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MARIO NANNI PDF Stampa

Dopo aver superato la fase pittorica iniziale, caratterizzata da dinamiche composizioni geometrizzanti, i tuoi segni carichi di energie vitali si sono liberati dello spessore materico e, attraverso costruzioni architettoniche, si sono trasferiti dallo spazio virtuale a quello reale materializzandosi in opere tridimensionali e ambientali.

Come sai, la mia opera non ha mai cercato un rapporto con la natura, con la “religione naturale”. In essa non ci sono più diaframmi (la materia è l'artista e l'artista si fa materia); c'è invece la componente contraddittoria, conflittuale fondata sulla compresenza di elementi eterogenei apparentemente inconciliabili, per cui anche l'impatto esistenziale è diverso da quello degli altri artisti bolognesi.

 

Le tue esperienze sono state sempre animate da una tensione verso la conquista di spazi esterni, hanno coinvolto gli spettatori nelle installazioni, negli environments o nelle spettacolari azioni performantiche riscuotendo grande successo (mi torna in mente la divertita partecipazione di Bonito Oliva, di Celant e di Trini ad un significativo evento...).

La componente razionale in questi lavori ha preso maggiore consistenza e si è oggettualizzata in anelli di metallo, in nastri di acciaio o di plastica usati in vari interventi ambientali per scoprire il movimento reale, quello della vita e coinvolgere più sensi fino a far entrare il fruitore nell'opera, evitando intenzionalmente l'atteggiamento contemplativo, positivo. In alcune opere oggettuali ci sono anche il gusto del gioco, l'inserimento di una componente lucidamente ludica ed ironica: altre due direttrici del mio percorso.

 

Parallelamente, sviluppando il discorso ironico sulla metafisica tecnologica hai giocato anche con il computer, forse per scoprire, con metodo progettuale, altre dimensioni razionali.

Quando nel 1972 iniziai il ciclo dei lavori “Mitico computer” il termine inespressionismo non esisteva ancora e l'uso dell'informatica non era generalizzato. Qualcuno lo definì “arte fredda”... e in un certo senso lo era. Allora mi interessava sperimentare, verificare se e in che modo fosse possibile far entrare in quell'esperienza una componente contaminante, vitale. Oggi, molti artisti scoprono il rapporto arte-informatica, seppure in modo diverso, per ragione di tempi e di generazioni.

 

Con le “Fabbriche” eri interessato ad entrare nel mondo del lavoro, poi sei arrivato alla ricerca di un rapporto più vivo con la gente per offrire strategicamente l'opera aperta al sensoriale. Mi pare che nella produzione si rifletta una tua sensibilità sociale o, comunque, la tendenza a relazionarti col quotidiano a costo di screditare il manufatto artistico...

In realtà, io mi sono sempre sentito una persona socialmente presente. Ho cercato di creare un rapporto interattivo tra l'oggetto artistico e l'osservatore. In questo non c'è irriverenza verso l'opera, ma un lecito allargamento della sua funzione. Voglio darle un ruolo più ampio e farla uscire dalla nobile cornice; scendere dalle austere pareti dei musei e delle gallerie private per stabilire un legame con l'ambiente di vita. Insomma, il mio lavoro è attento alla forma ma non è di evasione.

 

Dalle prime investigazioni sulla materia e sul segno alle ultime realizzazioni non hai mai trascurato l'esistenziale ?

Se ci fai caso, dai “cantieri”, ai “nuclei vitali”, alle “macchine” fino alle “azioni” e ai più recenti lavori, è rintracciabile un filo continuo che evidenzia proprio questa componente che, insieme con il segno, la materia e lo spazio, caratterizza tutto il mio lavoro.

 

Nel tempo hai sempre cercato di proiettarti verso l' oltre usando i mezzi più evoluti.

Per sfruttarne linguisticamente le potenzialità comunicative e non per mitizzarli. La mia è una presa d'atto, non una totale omologazione. Anche i lavori più avanzati erano animati da un tormento interno che nasceva dall'antagonismo tra l'antica manualità e la tecnologia e tra il soggettivo e l'oggettivo. Mi sono schierato dalla parte dell'ibrido per farli appartenere alla vita, dalla parte della contraddittorietà che non diventa sintesi per mettere in evidenza la tensione, la frammentazione e la complessità che animano la vita contemporanea.

