essenziale, per dirsi esistente, cogliere lo sguardo che la rivela (sia esso dell'autore o dello spettatore), allo stesso modo all'artista è necessaria, a prova della sua stessa salvezza, la scoperta di qualcosa (l'opera) che gli consenta di guardare . Per questo, dicevo, sono le opere ad avermi pensato e non viceversa. L'artista non pensa, è un naufrago, superstite dello scampato pericolo che è l'approdo stabilito nell'opera. È una figura instabile... in lui convivono attitudini contraddittorie. Ricerca il nuovo, modi sempre originali (strade non ancora percorse) ma sempre all'interno di un codice (è un alfiere della norma, anche se di una norma che ancora non conosce). Deve partecipare la sua visione ad altri, ma non accetta di condividerla (neanche con se stesso, se approdato all'opera già si rivolge alla successiva).

 

Arriva all'essenzialità dopo un rigoroso processo di sottrazione?

Non comincio mai da un foglio bianco (il foglio bianco, la tela vergine, sono il punto di arrivo, non di partenza). Una pagina di giornale, un piccolo rettangolo tracciato a matita, altri rettangoli intorno, a volte attraversati da una diagonale, una piega nella carta, ecco la stanza... Tutto è mosso, o trattenuto, da quella certa pigrizia dettata dall'impazienza.

 

Nelle sue opere c'è più continuità tra antico e moderno o rottura?

La continuità è costituzionale, prima ancora che ‘istituzionale'. Il dilemma non si pone, è risolto nell'istante, senza tempo, che decreta la costituzione dell'opera.

 

Quale definizione darebbe della classicità che caratterizza la sua opera?

Coincide con i concetti di ‘bellezza' e di ‘modernità'?

È il rispetto spontaneo, e non è una contraddizione, della distanza che, anziché allontanare, avvicina bellezza e memoria, la consapevolezza del limite...

 

Il suo fare-arte rinuncia al giudizio sul mondo esterno?

Come entra il dato reale nella sua opera e come si lega al passato storico-culturale?

L'artista, oggi, sa di potersi esprimere meno degli altri. È lui che, solo e da sempre, sperimenta ogni giorno l'inafferrabilità, o l'inesistenza, dell'espressione. La quale, se si manifesterà, non si manifesterà in lui ma, a lui, non riserverà che l'amaro compito di darle voce.

Ed è lui, l'artista, a sapere prima degli altri che l'immagine che gli toccherà di scoprire non è sua ma di tutti, anche se non per tutti. Il suo destino gli impone, malgrado le apparenze, l'assenza dalla scena del mondo, un esilio di tempo e di luogo.

 

Lei ha scelto dichiaratamente di fare ‘arte come arte' scartando l'illusione di fare ‘arte come vita'.

Qual è il suo pensiero al riguardo?

Rinvio all'insieme del testo organico pubblicato di recente dalla Galleria Locus Solus e in generale a tutti i miei scritti più recenti. In due parole, l'arte è sempre ‘per l'arte', utopia sarebbe credere che l'arte possa abitare il ‘mondo esterno'. Se non lo può, se non lo vuole abitare, qualsiasi giudizio, anche involontario o di riflesso, non avrebbe facoltà di prova.

 

Come intende il rapporto verità-finzione?

La crisi generale dei fondamenti, oggi, autorizza e contrappone, a molte logore o scadute verità, altrettante incerte o gratuite eresie. Quella che ho l'impressione di praticare mi conduce a credere nella verità della finzione, nell'assoluto della rappresentazione, che afferma: “ciò che diviene è già stato”...

 

Allora dov'è la vera verità dell'arte?

Come sempre, nel mezzo: nel mezzo tecnico, voglio dire, in quell'indizio materiale che disegna la frontiera della percezione, ambasciatore chiamato a presidiare, e a rappresentare, il territorio virtuale dell'opera.

 

Dall'opera bidimensionale a quella oggettuale e ambientale, dall'integrazione comportamentale all'installazione. In questo processo noto uno sconfinamento a doppio senso dallo spazio fisico a quello metafisico.

- Vuole dare corpo tridimensionale agli spazi mentali rappresentati e riportare al presente luoghi immaginari lontani?

- Ultimamente sente di più il bisogno di uscire dal quadro e dalla parete per entrare nello spazio reale?

- Ha mai pensato di uscire anche dall'opera per vivere fuori dell'arte...?

Una domanda, tre questioni che mi toccano da vicino. È vero, è tutto vero: forse basta togliere i primi due punti interrogativi, il terzo lo lascerei, se “fuori” presume sempre l'esistenza di qualcosa, si colloca sempre appena al di là della soglia.

 

Dopo anni di attività, cos'è per lei il disegno?

...È dall'esperienza della fotografia che ho colto il significato del disegno, di ciò che si designa essere vero e quindi, da sempre, intatto. Se non esiste disegno senza linea, la linea però ‘muove', come nel gioco degli scacchi, senza complemento oggetto (senza cioè divenire nel tempo) appare là dove era dato che apparisse. Così il disegno è qualcosa di simile a quel prodigio ortografico che è l'iniziale maiuscola di un verso poetico (intendo dire la consuetudine di ‘titolare' come a sé stante una parte per il tutto); lo scorrere immobile dei rivoli d'acqua nel momento del disgelo; petali e foglie abbandonati al vento in una folata improvvisa; l'andamento dei contorni dettati dall'orografia o dalle nazioni. Tutti motivi precari e preziosi, come venuti alla luce dalla mano dell'archeologo che accudisce con diligenza le tracce predisposte del tempo.

