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GETULIO ALVIANI PDF Stampa

Negli anni Sessanta, quando si cercava affannosamente la via d'uscita da una pittura di maniera, la comparsa delle superfici a testura vibratile di Getulio Alviani fu una folgorazione, non soltanto in senso visivo, ma per il metodo operativo progettuale decisamente antiromantico. Quelle opere, frutto di un'originale ricerca artistico-scientifica, contenevano elementi di oggettualità e di minimalismo che si sarebbero sviluppati e affermati successivamente. Ma di esse fu colto solo l'aspetto ottico, tipico delle tendenze cinetiche che trionfavano in quel periodo, anche se in Alviani il movimento virtuale non era giocoso e derivava da un atteggiamento mentale in funzione della percezione di armonie neo-rinascimentali. Così, mentre egli stava producendo anche significative installazioni ed opere ambientali realizzate con materiali tecnologici ed altro, col sopraggiungere della polarizzante Pop Art e poi dell'Arte Povera e Concettuale, fu emarginato dalla competizione, come del resto tutti quelli che operavano nella sua direzione, anche se egli, con la profonda convinzione di sempre, ha continuato, sia pure con diverso senso, il suo rigoroso cammino teorico e pratico.

Oggi, dopo varie vicende personali, per una serie di ragioni legate alla situazione generale non sempre entusiasmante, c'è stata una riconsiderazione della sua multiforme produzione (opere d'arte pura e funzionale).

All'inizio del dialogo che segue mi ha detto: “Tutto quello che abbiamo fatto deve essere ancora capito e per questo ha tanto futuro, un futuro che negli anni Sessanta era vicinissimo e che oggi si è allontanato enormemente. E invece viene letto dai più – impreparati come sono – come antiquariato; vorrei tanto che il mondo fosse fatto anziché da questa pletoraglia di ignoranti, da esseri intelligenti dai quali... imparare continuamente”.

 

Il meritato ritorno sulla scena artistica dopo i gloriosi anni Sessanta, cosa significa per te?

Quando capii che tutto si stava sovvertendo per esigenze di semplificazione e di apparente rinnovamento e quello che era rigore di traiettoria storica lasciava il posto a ogni sorta di ciarpame, rimasi stravolto e mi vergognai di appartenere a un mondo, quello artistico, che mi trovava imparentato con personaggi e prodotti che mi facevano schifo. Abbandonai tutto e andai in Sud America a curare la ricostituzione di un museo dedicato esclusivamente alle ricerche costruttive. Ora non è che sia ritornato, sono sempre un essere un po' anomalo che gira continuamente il mondo per conoscere, per sapere; solo che a quello schifo di una quindicina di anni fa mi sono abituato, forse ho perso acutezza, e anche se non mi mischio nell'aberrante sistema dell'arte, qualche volta, pur sentendone repulsione, mi capita di ritrovarmici a fianco e questo può forse sembrare un ritorno, cosa che invece non è.

 

È importante per la ricerca lo stimolo esterno?

Per molti di noi la vita è stata assai arida ed è stato necessario trovare costantemente la voglia e la forza del fare dentro noi stessi. Credo che un po' di gratificazione esterna avrebbe potuto portare del bene, ma questa è la realtà. Uno dei miei modi è l'interrelazione con cose e persone.

 

Nel clima artistico di oggi e in questa incontrollabile società di individualisti o di massa, operare nella tua direzione ti tranquillizza o ti crea disagio esistenziale?

Un giorno mi dissero che gli animali si diversificavano dagli uomini perché vivevano di speranza. Se così fosse mi piacerebbe essere un animale per poter avere questo sentimento. Fare arte può avere due sensi: voler dire operare per le cose in sé o ampliare la conoscenza agli altri. Cose tutte e due impegnative e difficili. Per la prima sono ancora disposto a impegnarmi, per la seconda non me ne importa più nulla, anzi penso che la società attuale si meriti di peggio.

 

È ancora possibile affermare l'ideale razionalista?

Questo sarà sempre possibile, se non altro per le cose in sé.

 

La tua tendenza all'analisi, da cui discende la produzione artistica e di design, si estende al sistema socio-politico-economico?