 

Un anno fa, sia pure con forme costruite dal pensiero, sei rientrato nel quadro. Perché questa repressione delle tue inclinazioni estroverse ? Nostalgia della pratica pittorica...?

Nelle opere esposte alla Galleria Maggiore c'era una rivisitazione della pittura ripartendo dalle virtù della materia per ottenere un'immagine in cui fosse chiara la dialettica che mi ha sempre interessato tra pulsionalità e progettualità (ricorderai che le tracce della mia pittura erano chiaramente negate anche dalla presenza di un gesto razionale ). Inoltre, tutto il mio lavoro, fin dall'informale tende ad invadere lo spazio. Anche quelli ai quali ti riferisci tu sono stati realizzati con stratificazioni, sovrapposizioni e dichiarano sempre, anche se non in modo ambientale, un'attenzione per lo spazio. Sento ancora la necessità di “agire” in questa direzione, di tentare, ed ho realizzato lavori su materiale plastico trasparente dove la materia sembra sospesa nel vuoto. Sono fogli di plexiglas “crudi e stranianti”, in un certo senso impersonali, su cui faccio scorrere una pittura fatta tutta di gesti, di impronte, di “materia che pulsa della propria vocazione genetica” su una superficie inconsistente e indifferente.

 

Mi sembra che tu abbia voluto analizzare, ironicamente ma anche con convinzione, quell'Informale che, specialmente a Bologna, è stato in vari modi valorizzato...

Con quest'ultimo ciclo di opere, ricorrendo alla pittura manuale , ho voluto creare un cortocircuito tra stili diversi. Ho sempre cercato di affrontare ad occhi aperti le ambiguità. E' entrato in campo il senso critico su certe specificità pittoriche. Anche questo può essere un gioco... serio, più culturale e meno disimpegnato...

 

Hai cercato anche di riqualificare certe valenze espressive della pittura legate all'immediatezza, al gesto!?

Sì, ma negando l'istinto; riaffermando, cioè, le ragioni del procedimento analitico. Inoltre, mi premeva scrivere una pagina sullo scollamento tra emozione e parola . Indirettamente, ho voluto lanciare un allarme, un avvertimento, pure se in forma autobiografica. Ho cercato pure di dare il senso del tempo... Anche lì c'era un interno e un esterno: il visivo della pittura e le motivazioni concettuali.

 

Allora, con questi mezzi linguistici opposti messi a confronto hai ribadito la vocazione per la ricerca contro-corrente...

Negli opposti trovo gli elementi più costruttivi, forse anche le verità e le provocazioni utili a chiamare in causa. Sono convinto che, mantenendo vivo il concetto di conflittualità, si determina tensione e passione , elementi indispensabili per fare arte.

 

Non rinunci a dialogare con la contemporaneità...

Anche se ho molte perplessità su cosa possa essere arte oggi e l'arte non è mai quella di ieri, con la contemporaneità dialogo da indipendente. Tutto il mio lavoro ha delle precise costanti, ma fa parte di un processo che non riesco a fermare... Opero con la voglia di scoprirmi rivolgendomi al presente che si manifesta nuovo .

 

Ed ora dove ti stai dirigendo?

Ho appena finito un libro-opera che è la prosecuzione dei “Giochi del malessere”. Con questo lavoro sono uscito dalla concettualità che comunemente accompagna il libro; mi sono aperto ad una intenzione costruttiva che implica l'agire dell'autore, ma anche del fruitore nella sua globalità sottoponendo i testi e le immagini ad una tensione che ne amplifica la dialettica. Sto realizzando anche opere oggettuali che sono una sintesi delle mie esperienze e ricerche sullo spazio per creare una immagine composita integrando la tridimensionalità con entità plastiche, cromatiche, segniche ed altro... Insomma, ho altri progetti; sto lavorando, non mi sono ancora fermato...

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 72, aprile-maggio 1995, p. 36]