Che cos'è ancora un disegno? La combinazione, così rara e così ovvia, che tutte le cose si trovino mirabilmente al loro posto. Una visione ‘a volo d'uccello' o una visione ad occhi chiusi. Il sorriso che l'acrobata esibisce proprio nel momento più delicato del suo esercizio. Il profilo antico delle rovine, che sembrano al tempo stesso costituirsi e rimanere. Il riflesso dorato sulle frange del sipario, che sigla l'attesa di un evento...

Fotografia e disegno sembrano insomma possedere in comune, condividere l'attitudine - che vorrei chiamare vocazione - a far trasparire; la trasparenza non ha fine, tende all'infinito, non fa ‘immagine' ma fa ‘immaginare', vedere sempre al di là dal limite contingente.

 

Se l'opera d'arte non è sottoposta a verifica per statuto teorico come può essere definita?

Ho detto e ripetuto più volte come l'artista e l'opera, pur non concedendosi tregua l'un l'altra, non intendano però, né l'uno né l'altra, indicare o tanto meno dimostrare alcunché. Ma bisognerà pur dire che cosa sia un'opera d'arte...

Che cos'è l'arte? Paradossalmente, l'ultimo a poter rispondere alla domanda è proprio l'artista, il quale certamente sa che cos'è l'arte ma non può formulare una risposta, salvo affermare, apponendo una firma e una data, trattarsi di ‘opera autentica'...

...L'opera non produce spazio, lo istituisce, lo ricerca al suo interno per manifestarsi, lo evoca per rappresentarsi . È dunque il dominio assoluto della percezione, dell'interpretazione...

 

E cos'è un'esposizione?

Un'esposizione - non è certo il caso di dirlo - è lì a proporre degli oggetti, a offrirci delle immagini. Ma un'esposizione è anche, a sua volta, e in quanto tale, un'immagine. Una cornice, di tempo e di luogo, che delimita l'area che ci troviamo a osservare senza prescrizioni di percorso (il senso della visita) ma attuando invece la messa in scena dell'opera (il non senso della rappresentazione).

Tutto questo ci suggerisce una considerazione: è il nostro punto di vista, non l'oggetto (sempre uguale o destinato a diventarlo), è la traiettoria dello sguardo (sempre diversa o comunque irripetibile) che disegna, qui o altrove, lo spazio dell'esposizione, il luogo dell'opera, quel teatro di luce e di silenzio chiamato Museo.

 

Ogni mostra personale è anche una sua opera?

È proprio così che, come già cercavo di dire in precedenza, procedo per sottrazione: l'opera è quell'insieme di opere che si offrono in esposizione. Di più: è l'esposizione, essa stessa e in quanto tale, a offrirsi come opera.

 

Oggi che ruolo assegna al titolo dell'opera?

Ho già scritto che il titolo interviene a siglare la definizione di un'opera che non ha altra certificazione che quella di essere, appunto, definita come tale. Interviene cioè a chiamare di volta in volta, con un nome sempre diverso, la stessa identica cosa .

I titoli dei giornali, del resto, celebrano quotidianamente il rito di fissare in una frase definitiva qualcosa destinato invece a mutare, o a scomparire, il giorno dopo. Posti l'uno sull'altro tutti i giornali di tutti i giorni, sorta di torre di Babele ricostruita giorno dopo giorno, sfidano la distanza che ci separa dalla sfera celeste così come, l'uno accanto all'altro, cingono l'anello dell'equatore.

 

La rigorosa analisi che è alla base della sua attività, l'atteggiamento solidale con lo spettatore, il costante intento esplicativo e i suoi scritti che teorizzano il lavoro fanno pensare che Paolini sia il miglior interprete di sé. Tutta la sua produzione è stata da lei teorizzata?

Non propriamente: non è concepibile poter teorizzare qualcosa che, di fatto, prende corpo ‘da sé', o per meglio dire si evolve secondo ‘regole' che, anche se rigorosamente osservate, non sono determinate e non costituiscono quindi una teoria.

L'attenzione, la vocazione obbedisce a qualcosa che la guida al suo stesso attaccarsi alla soglia, le dà la parola ma non il discorso...

 

Attribuisce ai suoi scritti anche un valore integrativo dell'opera?

Le interpretazioni degli altri hanno chiarito importanti aspetti della sua poetica da lei non evidenziati?

Mi applico appunto a ‘descrivere' il retroscena, che non è mai in piena luce, ma dal quale sembra di poter scorgere l'opera, la rappresentazione. E non mi trovo sempre del tutto solo ad occupare il posto di osservazione.

 

I suoi interessi culturali e il suo comportamento fanno pensare ad un artista-intellettuale appartato dal contesto competitivo del sistema dell'arte.

Cosa non approva, in particolare, dell'ambiente entro cui vive l'arte?

Tutto e nulla, nel senso che l'arte, come la vita del resto, è un equilibrio delicato, ma guai a rafforzarne le fondamenta.

 

Per concludere, che consiglio darebbe all'uomo comune che le chiedesse di essere introdotto alla comprensione del suo lavoro?

Siamo tutti uomini comuni... Diffido degli uomini, e soprattutto degli artisti straordinari: i monologhi, alla lunga, sono noiosi.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste) , n. 67, aprile-maggio 1994, pp. 32-33; anche in MADDALENA DISCH , Giulio Paolini. La voce del pittore. Scritti e interviste 1965 - 1995 , ADV Publishing House, 1995, pp. 283-287]