EMILIO ISGRÒ |
Immagini ermetiche, auliche, metaforiche. Con le esperienze pittoriche e plastiche di oggi continui il cammino sperimentale iniziato con la poesia visiva? C'è chi dice che la Poesia Visiva abbia camminato per molti anni sulle ruote della mia Volkswagen , con un linguaggio assai lontano dalla cosiddetta Poesia Concreta o dalla contemporanea Poesia Tecnologica. Mi piacerebbe crederlo: così come mi piacerebbe credere ancora ai conflitti di competenza (chiamiamoli così) che opere come le Cancellature o la Jacqueline hanno finito per creare, mio malgrado, tra me e la successiva Arte Concettuale. È roba scritta nei libri di storia dell'arte, e lì preferisco lasciarla. Quanto al resto, è chiaro che le mie origini di artista sono perfettamente iscritte come un Dna nel lavoro di oggi. A me, d'altra parte, è con i giovani che piace competere, non certo con i miei coetanei.
Quindi, prosegui la tua indagine sul rapporto tra parola scritta e immagine. Diciamo che non mi pongo più il problema come prioritario, visto che esso è oramai universalmente accettato. Perché non passare ad altro?
Le cancellazioni sono negazioni? La cancellatura non è stata mai uno strumento di negazione, come molti hanno creduto, ma una macchina mentale capace di creare tutte le immagini e tutte le scritture possibili. È proprio questo segno positivo, credo, che a volte mi ha posto in rotta di collisione con chi, invece, vedeva in questo tipo di esperienze nient'altro che un implodere continuo di tautologie socialmente irrilevanti. No, non era così ed è probabile che una certa retorica concettuale della separatezza abbia disarmato non poche coscienze particolarmente fragili.
Chi è responsabile delle tue motivazioni poetiche? Il mio carattere, spero, e naturalmente la mia estrema vulnerabilità, la mia preoccupazione di ferire. Tanto che spesso finisco per dare del lei anche ai bambini di quattro anni.
La pratica esecuzione delle opere è preceduta dalla meditazione e dall'analisi? Accade di tutto. A volte si medita e si riflette prima di eseguire l'opera. A volte, al contrario, sono gli stessi materiali che dettano le leggi dell'esecuzione. A volte, infine, non si sa bene se l'istinto segue o precede la riflessione. L'importante è non farci caso. O meglio: saper capire quando è venuto il momento di non farsi troppe domande.
Dalle opere-pagina alle operazioni di integrazione culturale. Quali sono le ragioni dello sconfinamento nella multidisciplinarità? Direi che la multidisciplinarità è stata sempre connaturata al mio lavoro, fin dagli anni Sessanta, quando cancellavo i primi libri e poi dovevo in un modo o nell'altro installarli, affrontando non pochi problemi di equilibrio spaziale. E cosa è stata la mia stessa Poesia Visiva, se non il tentativo di far coesistere insieme la parola e l'immagine? Alla fine non poteva che venire il teatro. E infatti è puntualmente venuto: con L'Orestea di Gibellina. Questo non significa, tuttavia, che uno debba essere multidisciplinare ventiquattro ore su ventiquattro, come un soldato di guardia alla Santabarbara. Anche a me, ogni tanto, piace creare qualcosa di somigliante a un quadro, o più semplicemente scrivere una poesia o un romanzo. All'arte non si comanda, insomma: come all'amore.
Sei particolarmente attratto dai temi solenni (epici, mitologici, universali)? In genere sì, ma non è una regola. Molto spesso sono anche attratto dalla volgarità del mondo e dalla sua banalità. Da un lato con la speranza di esorcizzarle, dall'altro con la presunzione di riscattarle. Ma è sempre più difficile.
Le tue ideazioni nascono da una visione storica del presente? Non solo le mie, ma quelle di tutti gli artisti.
L'opera è sempre l'individuazione di un determinato problema e un punto di arrivo? L'una e l'altra cosa. Se non è le due cose insieme, allora qualcosa non funziona.
Su cosa sei più portato ad interrogarti? A quali ideali aspiri? Sulla mia fragilità, sulla mia debolezza. E sto naturalmente dalla parte di chi è debole ed è indifeso. Non certo dalla parte dei prepotenti.
Le tematiche affrontate fino ad ora sono pagine dello stesso libro...? È stato Mallarmé a dire che il poeta scrive e riscrive sempre lo stesso libro. C'è bisogno di ribadirlo?