Se si fosse estesa, come avrebbe dovuto essere, non ci ritroveremmo nel disastro in cui ci troviamo. L'uomo ha voluto allontanarsi dalle cose che sempre sono esistite come punto di riferimento per il suo comportamento ed ha causato tutto quello che sta avvenendo.

 

Senti di aver trasmesso qualche messaggio all'arte giovane?

In troppi si sono messi a disturbare la trasmissione di quei messaggi, fino a farli arrivare gracchianti, financo indecifrabili.

 

Rivisitiamo per un attimo la tua formazione. Quanto hanno influito sul tuo rigoroso metodo progettuale e sulla versatilità il Bauhaus e la Scuola di Ulm?

Semplicemente ho trovato in queste grandi direttrici - anche se molto diverse tra di loro, una pionieristica, l'altra pratica - un'affinità di pensiero e di attitudine.

 

Cosa ti è derivato dallo studio approfondito di Albers e dalla frequentazione di Bill?

Anche qui, più che studio si tratta di affinità di idee che essi hanno saputo e potuto concretizzare meglio e prima di me.

 

Hai aderito fin dall'inizio all' “Istituto per la forma del prodotto” fondato ad Ulm?

Non ho mai aderito a istituzioni o istituti, caso mai il mio pensiero è sempre stato simile a quel momento e continua ad esserlo.

 

I programmi di Gropius e di Bill, visti con gli occhi di oggi, rappresentavano un ideale inattuabile?

Un ideale che deve ancora essere raggiunto. Il futuro, se sarà positivo, dovrà per forza essere così.

 

Bisogna essere intelligenti per fare l'artista?

L'arte dovrebbe essere sempre il massimo dell'intelligenza che prende una forma concreta. Oggi quest'intelligenza è sostituita dalla ben più facile ed eclatante scaltrezza, alla portata di tutti.

 

L'arte può essere “insegnata”? Nasce da un metodo o è autonoma?

È come dire sollecitare la sollecitudine.

 

La qualità è un movente importante?

È fondamentale per la lettura esatta delle cose in sé, e vorrei dire che la qualità mentale e materiale è arte.

 

Ti fermi all'uso dei mezzi tecnologici non elettronici?

Ho senz'altro un approccio meccanico, fisico, concreto, forse direi solido con le cose. In questo ambito mi sono formato, e ciò ha segnato il mio pensiero e la mia attitudine.

 

L'avanzamento del tuo lavoro dipende dal progresso tecnologico o cerchi di anticiparlo?

La risposta a questa domanda richiederebbe lo studio di una vita. Senz'altro tutto quello che faccio vuole essere evolutivo, bisogna vedere sino a che punto è ideologico e quale tensione può raggiungere.

 

Sei affascinato dal nuovo? Operi con spirito avveniristico?

Come ho già detto, opero pochissimo ma credo che l'unico modo sia in senso ideativo e quindi evolutivo. Altrimenti regrediremmo, esattamente come si sta facendo oggi nel mondo dell' arte .

 

In che rapporto sono la ricerca teorica e quella pratica?

Sono tutt'uno: una dà all'altra e viceversa. Pensa sempre che il mio fare è sempre interrelazione.

 

Dove finisce la creatività artistica e dove inizia la scienza?

L'arte è invenzione; la scienza verifica.

 

Il tuo immaginario può essere definito scientifico ?

Tutto è scienza e solo attraverso la scienza si può capire tutto, anche il perché della sua stessa distruzione.

 

Ogni realizzazione è il risultato di una determinata ricerca strutturale o qualitativa?

Anche nell'ultima cosa che ho fatto, MAI WAI , la struttura si identifica nella qualità e viceversa.

 

L'opera per essere viva deve mostrare la tensione della ricerca e della sperimentazione o il prodotto finito la deve annullare?

In ogni opera c'è un problema, l'arte plastica è rendere percettiva questa problematicità.

 

L'opera d'arte deve stupire senza avere misteri?

Non deve stupire, non è un fenomeno da baraccone o da circo, anche se i saltimbanchi li trovi ormai costantemente sia fuori che dentro ai musei (pensa al Centro Pompidou con fachiri, mangiafuoco, addormentatori di scimmiette, tali fuori, tali dentro). Il mistero non esiste, è solo il non sapere, il non conoscere.

 

La progettazione dell'oggettivo non lascia alcun margine alla libera percezione?