Nelle opere di oggi ti giovi di più del visivo... Per un artista che si rispetti il risultato visivo è sempre indiretto, in quanto frutto di un processo mentale non meno che fisico. D'altra parte già alla fine degli anni Sessanta diffidavo ampiamente del manierismo concettuale, prima ancora che una tale diffidenza diventasse pressoché generale, e forse perfino eccessiva. Come si spiegherebbero altrimenti le mie Storie rosse di quel periodo, dove il colore spara letteralmente tra il bianco del fondo e il nero della scritta tipografica? A questo punto, credo, occorre probabilmente operare una sintesi tra tutti i linguaggi che hanno attraversato il nostro secolo. E io spero di essere pronto anche per un compito di questo tipo, giacché ho perduto la timidezza di un tempo e sono più disposto a socializzare. Ho sempre amato, insomma, e ora mi sento riamato.
Ho notato che parli ad alta voce di amore ... L'arte è la più alta forma di amore che ci sia, e l'amore non è che educazione. Se l'arte si trasforma in una professione come le altre, l'amore diventa di fatto mercenario.
L'uomo di oggi sa amare? Diciamo che l'amore non è tra i valori meglio piazzati in Borsa. Almeno per il momento.
...Ha bisogno di un indirizzo religioso? Sì. Personalmente, per esempio, sono stato sempre attratto dall'umanità del Cristo, e certo non è un caso che abbia intitolato Il Cristo cancellatore una delle mie opere più conosciute. Quanto a praticare, tuttavia, no, non sono praticante. Ammenoché la pratica dell'arte non sia essa stessa una pratica religiosa...
L'opera, per essere ascoltata, deve parlare sommessamente o gridare? non deve dichiarare? deve rimanere misteriosa? Né gridare, né parlare: ma solo pregare. Più lo fa a bassa voce e meglio è. Altrimenti la preghiera si vanifica, diventa inefficace.
Nella preghiera che tu proponi c'è una dimensione ironica? Si può forse sostenere che essa sia il massimo dell'impegno oggi possibile...
Come uomo-pittore-poeta senti di dover compiere col tuo lavoro una missione per la salvezza delle culture? L'artista non è che un campione dell'umanità umiliata e ferita, e si batte perché il dolore si apra al sorriso. È questa la sua missione. Ma non è il solo a perseguirla. Molti altri si battono come lui, magari in silenzio.
Cosa ti lega, in particolare, alla cultura europea? Lo spessore storico, i drammi, le tragedie dei nostri popoli, ma anche la grandezza di chi preferisce lottare per la gloria piuttosto che per il successo, ha ambizioni alte, disinteressate. Io appartengo in pratica a quella cultura europea di stampo universale che non esclude niente e nessuno. Ed è per questo che, pur non essendo praticante, a volte mi pare di condividere le ragioni del papa.
Non sei cattolico? Probabilmente non sono neanche cristiano, ma non considero Gesù un nemico.
Nella tua opera ci sono pre-sentimenti? L'artista è anche un po' profeta? L'ho sempre sentito dire, e a naso direi che forse c'è qualcosa di vero. I profeti della Bibbia, del resto, sono anche i grandi poeti di Israele, e non c'è dubbio che l'esegesi cabalistica di certi rabini ha a volte curiose assonanze con certe forme di analisi letteraria.
L'arte può assumere un ruolo eversivo? Oggi, più che l'arte, è eversiva la società nel suo insieme, questo ceto indifferenziato che si illudeva di essere diventato ricco e oggi è chiaramente disposto a correre tutte le avventure pur di non cedere un'unghia del proprio benessere.
L'arte non ha nessuna responsabilità etico-sociale? Sì, ce l'ha. Ma solo quando gli artisti non sono sinceri fino in fondo con stessi: giacché allora diventa per contagio insincera tutta la società, con le conseguenze che vediamo.
Preferisci riservare ai tuoi poemi iconici uno spazio indipendente rispetto alla materialità del quotidiano? No. Comunque non dipende da me.
La tua produzione è priva di passione civile? trascende la realtà empirica? Crede di avere risposto implicitamente anche a questa domanda.