La percezione deve essere conseguente alla ragione della progettazione.

 

La tua è solo una tecnoluce che non ha altro luogo d'origine ed altre aspirazioni?

La fenomenologia della luce è immensa. Come è immensamente ovvio che per me la luce è di fondamentale importanza, sempre. È la protagonista del vedere.

 

Nella ricerca dell'armonia e nella pratica dell'interdisciplinarità ti senti vicino ai modelli rinascimentali?

Per qualche verso sì, senz'altro il nostro percorso è la prosecuzione di quella traiettoria. All'interno di questo, tutta la libertà.

 

La qualità come classicità è ancora frutto di una cultura storica?

La qualità in sé deve essere sempre il massimo dell'ottenibile con il massimo del sapere e questo sarà sempre.

 

Cos'è per te la bellezza? Ci sono limitazioni alla sua produzione?

Mi fai una domanda ampia perché ti dia una risposta particolarissima. Ed è anche questa una domanda ben strana: pensi davvero che sia possibile produrre bellezza? Io credo si debba produrre la buona forma che è sempre il risultato delle conoscenze più avanzate raggiunte in senso positivo in ogni momento dall'uomo.

 

Bellezza come finzione o come funzione?

Identifico la bellezza con la funzione e viceversa, esattamente l'opposto della finzione.

 

Qual è l'immagine della tua opera?

La massima libertà del rigore.

 

E codesto rigore riflette quello morale dell'autore?

Va oltre il mio rigore, per questo è ancora più fragile.

 

Parliamo d'altro. Arte pura e arte applicata nascono da un progetto unitario?

Sono la stessa cosa. Forse la prima è la massima libertà del rigore, l'altra il rigore della massima libertà.

 

Il fine utilitaristico del tuo lavoro.

Mettere e tenere in moto il cervello.

 

Fare l'operatore culturale è un'esigenza per trasmettere l'esperienza e un tentativo di razionalizzare il mondo?

È vivere nel mondo e poterne sentire la temperatura, la vita.

 

L'arte totale è un'utopia irrealizzabile?

Un mio credo costante è che tutto quello che è pensabile per il fatto stesso che sia tale è realizzabile.

 

Oggi c'è interesse solo per il noi o anche per la cosa ?

A me interessa la cosa. Noi mutiamo, scompariamo; le cose, nel bene e nel male, rimangono.

 

Qual è il tuo rapporto con la realtà, il modo di assumerla? L'opera come interagisce con essa?

Il rapporto che ho con la realtà primigenia, non contaminata, è ottimo; con l'altra, pessimo.

 

C'è in te una intenzione di ordine sociologico per modificare le forme della realtà, la proposta di un modello culturale?

Credo che al di sopra di tutto ci sia la verificabilità, valida per tutte le cose.

 

Ma l'estetica supera l'etica?

Tutte e due possono raggiungersi.

 

Che giudizio dai oggi dell'Optical art degli anni Sessanta? Ci sarà un momento di verità anche per l'Arte cinetica e programmata?

Ogni cosa che sia il massimo del raggiungimento conoscitivo di un momento storico ha ragione di esistere sempre.

 

Il tuo punto di vista sulle esperienze irrazionali di altri operatori.

Il punto e la vista, due cose importantissime per me, non le spreco per questo.

 

Con l' uso del concettuale in fondo c'è stato un certo progresso rispetto all'arte istintiva !?

Penso di sì, anche se troppo spesso, quasi sempre, il concettuale è diventato barzelletta, come per altro molto cinetismo o optical è diventato budget. La grande produzione e le masse se non apportano intelligenza fanno diventare tutto volgarità.

 

Concludiamo col design. Come giudichi l'ab-uso dell'oggettistica?

Il troppo continua a essere nemico del bene.

 

C'è una responsabilità dei progettisti che assecondano più del lecito il gusto comune?

È ovvio, e il troppo della risposta precedente è solo colpa loro. Per sentire la differenza, basta pensare a quando, all'inizio dell'epoca del progetto, le cose erano assolutamente ossee e la qualità era il massimo risultato ottenibile con la maggiore economia, proprio l'opposto di quello che avviene oggi. E questo è regresso.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 72, aprile-maggio 1995, pp. 34-35]

 

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