Oggi la caduta dei valori supremi impone un dibattito culturale? un ridimensionamento del linguaggio metaforico...? Non so cosa voglia tu dire con l'espressione “linguaggio metaforico”. In ogni caso, etichette come Poesia Visiva, Arte Povera, Concettuale o Transavanguardia ormai non dicono più niente. E l'invenzione di nuovi linguaggi, se mai ci sarà, verrà unicamente dalla solitudine degli artisti, non dal loro raggrupparsi in un movimento o nell'altro, come nei vecchi partiti.
Ma l'autonomia dell'arte è una scelta o un limite? Un limite da superare giorno per giorno.
In che modo l'intellettuale dovrebbe assumere un ruolo attivo per testimoniare la sua presenza nel sociale? gli spetta una funzione di guida? L'ho detto e lo ripeto: pregando.
In pratica, però, la cultura di massa promossa dai media finisce per determinare le scelte (non di qualità)... Credo che non sia necessario preoccuparsi più di tanto. Oggi l'arte è un'attività tipicamente solitaria: un po' come quella degli amanuensi e dei miniaturisti nel Medioevo, che con il loro impegno riuscirono a salvaguardare l'antica cultura classica per l'Umanesimo, incuranti delle orde barbare che un po' irrompevano da tutte le parti. Così noi artisti contemporanei: preserviamo la cultura umana nella sua integrità di fondo, liberandola da tutto ciò che di disumano e liberale esiste nella cosiddetta cultura di massa. Ora et labora, insomma, come ho scritto nella mia Preghiera ecumenica per la salvezza dell'arte e della cultura.
Attualmente ti senti libero da ogni impegno politico? Come va letto il tuo rapporto con la realtà? Sono stato sempre considerato politicamente aperto, anche se ritengo che un artista, come un uomo di chiesa, non possa o non debba essere un funzionario di partito. Questo non vuol dire, tuttavia, che io arrivi al voto del tutto impreparato: giacché è il mio stesso lavoro, con tutte le sue tensioni e tutte le sue speranze a suggerirmi da che parte stare. Ed è naturalmente dalla parte dei più fragili e dei più indifesi. Non tanto perché io sia particolarmente buono o generoso, quanto, piuttosto, perché sono io stesso fragile e indifeso. Forse perché amo troppo la mia libertà.
Mi sembra che dall'opera traspaia anche la tua drammatica partecipazione al divenire del mondo. Se la drammaticità c'è, essa deriva dalla mia convinzione che non bisogna mentire mai, soprattutto a se stessi. Questo significa che uno cerca di vedere le cose così come sono e di rappresentarle come tali. Del resto, c'è forse qualcosa di dolce, qualcosa di fiorito in questo momento?
Comunque, rinunci a collegare apertamente l'opera al reale... Il problema non è tanto quello di identificare l'arte con la vita, quanto di riconoscere una volta per tutte che l'arte è portatrice di vita e di futuro.
Secondo te, viviamo un'epoca di anarchia distruttiva o salutare? Almeno in questo senso sono credente: penso che dal male possa sempre venire il bene e dal disordine l'ordine. L'importante è che un tale ordine non sia disegno autoritario o antidemocratico.
Ti preoccupano le sorti della comunità umana? Fino a un certo punto: perché l'uomo alla fine, messo alle strette, reagisce nel modo giusto. Ma bisogna saper aspettare, e l'attesa ha sempre un prezzo.
Cosa pensi delle ultime generazioni di artisti? Molti giovani, purtroppo, sono stati educati al mito del successo e del denaro e, in genere, sono diventati dei confezionatori di oggetti artistici diretti unicamente al consumo, privi di anima e di sangue. I più intelligenti e sensibili, tuttavia, cominciano a disaffezionarsi ai demagoghi dell'arte che li hanno corrotti, senza peraltro arricchirli. Hanno capito che sono stati mandati nelle prime linee dell'arte, per coprire la ritirata ai vecchi, quasi in trincea come i soldati della prima guerra mondiale vera e propria carne da macello per i cannoni.
La tua generazione ha ancora molto da dire? Diciamo che alcuni artisti della mia generazione non hanno detto tutto ciò che potevano dire. Altri, invece, hanno detto anche troppo. Troppo, voglio dire, rispetto all'esilità della loro voce.
In questo momento hai una strategia artistica? una proposta attuale? Mai avuta una strategia, mai posseduta una certezza da offrire agli altri. O meglio: oggi l'artista è egli stesso una garanzia, la prova che tutti cerchiamo, probabilmente...
A cura di Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste), n. 73, giugno 1995, pp. 40-41] |